27 maggio 2019
Tags : Giuseppe «Beppe» Sala
Biografia di Giuseppe «Beppe» Sala
Giuseppe «Beppe» Sala, nato a Milano il 18 maggio 1958 (61 anni). Politico. Sindaco di Milano (dal 21 giugno 2016). Dirigente pubblico e privato. Già commissario unico di Expo 2015 (2013-2015) e amministratore delegato di Expo 2015 spa (2010-2016). «Non serve a niente pensare di essere più intelligenti per poi rimanere all’opposizione» • Nato nel capoluogo lombardo, crebbe a Varedo, in Brianza, «un borgo dove le case si somigliavano tutte: il giardino, il cancello, l’azienda di famiglia». «Borgo ricco, buono per crescerci, stretto per decollare. […] Figlio di un mobiliere, […] Giuseppe Sala non ha […] fratelli: sua madre Stefania ne ha persi tre – due erano gemelli – verso la fine della gravidanza. Forse non è un caso che il suo giocattolo preferito fosse un cagnolino giallo con le rotelle, che si tirava dietro con una cordicella, a compensare presenze mancate. Non gli ha mai dato un nome: lo chiama ancora “cane” e se l’è sempre portato appresso, di casa in casa» (Carlo Verdelli). «Suo padre ha un’azienda di arredamento, e la Brianza è la patria della manifattura. Ecco le regole non scritte della dinastia Sala: “Famiglia, educazione, casa, lavoro. E poi dovere, dovere, dovere”» (Maurizio Giannattasio). «Com’era Milano vista da Varedo? “Un sogno, un mito. Per i ragazzi della mia generazione tutto girava intorno alla musica: ascoltandola, imparavamo ogni cosa, anche l’inglese. I concerti li facevano solo a Milano, e per venire dovevo lottare con mio padre, un brianzolo tutto d’un pezzo che non subiva per nulla il fascino della città”. Alla fine, la lasciava andare? “Sempre. Era un uomo saggio, capiva che io ero diverso da lui. Aveva una piccola azienda di mobili, che, almeno all’inizio, sperava io portassi avanti. Poi, ha capito anche questo: che non l’avrei fatto, che avevo ambizioni diverse. Quando è morto l’ho regalata a un concorrente, con il patto che assumesse tutti e quaranta i nostri dipendenti. Non l’ho mai visto come un gesto di generosità, ma come una cosa che andava fatta: molti di loro mi avevano visto crescere, non potevo fare finta di nulla”» (Silvia Nucini). Conseguita la maturità scientifica, nel 1977 Sala s’iscrisse all’Università Bocconi. «Perché scelse proprio la Bocconi? “Per scappare. […] La Bocconi fu il mio infinito oltre la siepe, e fu la mia fortuna”» (Francesco Merlo). «“Nel 1983 chiunque usciva dalla Bocconi con buoni voti riceveva molte offerte. Ho scelto la Pirelli per due motivi: perché era una azienda milanese e una vera multinazionale”. Non perché fosse particolarmente innamorato del ruolo di un gigante economico, ma perché gli permetteva di coltivare una delle passioni che lo hanno accompagnato per tutta la vita: viaggiare. “Dalla provincia alla città, al giro del mondo”. […] Prima del tour mondiale nei vari continenti, Sala ha fatto la gavetta. Prima in fabbrica a Torino, poi a Brescia in un grande distributore di pneumatici. Ogni volta che gli operai montavano le gomme a un’auto, la sua scrivania vibrava come scossa da un terremoto: “La gavetta è stata la mia fortuna: la concretezza e il pragmatismo sono l’eredità di quegli anni”» (Giannattasio). «Per storia professionale, Sala è un Tronchetti Provera boy. Carriera senza intoppi. Entrato subito in Pirelli, nel 1994 è direttore della gestione e pianificazione strategica dei pneumatici, nel 1998 è amministratore delegato di Pneumatici Pirelli, nel 2001 è senior vice president of operations, responsabile delle strutture industriali e logistiche del settore pneumatici. Sono gli anni ’90, in cui Marco Tronchetti Provera si prende la guida operativa del gruppo, ne ristruttura le attività, rilancia