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 2019  maggio 28 Martedì calendario

Biografia di Rupert Everett

Rupert Everett (Rupert James Hector E.), nato a Burnham Deepdale (Norfolk, Inghilterra) il 29 maggio 1959 (60 anni). Attore. «Mi piace essere ricco, ma non mi piacciono gli altri ricchi» • Ascendenze scozzesi, irlandesi, tedesche e olandesi • «Padre militare, famiglia cattolica e una casetta di mattoni rossi nello Hampshire, con tanto di tata e buone maniere» (Silvana Mazzocchi). «“A 7 anni i miei genitori mi hanno spedito ad Ampleforth, austero monastero benedettino”. […] Ha sofferto parecchio. “Ho pianto molto, sì: separarmi da mia madre è stato un trauma, e il collegio era duro, roba da talebani. Quelle scuole sono state create quando la Gran Bretagna era un impero. Lo scopo era formare i futuri coloni: uomini che dovevano amministrare le province con la massima severità e la minima empatia. Non so dire se sia cresciuto completamente privo di sentimenti, ma sicuramente, allora, qualcosa dentro di me si è rotto”. […] Lei ha studiato molto da ragazzo? “Pochissimo: andavo male in tutte le materie. E commettevo un sacco di peccati: speravo di scongiurare la possibilità che mi arrivasse la vocazione”. Quali peccati? “Desiderare di essere una ragazza, per esempio. E travestirmi come tale. Oltre a interpretare tutti i ruoli femminili nelle recite scolastiche, durante i weekend mi imbucavo nei camerini del teatro, indossavo gonne, cappelli, foulard, poi andavo sugli spalti dello stadio dove i miei compagni giocavano a rugby: mi fingevo una loro spettatrice”. Immagino che i monaci benedettini non fossero estasiati. “Quando l’hanno scoperto mi hanno dato la caccia, letteralmente. Finché non ho reso tutti i costumi presi in prestito”. È il motivo per cui è stato allontanato dal collegio? “Ero io a volermene andare, per iscrivermi a un’accademia di recitazione a Londra”. Sapeva già allora di avere talento? “Sapevo che desideravo averne. Con i miei compagni di studi facevamo sempre questo scherzo: ci scrivevamo l’un l’altro bigliettini fingendoci registi famosi: ‘Caro sig. Everett, ho avuto modo di apprezzare la sua interpretazione in tale e tale spettacolo. Credo che lei sia dotato di grande predisposizione. Sarei felice di incontrarla per un provino. Cordialmente, Franco Zeffirelli’”» (Nina Verdelli). «Volete sapere se mi sono prostituito? Sì, è successo quando lasciai la scuola: ero disperato e non sapevo dove sbattere la testa». «Studia recitazione a Londra, ma presto viene espulso per indisciplina. Lavora a Milano come indossatore e di nuovo in patria, in teatro e in televisione» (Gianni Canova). «Debutto interessantissimo al cinema nel 1984 in Another Country di Marek Kanievska, impersonando Guy Bennett, uno studente del gruppo di universitari comunisti di Oxford appartenenti a eccellenti famiglie inglesi divenuti, per speranza o snobismo, spie dell’Unione Sovietica: premio al Festival di Cannes, grande successo di pubblico, affermazione della bellezza ambigua dell’attore, alto, snello, gay, con il collo troppo lungo e sottile» (Lietta Tornabuoni). In seguito, «ha fatto in Ballando con uno sconosciuto di Mike Newell il giovane cinico aristocratico che portò alla morte l’ultima donna legalmente impiccata in Inghilterra. Ha fatto un principe di Galles gonfio, maligno e magnifico ne La pazzia di re Giorgio di Nicholas Hytner. Elegante e autoironico, ha recitato quel tipo di giovanotto inglese alla Wodehouse che soltanto Hugh Grant arriva a impersonare bene quanto lui: accanto a Madonna in Sai che c’è di nuovo? di Schlesinger (la coppia amichevole gay-maestra di yoga aveva pure un figlio), accanto a Julia Roberts ne Il matrimonio del mio migliore amico di Hogan» (Tornabuoni). «La sua parentesi italiana è consistente. Recita per Francesco Rosi (Cronaca di una morte annunciata), per Giuliano Montaldo (Gli occhiali d’oro), […] per Carlo Vanzina (South Kensington)» (Tornabuoni). «È anche il protagonista dell’horror Dellamorte Dellamore (1994) di M. Soavi, basato su un racconto di T. Sclavi: il film chiude un cerchio aperto dallo stesso Sclavi, che si è basato sulle fattezze tenebrose di Everett per creare il personaggio di Dylan Dog, protagonista dell’omonimo fumetto. Nel 2002 fornisce un’ottima prova di maturità