la Repubblica, 28 maggio 2019
La crisi dei mobilifici low cost
Da Pamela Prati a Moana Pozzi, passando per il pirata Marco Pantani e Pierino – al secolo Alvaro Vitali – fino a Ikea e Jeff Bezos. Il crac-bis della Mercatone Uno – «serve subito la Cigs», ha detto ieri il vicepremier Luigi Di Maio – è l’ultimo atto di una telenovela in onda in Italia da oltre 30 anni: “La guerra del mobile”. Un giallo d’economia (alla voce “selezione darwiniana”) con interpreti d’eccezione che ha segnato a colpi di spot memorabili la storia del nostro Paese. Lasciando sul terreno tante vittime – da Aiazzone a Grappeggia fino al mitico Mobilificio Rossetti di Nonno Ugo – morte per mano di un assassino noto a tutti fin dalle prime scene: Ikea appunto. Che ora, colpo di scena, rischia di fare la stessa fine stritolata da e-commerce e Amazon.
Il set di questo dramma sono stati i tinelli, le cucine e i bagni di casa nostra. Un campo di battaglia dove i big dell’arredamento hanno iniziato a sfidarsi da metà anni ’80 a suon di sconti per venderci librerie, scarpiere e lettoni matrimoniali. I nomi di quell’era pionieristica – signori nessuno per i millennials - sono botte di nostalgia per i consumatori dell’epoca. Giorgio Aiazzone («provare per credere», il suo marchio di fabbrica) è stato il primo a rivoluzionare il settore del mobile, entrando via piccolo schermo nelle case degli italiani. Prima con Tele Biella, poi imperversando con i suoi spot su tutte le prime reti private d’Italia. Testimonial l’inconfondibile Guido Angeli, che – pollicione alzato – lanciava tormentoni virali: da «Aiazzone, Aiazzone, per i mobili è il massimo!» con tanto di improbabile Jingle a «Vieni vieni vieni da Aiazzone, quanti mobili troverai», fino alle mitologiche consegne «in tutta Italia, isole comprese».
Aiazzone non ha vissuto abbastanza per vedere il tramonto del suo impero. È morto in un incidente aereo nel 1986, tre anni prima dell’apertura della prima Ikea a Cinisello Balsamo. I suoi magazzini sono invece falliti nel 2011 strozzati dai debiti, lasciando a bocca asciutta i creditori. Tutti, tranne i 200 che il primo giugno di quell’anno – “fiutata” la malaparata – si sono dati appuntamento nottetempo davanti alla sede di Pognano nella bergamasca (sigillata dai commissari), hanno forzato l’ingresso e si sono auto-rimborsati portandosi via materassi, letti inginocchiatoi ed elettrodomestici.
Il rivale numero uno di Aiazzone nel derby delle credenze è stato il brianzolo Benito Grappeggia («Meno male che c’è, meno male che c’è Grappeggia”). Lui ha capito per tempo che al ciclone Ikea sarebbe stato difficile resistere e a fine millennio ha venduto i suoi magazzini alla Mercatone Uno. Condannandoli in realtà solo a un fallimento dilazionato nel tempo.
Il vero Maradona del marketing applicato al mobile è stato però Ugo Rossetti titolare dell’omonimo gruppo romano (“Mobilificio Rossetti, km. diciannove e seicento”, lo slogan aziendale misurato sulle pietre miliari della Salaria). Nonno Ugo – come si era reinventato – è stato il protagonista con i suoi dipendenti di mini-Caroselli o finte puntate della telenovela “Sentieri” che andavano a nastro sulle tv locali. Nel cast una giovanissima Moana Pozzi in abiti che già allora lasciavano poco all’immaginazione, Pamela Prati, Alvaro Vitali, Andy Luotto e Alessia Merz e la mitica macchina sparagiocattoli “Sputagiò”. Anche il business di Nonno Ugo non c’è più. Sulla Salaria, poco distante, resiste invece un magazzino di Mondo Convenienza l’unico marchio italiano di mobili low-cost sopravvissuto al ciclone Ikea. Per farlo ha imposto una cura lacrime e sangue ai dipendenti che hanno aperto una pagina Facebook dal nome “Mondo sofferenza”. Per ora la società della famiglia Carosi (1,1 miliardi di ricavi) resiste. Obiettivo: dribblare l’effetto-Amazon che ha costretto persino Ikea e buttarsi nelle vendite online e a puntare sui “mobili a noleggio” per non fare la fine di un Aiazzone qualsiasi.