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 2019  maggio 28 Martedì calendario

Ultima possibilità, la Car-T

L’annuncio tipo è: «In Italia non ci hanno dato più speranze. L’ultima possibilità è volare negli Usa per tentare una nuova cura. I costi sono proibitivi e occorrono 500 mila euro». Sulle piattaforme di «crowdfunding» - siti web che permettono di raccogliere fondi per scopi benefici - messaggi simili si moltiplicano. Nella maggior parte dei casi si tratta di malati di cancro che vorrebbero sottoporsi alle cure Car-T, acronimo di «Chimeric antigen receptor T cell», l’ultima evoluzione dell’immunoterapia contro i tumori. Situazioni estreme, in cui la lucidità non sempre vince: queste terapie si sono dimostrate efficaci solo in particolari tumori del sangue e per un limitato numero di pazienti attentamente selezionati. Ecco perché muoversi da soli, alla disperata ricerca di una presunta cura risolutiva con le Car-T, spesso espone non solo al disastro economico, ma, quasi certamente, al fallimento della cura.
Le cellule ingegnerizzate. In 10 anni la lotta al cancro è stata rivoluzionata dall’immunoterapia: se in passato la lotta alle metastasi era legata all’idea di eliminarle con molecole capaci di colpire le cellule cancerose, ora nel mirino finisce il sistema immunitario. Spetta a lui combattere la malattia. Il concetto è sfruttare la capacità delle cellule che ci difendono di riconoscere il cancro. Lo si può fare in diversi modi. Ultimo in ordine di tempo sono proprio le Car-T. «La tecnica - spiega Paolo Corradini, direttore della divisione di ematologia della Fondazione Irccs Istituto Nazionale Tumori di Milano - consiste nel prelievo dei linfociti T del malato per poi modificarli geneticamente in modo che sulla superficie esprimano un recettore chiamato Car. La sua presenza ha come effetto un potenziamento dei linfociti stessi, che li rende in grado, una volta reinfusi, di riconoscere e attaccare le cellule tumorali presenti nel sangue e nel midollo, fino a eliminarle». 
Tumori del sangue. Non tutte le Car-T sono uguali: se esprimono sempre il recettore chimerico, tuttavia differiscono per le molecole di co-stimolazione. Ecco perché alcune terapie agiscono come una fiammata e, appena reinfuse, hanno un’azione fortissima e immediata, mentre altre hanno un’azione meno esplosiva, ma possono agire nell’organismo per tempi più lunghi. Al momento l’approccio si è dimostrato efficace per alcuni tumori del sangue e dall’agosto dello scorso anno l’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, ha autorizzato la commercializzazione di Tisagenlecleucel (Novartis) e Axicabtagene ciloleucel (Gilead): il primo farmaco è destinato alla leucemia linfoblastica acuta a cellule B nei pazienti pediatrici e fino ai 25 anni di età e per il linfoma diffuso a grandi cellule B negli adulti, mentre il secondo farmaco è destinato agli adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B e con linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B.
Si tratta di terapie che sono risultate efficaci nel dare una risposta duratura contro la malattia nel 35-40% dei casi. Trattamenti che al momento, in Italia, non sono sul mercato - l’unica via, al momento, è la somministrazione ad uso compassionevole - a causa della negoziazione del prezzo ancora in corso tra l’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) e le aziende produttrici.
Solo in casi selezionati. «Pur essendo terapie salvavita da utilizzare quando non si hanno più altre armi a disposizione, ciò non significa che per tutte le persone affette da questi tumori le Car-T siano indicate. Tutt’altro. La selezione avviene attraverso criteri molto stringenti: spesso, se la malattia ha caratteristiche aggressive e ha compromesso organi importanti come il rene, una terapia Car-T avrebbe effetti devastanti sul malato. Non può, quindi, passare il messaggio illusorio che le Car-T siano la soluzione», precisa Corradini.
Intanto, al di là delle due terapie già approvate, al mondo sono centinaia le sperimentazioni in atto. Protocolli di cura sperimentali che, in quanto tali, non richiedono alcun pagamento. Eventuali iniziative di «crowdfunding», in questi casi, sono dunque destinate a supportare un soggiorno all’estero.
Diverso è il discorso per le terapie Car-T già approvate. Nell’attesa che possano essere disponibili anche in Italia la scelta di recarsi all’estero per «comprare» la cura espone a rischi elevatissimi. Se alcuni modelli sanitari diversi dal nostro, come quello degli Usa, consentono, per chi se lo può permettere, di accedere comunque alle terapie, spendendo fino all’equivalente di un milione di euro, non ci sono mai garanzie: in molti casi sottoporsi a queste cure sperimentali è comunque inutile o, addirittura, pericoloso. 
Cure all’avanguardia. «Le Car-T, almeno per ora, sono indicate in un numero ristretto di pazienti e spesso chi prende la strada dei viaggi della speranza lo fa nuocendo a se stesso e creando illusioni ad altri», ammonisce lo specialista. Non solo. «Pensare che negli Usa ci siano cure migliori - e parlo anche dell’Italia - è un falso mito. Proprio per il modello sanitario differente, se negli Usa sono disponibili più farmaci, non significa che questi portino a maggiori benefici clinici. Il nostro Paese tramite il Servizio sanitario - seppur perfettibile - è in grado di fornire cure tra le più all’avanguardia. Non dimentichiamolo».