la gestione finanziaria, diversifica nell’immobiliare (la Grande Bicocca). Fino all’inizio degli anni 2000, quando Tronchetti Provera prende il controllo di Telecom Italia, la seconda grande partita della sua vita (Fc Inter a parte). […] Così nel 2002 Sala trasloca in Telecom, chief financial officer di Tim, prima di essere dal 2003 al 2006 direttore generale di Telecom Italia» (Maurizio Crippa). «Ma l’esperienza finisce nel 2006, quando Sala entra in rotta di collisione con il giovane rampante Riccardo Ruggiero. […] Il manager lascia un posto di prestigio e uno stipendio da diversi zeri e apre un altro capitolo della sua vita. Per circa due anni fa il consulente e lavora anche per la multinazionale giapponese Nomura. Poi il passaggio dal privato al pubblico, il momento cruciale della sua carriera. Luciana, la storica assistente personale dell’allora sindaco Letizia Moratti, lo chiama per fissare immediatamente un appuntamento. "Vento permettendo, sono a Milano tra sette o otto giorni", risponde lui. Che in quel momento è in mezzo all’Oceano Atlantico, impegnato in una regata con gli amici. È la fine del 2008, e Palazzo Marino ha bisogno di un direttore generale in grado di rimettere ordine tra i tanti dossier aperti. Prima di allora e del colloquio che all’inizio del 2009 lo fa approdare in piazza Scala, Sala non aveva mai conosciuto Moratti. A suggerire il suo nome fu Bruno Ermolli: i due si erano conosciuti ai tempi di Telecom, quando il manager era l’uomo di fiducia di Tronchetti ed Ermolli quello di Silvio Berlusconi. Comincia così l’avventura da manager pubblico. Anche se l’intesa con Moratti finisce presto. Il maggior punto di attrito: un piano ideato da Sala e chiamato con l’ambrosianissimo nome di "Ambrogio" per creare una holding che gestisse al meglio le società municipalizzate. Tutto bloccato dal centrodestra» (Alessia Gallione). «Sala scalpita. Non è uomo abituato all’obbedienza. Fiuta l’occasione. La società che dovrebbe organizzare l’Esposizione universale è allo sbando. E lui, che ha già seguito il dossier, trova ancora la sponda giusta. A giugno del 2010 viene nominato amministratore delegato di Expo 2015. Seguono anni difficili. In pochi credono al successo dell’evento milanese. Con Pisapia e Roberto Formigoni, ex governatore della Lombardia, i rapporti mutano dal freddo all’ostile. Sala tiene dritto il timone. Enrico Letta lo nomina commissario unico del governo a maggio del 2013 per l’organizzazione dell’evento. Poi arriva Renzi. E, un mese dopo, Expo viene travolto dalle inchieste per corruzione: una serie di arresti decapitano i vertici della società. Spalleggiato dal premier, il manager milanese resiste all’ennesima buriana» (Antonio Rossitto). «La svolta […] arriva una domenica mattina, con la telefonata dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che lo invita a resistere. E così fa. Il governo interviene, e manda il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone a vigilare su bandi e contratti. […] Expo ce l’ha fatta, nonostante tutto» (Gallione). «Per i sei mesi dell’Expo Giuseppe Sala, ormai passato alle cronache mondane come Beppe, è stato uno degli uomini più in vista del Paese. Ma non solo. Padrone di casa e gran cerimoniere di quel mega evento anche mediatico che ha portato a Milano i turisti e soprattutto i giornalisti di tutto il mondo, ha macinato chilometri tra cardo e decumano per ricevere capi di Stato e ministri dalle provenienze e dalle fogge più diverse, ricavandone in cambio le copertine dei magazine più prestigiosi. Quelli che hanno fatto della città il “place to be” dell’anno 2015, il luogo dove bisognava assolutamente essere» (Giannino della Frattina). Sull’onda dell’apparente successo (in seguito parzialmente ridimensionato) di Expo 2015, dopo qualche iniziale esitazione Sala accolse l’invito dell’allora presidente del Consiglio Renzi, che aveva rapidamente individuato in lui la miglior incarnazione di un centrosinistra pragmatico e vincente, a partecipare alle primarie del Pd per la candidatura a sindaco di Milano: il 7 febbraio 2016 riuscì a prevalere, con il 42% dei voti, sui due candidati della giunta uscente, il vicesindaco Francesca Balzani (34%), sostenuta dal sindaco Pisapia, e l’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino (23%). «“Se ti candidi, vinci a mani basse”, gli andavano a ripetere in processione nell’ufficio di Expo per convincerlo ad accettare. Lo aveva pensato anche lui: certo non si aspettava che le primarie sarebbero diventate un campo di battaglia con morti e feriti ancora stesi sul campo. Né aveva previsto il calo di popolarità di Renzi, e che il centrodestra si sarebbe ricompattato intorno ad un candidato pragmatico e rassicurante come è anche lui» (Elisabetta Soglio). In vista delle elezioni, infatti, il centrodestra aveva candidato Stefano Parisi, ex amministratore delegato di Fastweb e cofondatore di Chili Tv. «La strada non è in discesa. Ci sono le perplessità della sinistra, il refrain di essere troppo simile a Stefano Parisi, le polemiche legate al suo ruolo in Expo: le accuse di non fare chiarezza sui conti dell’Esposizione, la casa in Liguria a cui ha lavorato anche un architetto di Expo, non aver denunciato nella dichiarazione fatta come manager pubblico un’altra casa in Svizzera. Fino alle battaglie legali legate alle sue dimissioni da commissario e a una sua presunta incandidabilità. Alla fine, però, ha vinto lui» (Gallione). Dopo un primo turno molto combattuto (in cui Sala aveva ottenuto il 41,70% dei voti e Parisi il 40,78%), infatti, il 19 giugno 2016, al ballottaggio, Sala riuscì a battere Parisi, con il 51,70% dei voti. «Ha vinto, Beppe Sala. Nonostante tutto. […] Perché quella di Sala e del centrosinistra non è stata una vittoria semplice, né scontata. […] Quando Stefano Parisi si è candidato, il divario tra i due manager era di quasi 8,5 punti. Certo, allora quasi nessuno conosceva il fondatore di Chili Tv. Ma si è arrivati a un vero testa a testa, e i due si sono guardati da vicino, tanto che il 9 giugno, appena quattro giorni dopo il primo turno, il distacco si sarebbe ridotto ulteriormente fino a un risicatissimo 0,6 per cento. C’è voluto un cambio di marcia in corsa per riprendere quota. E una strategia che ha puntato su una parola d’ordine: (ri)motivare il centrosinistra e non solo. Anche agitando la foto di gruppo di Salvini-Gelmini-La Russa, anche facendo 30 mila telefonate elettorali al popolo delle primarie. Ecco come Mr Expo è diventato sindaco di Milano» (Gallione). Nel corso del suo mandato, Sala ha finora operato in modo per lo più giudicato efficace, tanto che nel dicembre 2018 Milano è stata proclamata dal Sole 24 Ore la città con la migliore qualità della vita in Italia; parallelamente il sindaco ha visto consolidare e ampliare il proprio consenso, attualmente stimato intorno al 60% nonostante la forte crescita del centrodestra a trazione leghista. «Come si concilia il gradimento stellare di Sala e della sua giunta con le intenzioni di voto dei milanesi, che vanno in direzione contraria rispetto all’attuale maggioranza? La prima risposta è semplice e banale. Alle elezioni europee Sala non si presenta. La seconda è che Sala non è considerato e non è un iscritto al Pd. La sua figura, anche se ormai è diventato un politico a tutto tondo, è ancora molto legata alle sue doti manageriali grazie al grande successo di Expo. Ultima considerazione: le Europee non sono