recitativa in L’importanza di chiamarsi Ernesto di O. Parker, dall’omonima commedia di O. Wilde. […] Tra le interpretazioni successive, il ruolo di Carlo II in Stage Beauty (2004) di R. Eyre e quello di un amante coinvolto in un omicidio in Un giorno per sbaglio (2005) di J. Fellowes; è inoltre nel cast del fantasy Stardust (2007) di M. Vaughn» (Canova). Negli anni successivi Everett si dedicò principalmente al teatro e a piccole partecipazioni televisive e cinematografiche, per tornare pienamente al grande schermo nel 2018, nella triplice veste di regista, sceneggiatore e protagonista di The Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde, incentrato sull’ultima fase della vita dello scrittore. «Un personaggio centrale per la formazione artistica e personale di Rupert Everett, che si rivede nel grande scrittore inglese per il rapporto a intermittenza con il successo, per l’ostracismo ricevuto per la sua omosessualità (certo non ai livelli di Wilde) e per la passione per la letteratura. Dopo aver recitato in vari film tratti dalle sue opere (Un marito ideale, L’importanza di chiamarsi Ernesto), il sogno era diventare lo scrittore, incarnarlo, essere lui senza timore di mostrarne anche gli aspetti meno piacevoli: appesantito, indebolito dal carcere e dai lavori forzati nello spirito e nel corpo, ma pur sempre quello spirito geniale capace di battute folgoranti e immagini poetiche. Rupert Everett, lei non ha avuto paura a mostrare Oscar Wilde vecchio, malato, sconfitto. Perché raccontare questa parte della sua vita? "Tutti i film precedenti su Oscar Wilde si interrompono nel momento in cui va in prigione. E quindi ho pensato che poteva essere un buon punto di partenza. Oscar Wilde a Parigi è una delle immagini che mi ha ispirato durante tutta la mia vita. […] L’esempio di Oscar Wilde per me è stato di ispirazione: lui è stato una grande star e il film parla di quanto la fama lo abbia reso cieco". […] Perché lei ha scelto la storia del Principe felice come titolo del film e come filo rosso che tiene insieme la storia? […] "Quella storia è stata la mia introduzione a Oscar Wilde, perché mia mamma me la leggeva quando avevo sei anni. Ho un forte ricordo di me bambino con mia mamma che mi sussurrava le frasi del Principe felice. E ho scelto quella storia perché una delle cose meravigliose di Oscar Wilde è che, pure nel suo esilio a Parigi, non è mai stato una vittima. Oggi noi idolatriamo le vittime, ma lui non si è mai sentito tale, anche in povertà, anche se era costretto a cambiare alberghi, a spostarsi in pensioni economiche. Anche in quei momenti non ha mai perso il senso di sé, e soprattutto il senso dell’umorismo"» (Chiara Ugolini). «Che cosa le ha insegnato il suo debutto alla regia? “Soprattutto che il grosso del lavoro avviene prima delle riprese, e riguarda la scelta delle persone con cui girare, quelle che ti aiuteranno a trasformare il tuo sogno in realtà. All’inizio della mia carriera ho avuto la fortuna di incontrare giganti come Danilo Donati e Piero Tosi: da loro ho appreso l’importanza dei dettagli di una trama. Finalmente ho potuto mettere in pratica quell’insegnamento, e adesso ho una gran voglia di tornare dietro la macchina da presa”. Ha già un progetto? “Sì, sto lavorando a un soggetto ispirato al mio libro autobiografico Bucce di banana, in particolare al racconto di un viaggio a Parigi che volevo fare quando avevo 17 anni”» (Fulvia Caprara). Nel marzo 2019 è inoltre apparso su Rai Uno nella miniserie Il nome della rosa di Giacomo Battiato, ispirata all’omonimo romanzo di Umberto Eco, nella quale Everett interpreta l’inquisitore domenicano Bernardo Gui. «Per me è stata una grande opportunità poter passare da Oscar Wilde al ruolo dell’inquisitore Bernardo Gui praticamente nello stesso anno. Due personaggi diametralmente opposti» • Apertamente omosessuale sin da fine anni Ottanta. «Io non ho mai dichiarato niente. Semplicemente, non mi sono mai nascosto. E, quando un giornale […] nell’89 scrisse che io ero gay, non ho smentito». «Lei spesso ha dichiarato che, se non avesse fatto coming out, forse avrebbe ottenuto più parti. Tornasse indietro, si comporterebbe diversamente? “No, per due motivi. Il primo: quando ho iniziato, il mestiere dell’attore era considerato una professione serissima: noi