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 2019  maggio 28 Martedì calendario

Proust e Morand rivali per amore

Il «triangolo», per Marcel Proust, non aveva odore di carne, era decisamente intellettuale. «Un uomo pallidissimo, imbacuccato in una vecchia pelliccia folti capelli neri divisi sulla nuca guance d’avorio opaco i denti erano grandi e belli; i baffi davano rilievo alle sue pesanti labbra; le palpebre brune evidenziavano uno sguardo vellutato, profondo, celandone il magnetismo»: così Paul Morand, genio nell’arte del repentino sketch, del sugoso cammeo, descrive Proust, siamo nell’«autunno del 1916». 
Morand è più giovane di Proust di sedici anni, è sensuale quanto lui è mentale, è volitivo, scaltro, destinato al successo, nella vita la brillante carriera diplomatica, arricchita di viaggi di cui dà conto in magnetici taccuini come Rien que la Terre e nell’arte accademico di Francia nel 1968, nonostante l’ostracismo subito per la vicinanza a Vichy, i suoi Romans, all’epoca assai celebrati, sono ora raccolti nella Pléiade Gallimard ama il lusso e ha bisogno di donne come Marcel necessita di muse. Gli interessi dei due convergono sulla medesima dama, che con malizia Morand presenta al geniale scrittore il 4 marzo del 1917, al ristorante Larue: Hélène Chrissoveloni, diventata «la principessa Soutzo» dopo aver sposato, nel 1903, il principe Dimitri Soutzo, «minuta ma ben proporzionata, con i tratti del viso regolari, il profilo greco perfettamente allineato alla fronte, il portamento regale e i vertiginosi décolletés, già in Romania era paragonata a Minerva per la sua spiccata intelligenza» (Massimo Carloni). Proust, davanti alla sgargiante principessa, capitola («le sue grazie mi avevano incantato e uscivo soltanto per andare da lei»), Morand è in estro perché il «triangolo», per lui, è cerebrale ma infine, soprattutto carnale: dieci anni dopo, nel 1927, impalma la principessa, divorziata dal 1924, obbedendo al suo charme. Va detto che Morand, rapace e più giovane di nove anni di Hélène, le sarà fedele pur nei reiterati tradimenti, pure nella cattiva sorte, dopo la Seconda guerra, inserito nella lista nera dei collaborazionisti, nel ritiro svizzero di Territet-Mont-Fleuri, dove i coniugi «dormono senza coperte, mangiando castagne ammassate nella vasca da bagno, resa inservibile dalla mancanza d’acqua calda» (Carloni). Morand, che ha il sangue blu degli energici («la sfortuna e la depressione», scrive, «mi porteranno, spero, la salute nell’arte»), avrà la gloria e la costanza di risollevarsi è il «nemico» De Gaulle, infine, a concedergli l’ingresso tra gli accademici francesi restando sempre al fianco della sempre più decrepita Hélène, che se ne va negli altri mondi nel 1975. Proust, che nella miracolosa principessa Soutzo riconosceva addirittura un tonico esistenziale («da quando vi conosco tengo di più alla vita», le scrive, il 23 novembre del 1917), era ormai morto da un tot, nel novembre del 1922, in odore di santità: «Adesso, egli è morto; e più non resta se non quel che di divino c’era in lui La sua casa era già quasi un museo, la sua persona non era quasi più che il luogo dove si andava compiendo un’opera», gorgheggia Morand. Il rapporto tra il sommo Proust, Paul Morand e l’inflessibile principessa Soutzo, è ora dettagliato in un libro, Il visitatore della sera, edito da Aragno (pagg. 336, euro 25) e curato con impeccabile devozione da Massimo Carloni (il saggio finale, Saturno, Minerva e il Minotauro, in particolare, è di notevole bellezza). Il libro raccoglie il carteggio che Proust intrattiene dal 1916 fino alla morte con Morand e la Soutzo, insieme ad alcune testimonianze del callido Paul. Ne viene fuori il ritratto di un genio Proust cultore della vita altrui, della grazia scolpita «voi ignorate il surplus straordinario di bellezza che l’indomani di un’operazione comporta», scrive alla Soutzo, per convincerla a fare l’appendicectomia rimandata da tempo, dello scalpore del pettegolezzo. 
Bisognerebbe fare una rassegna delle donne fatali e capitali ne cito, a caso, alcune: Balandine Klossowska, la madre di Balthus e di Pierre Klossowski, per Rilke; la misteriosa Rosalia «Lilita» Abreu, cubana, per Saint-John Perse; la disordinata Sheri Martinelli per Ezra Pound specie, allo stesso tempo, di Sfingi e di Moire, di Muse e di Medee, che hanno fatto, come Madame Soutzo, la storia della letteratura.