le Amministrative. E, se Sala dovesse ripresentarsi per un secondo mandato, le intenzioni di voto necessariamente cambierebbero. […] Con Sala il centrosinistra giocherebbe comunque la sua partita, senza Sala il risultato appare scontato» (Giannattasio). «“La mia forza fondamentale è stata comprendere che lo scetticismo che c’era nei miei confronti, perché ‘manager’ e ‘di sinistra’ sono due concetti che normalmente non stanno insieme, andava compreso. E allora, piano piano, ho cercato di convincere gli elettori con le azioni”. Ce l’ha fatta? “Adesso il massimo della soddisfazione è trovare gente per strada che ti dice: non ho votato per lei, ma mi sono pentito”. […] Cosa ha dato questa marcia in più alla città? “Anzitutto i sindaci che si sono succeduti hanno avuto il buonsenso di non buttare via quello che avevano fatto i loro predecessori (al contrario di ciò che a volte è successo a Roma). Gabriele Albertini è stato il padre di Porta Nuova e delle prime idee di CityLife, Letizia Moratti ha portato a casa l’Expo e ha cominciato a dire ai milanesi che bisognava iniziare a ragionare in maniera un po’ internazionale, Pisapia ha aperto alla partecipazione e io vorrei essere ricordato per questa idea di una Milano tollerante e aperta ma attenta alle regole, che è un unicum in Italia”. […] “Milano è l’unica città in cui a fianco dell’arte e dell’architettura del passato vedi la creatività, il nuovo. Penso, ad esempio, al Museo del Design che apriremo l’anno prossimo”. È un rilancio che è destinato a durare? “Bisogna continuare a rilanciare: per questo stiamo cercando di portare a casa, insieme a Cortina, le Olimpiadi invernali 2026. Ma, al di là della narrazione, i milanesi sono molto concreti: vedono se le cose funzionano oppure no”. […] Come va la convivenza con la Regione a guida leghista? Vince quell’aspetto pragmatico di continuità o il contrasto politico passa in primo piano? “In una prima fase il rapporto è stato buono, ora lo è un po’ meno: se io cerco di creare una collaborazione nella diversità e il ministro degli Interni viene a Milano, si mette su un muretto col megafono e urla ‘Mandiamo a casa il sindaco’, come si fa? L’aggressività della Lega alla ‘tanti nemici, tanto onore’ sta cercando di mettere in discussione il mio ruolo due anni prima delle elezioni. Io cerco sempre di essere garbato, ma non mi faccio mettere in un angolo. […] Però non so se il messaggio di apertura che porto avanti io sarebbe comprensibile anche allargando la scala al Paese. Né so se Beppe Sala potrebbe essere apprezzato anche a livello nazionale”. Sta pensando a una candidatura politica? “Non so cosa farò in futuro. Non nascondo, però, che mi piace alzare la testa e riflettere sulle dinamiche di politica nazionale, ad esempio invitando il sindaco di Lione a fare un dibattito pubblico per spiegare la logica della Tav. Che poi la Tav non collega solo Torino e Lione: è quella cosa che ti permette di andare a Parigi in quattro ore e 31 minuti e togliere dalle strade centinaia di migliaia di camion”» (Stefano Accorsi) • Iscritto il 15 dicembre 2016 dalla Procura di Milano nel registro degli indagati per presunte irregolarità nella gestione di alcuni bandi e appalti di Expo 2015, l’indomani Sala si autosospese dalla carica di sindaco, per poi tornare sui propri passi quattro giorni dopo. Il 13 maggio 2019 la Procura di Milano ha chiesto che Sala sia condannato a un anno e un mese di reclusione, imputandogli la retrodatazione di due verbali relativi alla sostituzione di due componenti della commissione di una delle principali gare d’appalto dell’Esposizione. «Quando ho accettato di fare l’amministratore delegato di Expo sapevo che la mia vita sarebbe cambiata, che mi sarei