eravamo lo specchio del mondo; i film, indagini sulla società. Io mi sentivo molto legato al mio pubblico, e non volevo mentire: l’onestà era importante”. Il secondo motivo? “Essere omosessuale negli anni ’70 e ’80 era troppo divertente: c’era fermento, spuntavano i primi gay club. Noi ci battevamo per vivere alla luce del sole, e non avevo nessuna intenzione di nascondermi in casa”» (Verdelli). «Il problema non è Hollywood: sono le lobby degli esercenti. Nessuno ti impedisce di fare film perché sei gay, ma poi quei film non vengono distribuiti, le sale non li prendono, e se un film non va in sala la tua carriera ne fa le spese. La cosa buffa è che è pieno di etero che vogliono interpretare gay, ma il contrario non si può fare» • «Però, ai suoi genitori, “sono gay” non l’ha mai detto. “No”. E non ha mai neanche portato un fidanzato a casa? “Certo che sì, solo non subito”. Nonostante questo, recentemente sua madre le ha confessato che avrebbe tanto desiderato vederla sposato con figli. “La conosco come le mie tasche. […] Ha mentito: è troppo egoista per accudire dei nipoti”. Lei ha mai desiderato diventare papà? “Come tutti, credo, ho accarezzato l’idea per un periodo”. C’è anche andato vicino. Nella sua autobiografia, Bucce di banana (Sperling & Kupfer, 2007), racconta che la storia con Béatrice Dalle è finita quando l’attrice si è resa conto di non essere incinta come aveva sospettato. “Già. In ogni caso, penso di non averli voluti veramente. I figli, intendo. Altrimenti, li avrei fatti. Venivo da una famiglia molto rigida e tradizionalista: quando sono riuscito a emanciparmi, mi sono sentito un uccello liberato. Ripiombare in un’altra gabbia non mi entusiasmava”» (Verdelli). «Matrimonio: ci ha mai pensato? “Oddio, no. Col mio boyfriend brasiliano stiamo insieme da più di 10 anni [nel 2018 – ndr]: potremmo considerarlo un matrimonio a tutti gli effetti. Ma, no, odio le nozze, le torte nuziali, etero o omosessuali che siano”» (Antonella Catena) • Nel 2018 è tornato a vivere presso la madre, «nella casa di campagna che lei possiede nel Wiltshire e che è stata quindi opportunamente divisa a metà per ricavarne un alloggio indipendente per Everett. Che, va detto, non si è scoperto “mammone” tutto d’un colpo, ma vuole solo aiutare la 83enne genitrice durante la vecchiaia. […] “Non sono sicuro se questa mossa sia meravigliosa oppure tragica – ha detto Everett –, […] perché spendi così tante energie per allontanarti da casa, ma poi quando invecchi senti il bisogno di tornare nei posti della tua gioventù”» (Simona Marchetti) • Dopo aver attraversato varie fasi nel suo rapporto con la religione e la cultura cattolica nel cui seno è stato allevato, attualmente considera la religione «la radice di ogni male» • Autore di due romanzi (Hello, Darling, Are You Working? e The Hairdressers of St. Tropez, risalenti alla prima metà degli anni Novanta e inediti in Italia) e di due volumi autobiografici, Bucce di banana e Anni svaniti (entrambi pubblicati da Sperling & Kupfer, rispettivamente nel 2007 e nel 2013). «Bucce di banana […] è un libro condito di sesso e droga, seppure in versione patinata. Ma è anche una carrellata di personaggi e di eventi descritti con apprezzabile sincerità. […] Il suo è un modo di scrivere provocatorio e brioso, e gli viene naturale mischiare episodi da border line di lusso con ricordi tormentosi di eventi tragici e globali. Rapporti occasionali e legami profondi, come quello con Gianni Versace, nella cui casa di Miami gli piaceva andare a fare quattro chiacchiere. Come attore è versatile. Il teatro è la sua passione; i film appagano la sua voglia di soldi, di celebrità e di girare il mondo. Gli capita di stare a Berlino quando nel 1989 cade il Muro; a Mosca nel 1991, nei giorni dell’avvento di Eltsin e della fine del comunismo; e a Manhattan l’11 settembre 2001. Ed è proprio nel giorno della strage delle Torri gemelle che, per malattia, perde l’amico Albert. Ma la sua seconda casa resta naturalmente sempre Hollywood, lo scenario più amato e più odiato. […] Madonna è il suo mito. La incontra per la prima volta quando ancora lei "non era una material girl" e si parcheggiava la macchina da sola. E lui, che pure ha conosciuto un sacco di star, che a diciotto anni già cenava alla Coupole di Parigi con Andy Warhol