il Giornale, 28 maggio 2019
I pentiti del divorzio
Litigano su tutto, chi mantiene chi, chi paga quanto. Ogni cosa diventa pretesto per urlare: mobili, auto, perfino i servizi di piatti ricevuti alle nozze. E vai di avvocato, pratiche legali, porte sbattute, gastriti e figli a pezzi. Salvo poi tornare insieme clandestinamente.
Sono i pentiti della separazione, la nuova declinazione delle coppie italiane. Che disfano tutto e poi tornano sui loro passi. In qualche (rarissimo) caso lo fanno per amore, ma solitamente agiscono cercando di fare il bene dei figli o per ragioni economiche.
Sarà l’effetto del divorzio lampo, sarà che per dirsi addio ci vogliono meno soldi rispetto al passato (un massimo di 4mila euro per un addio consensuale) e meno tempo (sei mesi di separazione e non più tre anni). Fatto sta che dal 2015, anno della nuova legge, ad oggi, sono pressoché raddoppiate le coppie sposate che si lasciano. Siamo arrivati a quota 90mila all’anno. Fra queste, circa 2mila si rimangiano tutto. Ovviamente si tratta solo di una stima e il numero vero non è chiaro perché è fatto di ex mariti e mogli che si riavvicinano di nascosto, non lo comunicano all’avvocato e tanto meno compilano i moduli per la riconciliazione. Vivono sotto lo stesso tetto, siedono alla stessa tavola, (a volte) tornano ad amarsi come un tempo ma risultano formalmente divisi, uno con una residenza, una con l’altra.
NON DICIAMOLO AL FISCO
Il motivo? Scoprono che rimanere clandestini (per il Fisco) conviene, eccome. E allora è meglio lasciare i conti separati, simulare la farsa dell’assegno che lui passa a lei per pagare le rette scolastiche dei figli e il loro mantenimento. C’è perfino chi torna a casa ma fa risultare la residenza all’indirizzo della famiglia di origine per simulare la separazione. Ad aggravare la clandestinità delle coppie che si riavvicinano ultimamente c’è anche la tentazione del reddito di cittadinanza. Molto più facile ottenerlo se si risulta una madre sola e disoccupata. L’unico deterrente sta nella temporaneità della misura che, di fatto, mette solo una pezza alla situazione economica.
Da separati è anche più semplice entrare nelle graduatorie pubbliche o avere un posto per i figli alla scuola materna pubblica. O ancora, con l’atto di separazione consensuale, un coniuge può cedere all’altro tutti i suoi beni, evitando così di dover pagare eventuali debiti nei confronti del fisco e subire il pignoramento.
Ma attenzione, l’amore ritrovato e non comunicato rischia di diventare reato (punibile anche con la detenzione fino a sei anni), così come le finte separazioni studiate a tavolino che, in Italia, sembrano essere circa il 7% del totale (cioè 6.400 all’anno). Quando i coniugi si separano per finta per evadere il Fisco commettono il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. I tentativi non mancano e del resto non ci voleva molto per intuirlo: quando ancora l’indicatore della ricchezza della famiglia non era precompilato, l’80% degli italiani dichiarava di non avere un conto corrente quando, nello stesso tempo, i dati dell’Abi indicavano una percentuale del 20-30%.
«Ci sono due categorie di pentiti della separazione – spiega l’avvocato matrimonialista Gian Ettore Gassani, spogliando il fenomeno da qualsiasi sfondo romantico – Le famiglie con i redditi Isee inferiori a 30mila euro, i cosiddetti milleuristi, tornano assieme per necessità economiche e non pagare doppia casa, doppia bolletta, doppio tutto. Altrimenti, soprattutto nei nuclei monoreddito, uno dei due finirebbe sul serio sotto un ponte, non si possono permettere il divorzio. E poi ci sono i separati per finta, quelli che fanno tutto ad hoc per ottenere sgravi e vantaggi fiscali. Appartengono a un ceto medio ed hanno un reddito famigliare attorno ai 60mila euro».