esposto a questo genere di rischi. Del resto, è ormai impossibile amministrare la cosa pubblica senza incappare in procedimenti giudiziari. O, meglio, si può, ma al prezzo di una cautela che rasenta la paralisi: una modalità che non mi appartiene» • Ha raccontato di aver superato una grave forma tumorale. «“A 39 anni mi hanno diagnosticato un linfoma non Hodgkin. Il linfoma non è ereditario, ma era lo stesso identico tumore che si era portato via mio padre: in sei mesi, senza lottare. Invece io ho lottato per due anni, e ora sono qui, anche se da certe cose hai la sensazione di non essere mai uscito per davvero. Fino alla diagnosi avevo solo corso, e pensato a me stesso. Sono passato dal sentirmi onnipotente a niente. Dopo il trapianto di staminali pesavo dieci chili meno e non avevo più un pelo su tutto il corpo. Quando sono tornato al lavoro – tre settimane dopo l’intervento – e mi sono visto riflesso nello specchio dell’ascensore dell’ufficio, ho visto un cadavere. Ma non ero morto, anzi. La mia seconda vita è stata la migliore”. Che cosa ha lasciato nella prima vita? “Le insicurezze. Ne avevo tantissime”. E che cosa ha trovato nella seconda? “Una frase: ‘Vediamo cosa arriva’. E le cose arrivano. Quando mi chiedono di parlare con qualcuno che è malato, dico sempre due cose, quelle che ho fatto io. Che sono state: avere una fiducia totale nella medicina e non subire il cancro, ma viverlo come un’opportunità”» (Nucini). «“Veronesi mi ha guarito, mentre il mio analista mi ha accompagnato a riprendere il gusto della vita. Era un tipo particolare, fuori dagli schemi”. In che senso? “Era un ebreo cileno, anche sociologo, che forse non aveva tutti gli strumenti scientifici regolari, ma era dotato di grande umanità. Una notte in cui ero quasi sopraffatto dalla disperazione, mi ha tenuto al telefono fino quasi a ipnotizzarmi e a farmi addormentare. Consiglierei a chiunque di farsi aiutare in momenti di necessità. Io sono uscito dall’esperienza della malattia profondamente cambiato. Prima ero granitico nelle mie certezze e vedevo la vita come una linea retta. L’impatto con la caducità mi ha insegnato ad apprezzare le curve”» (Stefania Rossini) • Tre matrimoni alle spalle, una relazione in corso; senza figli. «“La prima volta, a 33 anni, mi sono sposato per automatismo, pensando che era ora di mettere la testa a posto. Il matrimonio è durato un anno”. La seconda volta? “È stata un frutto della malattia. Lei si è comportata in modo straordinario, e siamo arrivati a sposarci… e a divorziare presto. Il terzo, però, è stato un matrimonio felice. È durato 12 anni ed è finito per esaurimento”. Quindi considera gli amori a termine? “Un po’ sì, ma sono certo che il mio amore attuale non lo sarà. Ho trovato in Chiara Bazoli la donna che ho cercato per tutta la vita”» (Rossini). «Lei non ha figli. È stata una scelta? “È stato un errore. Avrei dovuto congelare il seme prima di fare la chemio. Mi avevano informato che sarei diventato azoospermico, ma allora pensavo solo a portare a casa la pelle, e non mi sono preoccupato dei figli. In seguito mi sono molto pentito di questa leggerezza; poi ho superato il pentimento e, semplicemente, ho accettato la realtà dei fatti. La mia compagna (Chiara Bazoli, ndr) ha tre figli e, senza nulla togliere al loro bravissimo papà, mi piace passare il tempo con loro, anche se non viviamo insieme. E poi, per tantissimi figli di amici sono ‘zio Beppe’. Mi scrivono, mi chiedono consigli, che io do, sperando sempre che non siano in contrasto con quello che dicono i genitori: se no, mi tocca litigare”» (Nucini) • «Cattolico convinto ma praticante intermittente» (Verdelli). In veste di sindaco, tra l’altro, ha celebrato varie unioni civili anche