e Bianca Jagger, che aveva sniffato popper con Hardy Amies e si era fatto di coca con Steve Rubell e Halston allo Sudio 54, ne rimane folgorato. […] Cenano in un ristorante, al tavolo siedono Madonna e il suo compagno di allora Sean e la loro amica Mel. "Madonna era rumorosa ma composta, elegante ma ordinaria. Aveva le labbra a cuore di una diva del cinema muto e avevo capito benissimo che per tutta la durata della cena non aveva fatto altro che giocherellare con l’uccello di Sean. Trasudava sesso e pretendeva da chiunque una reazione sessuale". Quando si alza per andare alla toilette, lei ordina: "Sean, accompagnami". I due vanno e tornano venti minuti dopo. "Alla fine della cena ero innamorato di lei"» (Mazzocchi). «Anni svaniti, seconda puntata delle sue memorie dopo Bucce di banana, è un volo pindarico che spazia tra un reality-show – The Apprentice, da cui Everett è scappato inseguito dagli organizzatori –, Lourdes – luogo dove, incredibile a dirsi, l’attore inglese è stato ben quattro volte in pellegrinaggio – e Torino, scenario di una storia d’amore dolorosa con un bancario: il tutto passando per New York, Mosca, Berlino, Phnom Penh. Non mancano battute velenose sui colleghi. […] Perché Anni svaniti? “Ho preso questa espressione da una poesia del commediografo Noël Coward che parla della paura della morte. È perfetta per raccontare l’idea del passato che non può tornare”. […] Parla di sesso in modo abbastanza esplicito… “Cose successe anni fa, svanite appunto… È un argomento che non mi interessa più. Mi sento come un’ameba, e ho un’età in cui parlare di sesso è veramente insensato”» (Letizia Rittatore Vonwiller). «Ho scritto quattro libri e sto lavorando al quinto. Quando scrivo, non recito. Mi isolo completamente e divento metodico: lavoro tutte le mattine dalle 9.30 alle 13. Impiego almeno un mese a trovare il ritmo» • «Sento l’orgoglio di aver partecipato a un pezzo della storia del cinema italiano, quella dei grandi autori, iniziata dopo la guerra, ma che di lì a breve sarebbe finita. Di Montaldo e Rosi ricordo la grande maestria: ero giovane, avevo tanto da imparare, il solo osservare Gian Maria Volonté era una lezione. Soavi, poi, è stato straordinario nel trasporre il fumetto in maniera creativa, innovativa. Mia madre mi venne a trovare sul set di Rosi, vide Ornella Muti, mi disse: “Devi assolutamente sposare quella ragazza, è la più bella che abbia mai visto”. In effetti, lo era. Di quel film non mi piaceva molto com’era venuta la parte in cui ci reincontriamo da vecchi. Dissi a Rosi, scherzando: “Rivediamoci fra vent’anni e rifacciamola: sarà più naturale”. Invece oggi sarebbe impossibile, perché Ornella Muti in realtà è ringiovanita…» (ad Alessandra Vitali) • «Della famiglia aristocratica ha ereditato i tratti eleganti, il collo da giraffa, il broncio leggero e quel tocco terribilmente snob che, unito al carattere ribelle, lo ha reso magnifica preda di moda, cinema e tv» (Caprara). «Alto, dal portamento aristocratico ma pronto alla battuta amichevole, con un’aura di mistero che lo ha fatto diventare il modello per Dylan Dog» (Giancarlo Zappoli). «Che sia passato del tempo, da quando interpretava ruoli da giovane sciupafemmine, si vede. Restano il fascino, la gentilezza di un signore molto British in cui l’eleganza compassata cede a tratti il passo a battute feroci, autoironiche» (Vitali) • «Che cosa le dà gioia? “Il cielo, uno scherzo divertente, un bel film, camminare per strada, gli alberi, gli uccelli. E l’Europa”. L’Europa? “Sì, quell’Unione che purtroppo stiamo distruggendo, noi inglesi per primi, a colpi di egoismi nazionalisti e paure del diverso. Non sono un fan dell’apparato burocratico di Bruxelles, ma penso che il progetto comunitario sia la conquista più preziosa del secolo scorso. L’àncora di salvezza del presente. E l’unico faro di speranza per il futuro”» (Verdelli) • «Farebbe di nuovo l’attore se potesse ricominciare tutto da capo? “No. Vorrei trovare una fidanzata molto ricca con un sacco di case in tutto il mondo: io potrei occuparmene, e aprirle e sistemarle per lei. Mi piacerebbe: amo arredare le case, comprare i dipinti, i tappeti e i mobili. Se potessi iniziare una nuova vita, sarei un perfetto gigolo. Lo avrei saputo fare molto bene, ma oggi sono troppo egoista”» (Alain Elkann).