La Stampa, 28 maggio 2019
Il modello dei Verdi tedeschi
«Un risultato che stordisce»: la leader dei Verdi bavaresi Katharina Schulze ha tirato fuori la parola «Hammerergebnis» per definire il clamoroso successo del suo partito al voto per le europee.
La cavalcata è cominciata a Monaco proprio con lei, nell’ottobre scorso, e ieri ha tinto di verde la Bundesrepublik, conquistando tutte le grandi città, da Monaco a Francoforte, da Amburgo fino a Berlino, che persino nei quartieri più a Est ha votato in massa per i Verdi. Per la prima volta nella loro storia sono il secondo partito del Paese, e passano dal 10,7 per cento del 2014 all’attuale 20,5. Franziska «Ska» Keller, candidata dei Verdi alla presidenza della Commissione europea, parla di un «risultato sensazionale che è anche una grande responsabilità».
Ma come hanno fatto? «È il frutto di una tattica condotta in modo capillare sul territorio - spiegano alla sede berlinese dei Verdi a Pankow, profondo Est - il segreto è stato nella mobilitazione dei giovani, dove abbiamo scommesso proprio sui temi europei». I Verdi hanno rispolverato l’antica cultura dell’internazionalismo, chiedendo ai giovani di spostare lo sguardo oltre i confini di casa propria, verso Est, ma anche verso Sud: nella sede di Charlottensburg-Wilmersdorf, ad esempio, hanno tenuto un ciclo di incontri sulla situazione del Camerun, sul Brasile, sulla Russia, sui rapporti tra Ue e Africa. Nessun relatore aveva più di 30 anni, chi si era laureato da poco, chi tornava da un’esperienza con una Ong, chi invece era pronto a partire per portare fuori il suo know-how. «Ho avuto l’impressione di tornare agli anni Settanta - ha osservato un elettore verde più anziano - quando si pensava che il valore della politica fosse tanto più grande quanto più abbracciava mondi lontani».
Tra paura e speranza
Chiunque conosca i tedeschi, inoltre, sa che politicamente sono guidati da un unico istinto: la paura. E i Verdi hanno lavorato anche su quello. «Sembrava che l’Apocalisse climatica fosse alle porte - dice ridendo un volontario della sede di Pankow - ma ci siamo impegnati per costruire una reazione, non per rassegnarci al disastro». E allora ogni giorno, in ogni sede di partito, se ne sono inventati una: il dibattito con gli esperti sulla digitalizzazione nelle scuole, l’incontro politico sul global warming nella discoteca di quartiere, l’offerta di podcast con le voci dei candidati e le loro idee, le presentazioni di libri su come rendere migliore il nostro pianeta. Un grande successo ha registrato ad esempio la serata con Frank Herrmann, autore di un libretto intitolato «FAIRreisen» (“Viaggiare Fair”), in cui si offrivano suggerimenti pratici su come fare una vacanza senza distruggere il pianeta: evitare l’aereo, portarsi il cibo da casa, non comprare o usare mai plastica per nessun motivo al mondo, evitare depliant e scaricare tutto in digitale.
«In questo modo - spiega Henrik Ederlein, direttore della Hertie School of Governance di Berlino, in prima linea per la formazione della nuova classe dirigente del Paese - i Verdi hanno neutralizzato sia i temi classici della destra, dall’immigrazione all’inefficienza della Ue, sia quelli della sinistra, ispirati a politiche sociali ormai stantie». Qualche giorno prima delle elezioni hanno anche ricevuto l’assist dei giovani influencer, lo YouTuber Rezo per primo: con il suo video «la distruzione della Cdu», visualizzato oltre 10 milioni di volte, il ragazzo con il ciuffo blu ha attaccato tutti i grandi partiti popolari tranne i Verdi. Che avreste votato se lo aveste ascoltato per oltre 55 minuti (tanto durava il video)?
Consenso dal basso
Qualche analista ha riutilizzato, per definire la strategia verde, il termine “Astroturfing”, coniato negli Usa alla metà degli anni Ottanta nell’ambito del marketing per descrivere la creazione a tavolino del consenso proveniente dal basso. Ma se anche fosse vero che i Verdi sono stati così abili da far convergere su di sé i movimenti spontanei di base, bisogna ammettere che se il 48% degli elettori li ha votati, la loro narrativa ha effettivamente centrato il bersaglio di creare un «umore verde» nel Paese. Sembrano lontanissimi i giorni in cui la politica Grüne era sinonimo di deindustrializzazione, di moralismo, di decrescita, persino di scarsità. Missione compiuta? Prima ci sono altre due sfide all’orizzonte: conquistare i Laender dell’ex Germania Est, dove l’estrema destra continua a essere il primo partito, e strutturare una leadership che sia all’altezza di un popolo così giovane e numeroso. Persino la Cancelleria, a quel punto, potrebbe non sembrare più un sogno.