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 2019  maggio 28 Martedì calendario

Via ora d’aria e acqua fresca per El Chapo

Niente ora d’aria per El Chapo, nemmeno le due ore settimanali che i suoi avvocati avevano richiesto. Niente acquisti allo spaccio della prigione, niente acqua addizionale oltre quella che riceve con i pasti, e niente tappi di isolamento acustico per le orecchie. Sembrerebbe un accanimento punitivo ai danni dell’ex re del cartello di Sinaloa, oggi detenuto in un tribunale di Manhattan in attesa dell’ultima sentenza che fisserà l’entità della pena. Si tratta invece di ben altro: le autorità federali che lo hanno processato con successo lo scorso febbraio, temono che lo scaltro criminale già autore di due fughe clamorose da altrettante prigioni messicane, possa usare anche uno solo dei privilegi che ha richiesto per comunicare con l’esterno e mettere a punto nuovi piani di fuga.
LE ACCUSEJoaquín Guzmàn è in regime di detenzione solitaria, in una cella comoda a poca distanza dal ponte di Brooklyn e dall’aula di tribunale nella quale è stato riconosciuto colpevole di tutti i 17 capi di accusa che gli erano stati imputati nel processo newyorkese. La costruzione di cemento grezzo di colore scuro incombe minacciosa nell’area dei tribunali cittadini, a sud di Chinatown. La sistemazione è provvisoria, in attesa dell’udienza del 25 di giugno dalla quale in ogni caso non si attendono grandi sorprese. Le raccomandazioni del giudice Brian Cogan che ha emesso il verdetto parlano di tre ergastoli consecutivi, da servire senza nessuna possibilità di ricevere la sospensione della pena o la scarcerazione anticipata. Dopo quella data sarà trasferito nel carcere definitivo, dove inizierà a scontare i termini della detenzione, e scomparirà dall’attenzione pubblica. Ma al momento la sua presenza nel cuore della capitale mediatica degli Usa è a massimo rischio. Alcuni degli storici collaboratori che lo circondavano stanno al momento collaborando con l’Fbi nelle indagini sulla ricostruzione del cartello di Sinaloa dopo l’arresto del capo. 
I TIMORI
Un semplice pizzino in uscita dal carcere potrebbe distruggere mesi di lavoro, e avvicinare il prigioniero a sicari disposti ad aiutarlo. Per gli avvocati di Guzmàn il rifiuto è illegittimo. È una violazione del diritto di un carcerato a subire un trattamento «equo e umano», sancito dall’ottavo emendamento della costituzione degli Usa. I legali avevano scritto una lettera alla procura distrettuale di New York, nella quale descrivevano le condizioni fisiche e psicologiche che il loro assistito è costretto a subire. «La deprivazione di un contatto con l’aria aperta e con i raggi solari vi si legge per un periodo che è ormai di 27 mesi, ha inciso sulla sua salute, e sta provocando delle ferite nella sua psiche». In fondo la richiesta riguarda solo la possibilità di potersi esporre alla luce per un periodo limitato e sotto stretta sorveglianza dei suoi carcerieri. Questi ultimi non si lasciano però intenerire.

IL PRECEDENTE
Hanno citato un precedente piano di fuga che era stato disegnato intorno alla stessa struttura detentiva nel 1981, da altri cospiratori e per altri detenuti, e che fu sventata all’ultimo momento, prima che potesse essere messo in azione. In quella occasione il commando dei liberatori del prigioniero riuscì a sequestrare un elicottero con il pilota a bordo, e si fecero portare sul tetto del carcere. Qui furono fermati mentre tentavano di aprirsi un varco nella fitta rete metallica di protezione. Guzmàn può fare esercizio fisico tutti i giorni nella palestra interna della sua prigione; nella cella può tenere accesa la musica di sottofondo che i carcerieri scelgono per lui, e ha accesso ad alcuni canali televisivi nell’intimità della comoda stanza che lo ospita. Ma prima di tornare a vedere la luce del sole, dovrà lasciare la città nella quale ha importato droga e morte più di ogni altro re dei cartelli mondiali, per un periodi di quasi venti anni.