Libero, 28 maggio 2019
Il circo degli ologrammi
Il circo. Che sentimenti contrastanti. Quante volte da piccolo, al bordo della pista rotonda, occhi sbarrati e bocca aperta di bambino, a trattenere il fiato all’ingresso di tigri e leoni in quella grande gabbia, e ogni ruggito era un fremito, e il domatore l’emblema del coraggio. Oppure l’enorme elefante che sollevava la zampa proprio sopra il viso della ragazza col costume sgargiante. E i cavalli che galoppavano velocissimi in cerchio, con gli acrobati che riuscivano a compiere sul dorso capriole inconcepibili. E poi certo, i clown e i trapezisti e i lanciatori di coltelli e i prestigiatori. Ma gli animali, quelli facevano sognare. Immaginare luoghi lontani e irragiungibili. «Signore e signori, direttamente dalla savana africana...». Che emozione. Ecco, la mia generazione – la generazione del mezzo secolo – ha potuto osservare da vicino specie esotiche altrimenti solo immaginabili proprio grazie al circo, e anche agli zoo. E però, col tempo, ci si rende conto. Si comprende come possa essere violento e insopportabile, per un orso bianco nato per vivere fra i ghiacci perenni, esibirsi davanti a una platea di umani bercianti nel mezzo della pianura padana. E certo, i responsabili assicurano che non tutti sono come quei criminali scoperti a trattare i poveri animali come bestie, malnutriti e accuditi peggio, e per questo denunciati e additati al pubblico ludibrio. E che tanto non potrebbero nemmeno più vivere in ambienti selvaggi, perché non ci sono più abituati. Che sono felici, persino. Ma insomma, guardi le gabbie ricavate sui grandi carrozzoni immutati nei secoli, ci vedi dentro due cammelli oppure una coppia di zebre, e ti si stringe il cuore. I tempi sono cambiati. Non si può più, dài.
QUARANT’ANNI DI STORIA
Dunque basta? Niente più elefanti da accarezzare? Niente più scimmie che scherzano con i pagliacci? Niente più ruggiti da far tremare le gambe? Ecco, in realtà un’alternativa c’è, grazie alla spesso vituperata tecnologia. L’ha davvero messa in pratica il Roncalli Circus, un circo tedesco cui piace definirsi “tradizionale”, con base a Colonia che macina chilometri e piazze da oltre quarant’anni, famoso per l’abilità dei suoi acrobati e giocolieri e anche per aver portato lo spettacolo in Unione Sovietica, prima del crollo. E comunque, già a metà degli anni Novanta il Circo Roncalli aveva gradualmente eliminato dalle rappresentazioni gli animali selvatici, e gli ultimi pony furono infine mandati in pensione una decina d’anni fa. «La poesia del circo non ha bisogno di maltrattare gli animali, per arrivare al cuore della gente» venne spiegato. Applausi. E però insomma, forse è questione di ricordi d’infanzia e della difficoltà a staccarsene, ma permettete: che palle, il circo senza animali. Devono averlo pensato anche al Roncalli. Ed ecco l’idea: gli ologrammi. Quella tecnica che permette di proiettare un’immagine tradizionale su una pellicola invisibile, e chi vi si trova dinanzi ha davvero l’impressione di vedere qualche cosa di reale. Perché non povarci?
ESPERIENZA SENSORIALE
E così hanno fatto. Grazie a una serie di undici proiettori e all’ausilio di tecnici, sono in grado di proiettare sulla pista grandi elefanti ed eleganti cavalli bianchi e poi di farli muovere a pochi metri dagli spettatori, e pure di accoppiare i versi caratteristici, e di regalare in questo modo l’emozione senza che animali veri debbano vivere di fatto segregati. Geniale, altroché. «Anche il circo è mosso dalle tendenze socio-culturali – ha spiegato il fondatore Bernhard Paul, – ed è il momento anche per il Circo Roncalli di seguirle». Aggiungendo: «Abbiamo sempre cercato di essere innovativi, ma vogliamo restare un circo tradizionale, con il fascino dei tempi che furono». Andare al circo, rivedere leoni e tigri e tornare a casa felice e meravigliato come un bambino, senza sentirsi in colpa come un adulto. Non vedo l’ora.