«Da parte degli avvocati il fenomeno dei pentiti del divorzio è difficile da tenere sotto controllo, anche se si tratta di numeri bassi – spiega Francesco Genovese, associazione avvocati matrimonialisti -. Quando le coppie tornano assieme non lo comunicano all’avvocato e lasciano magari le pratiche di separazione a metà senza più presentarsi in studio. E lui non va certo a richiamarli, del resto non è un conciliatore, non sta a lui farlo».
QUANTA PAURA
Ma il fatto che una separazione non si tramuti in divorzio non migliora certo le cose. Lo sanno bene gli psicologi che seguono le madri e i padri separati. O che cominciano a seguire i figli di genitori divisi e poi si trovano a supportare anche i genitori.
«Può anche accadere che la crisi economica sia un alibi per non affrontare le difficoltà emotive relative alla separazione – spiega Maria Paola Debiaggi, psicologa, psicoterapeuta e consulente tecnica del Tribunale di Pavia -. Nelle coppie vedo molta paura nel gestire un cambiamento così grosso, c’è una grande difficoltà nel prendere atto che tutto sia finito, soprattutto nelle coppie che sono rimaste assieme tanti anni. La separazione richiede anche una ristrutturazione della propria personalità, passaggio nient’affatto semplice se per tanti anni si è vissuto in due. Chi si trova da solo pensa spesso di non avere le risorse per gestire la sua nuova vita, i figli e tutto il resto e può entrare in una condizione mentale per cui si senta ancora dipendente dall’altra persona».
Da qui un’altra tipologia di coppie: quelle che si separano ma continuano a frequentarsi anche quando è evidente che uno dei due abbia già cominciato una nuova relazione. Ed è vero che i figli vengono sopra tutto ma è altrettanto vero che una situazione così confusa non fa che far soffrire ancora di più i bambini, qualsiasi età abbiano.
Inoltre continuare a rimanere sotto lo stesso tetto da separati non è certo garanzia di serenità per i figli e non sempre dà loro quella sicurezza e quell’affetto che si spera di trasmettere, anzi. «Tante volte invece – continua Debiaggi – le coppie temporeggiano, aspettano di vedere cosa accade e rimandano la decisione del distacco netto. È ovvio che un legame rimanga, sia la madre sia il padre continuano ad essere genitori. Ma è bene che i genitori affrontino le proprie paure e trovino le parole per dare spiegazioni ai figli».
FINCHÈ CHAT NON VI SEPARI
Ma come mai le coppie si separano con una facilità tale da tornare sui loro passi? Secondo gli avvocati, dietro ai numeri delle separazioni (quattro volte tanto rispetto a vent’anni fa), ci sono anche i social network. Da quando la legge considera valido anche il tradimento on line, è un attimo avviare le pratiche. «Anzi – spiega Genovese – chi si separa arriva da noi con la stampa delle chat, della mail e dei post che provano la relazione virtuale. Negli ultimi cinque anni i divorzi causati da relazioni on line sono cresciuti almeno del 30%». «Da quando la separazione è tecnologicamente assistita – aggiunge Gassani – noi avvocati stiamo lavorando molto di più. I cellulari fanno danni, sono vere e proprie scatole nere della vita delle persone e tradire è molto più facile: con i social e le chat è possibile farlo in pantofole dal divano di casa, senza dover uscire per locali». E senza avere la percezione di un vero tradimento.
A equiparare la scappatella via tastiera a quella reale è stata la prima sezione civile della Corte di Cassazione secondo la quale chi flirta sui social network può subire la domanda di separazione giudiziale con addebito, proprio come nel caso dell’adulterio reale. Insomma, anche il coniuge che si ritiene leso da messaggini hot, può chiedere la separazione per violazione dei doveri disciplinati dall’articolo 143 del codice civile (fedeltà reciproca, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia e coabitazione). Il calvario che ha inizio da quando si va dal giudice in poi resta lo stesso e ha ben poco di virtuale. A complicare ulteriormente le statistiche sono le rotture delle unioni civili, sia delle coppie etero sia di quelle omosessuali. Anche in questo caso i tradimenti via chat sono sempre più frequenti.