tra omosessuali. «Lo faccio per principio, per rispetto dei diritti e perché siamo tutti figli della nostra storia. Quando avevo dieci anni, nel 1968, ho avuto un imprinting decisivo: una zia ventenne si presentò al cenone di Natale nella mia cattolicissima famiglia con una fidanzata. Nello sconcerto di tutti, io volevo capire, e la zia mi spiegò che anche quello era amore. Il bello è che, dopo aver vissuto vite diverse, le due ex fidanzate, oggi anziane, si sono ritrovate, e hanno chiesto a me di sposarle» • «Ho sempre votato a sinistra. Il primo voto l’ho dato ai repubblicani, poi ho avuto il mio innamoramento per i radicali. Quindi ho votato per gli antesignani del Pd» • Interista • «Sono un uomo irrequieto di natura e Gemelli di segno zodiacale, il che complica le cose. Sembro freddo e razionale, invece ho un lato inaspettato». «Io sono un maniaco dei dettagli, ho una nevrosi per l’ordine: quando torno da una vacanza, non vado a letto se prima non ho svuotato le valigie» • «Modi educati, salvo eccessi temporaleschi di furore» (Verdelli) • «Calvinista sul lavoro (o, come dice lui, “ambrosiano”), Sala spesso è già in ufficio alle 7.30. La pausa pranzo non è obbligatoria (i gusti a tavola sono tradizionali: piatto preferito la cotoletta alla milanese, va benissimo anche uno spaghetto al pomodoro o una pizza). Unico svago cui non rinuncia è lo sport: a partire dal calcio praticato (ancora oggi con gli amici) e tifato allo stadio (per l’Inter: praticamente una malattia). Poi lo sci, la barca a vela e la scoperta più recente: camminare, anche se la parte finale del percorso di Santiago fatto alla fine dell’Expo, in totale solitudine, non aveva nulla di sportivo ed era forse più un viaggio di ricerca. Alla ricerca anche di una dimensione spirituale: cattolico poco praticante, Sala è estimatore del cardinale Martini, di cui ha letto alcuni scritti e che considera “un punto di riferimento non solo per il mondo cattolico”. […] Chi lo conosce lo descrive come un uomo inquieto, molto ambizioso e perennemente alla ricerca di nuove sfide» (Soglio) • «La domanda per la sinistra e per il Pd, anzi, il domandone: la sinistra e il Pd pensano che l’immigrazione vada controllata o no? Io sono d’accordo con quello che ha detto […] Roberto Saviano: per i migranti che fuggono da una situazione di guerra o di oppressione politica non c’è neppure da farsi la domanda, vanno accolti e basta. Ho visto le testimonianze dei torturati nei lager libici, sono racconti raccapriccianti. Per gli altri, chi si muove per questioni economiche, bisogna fare in modo che incrocino una richiesta di lavoro» (a Marco Damilano). A proposito di immigrazione, destarono discreto clamore alcuni passaggi di un’intervista rilasciata da Sala a Mario Giordano per La Verità: «Serve un piano nazionale. E in primis bisogna distinguere tra immigrazione degli africani e altri immigrati. […] Io sfido i milanesi dicendo: quando arrivavano i filippini, ti lamentavi? […] L’immigrazione africana porta persone che hanno livello di istruzione pari a zero e che non hanno mai lavorato. Questa è la verità». Interrogato al riguardo, puntualizzò poi: «La frase non mi è uscita benissimo. Ma, se non affrontiamo le paure e i bisogni dei nostri concittadini, come sinistra resteremo al 15%. Ci sarà pure una via di mezzo tra Salvini che dice “chiudiamo i porti” e la sinistra che per anni ha detto “siamo tutti fratelli”. Gli immigrati che arrivano dall’Africa partono da un ‘tessuto’ diverso dal nostro. Se non integrati, hanno più facilità a ritrovarsi per strada e quindi a delinquere. Io non ho tessere di partito, ho 60 anni e non devo fare carriera. Da cattolico, la solidarietà e l’accoglienza sono parte del mio vissuto. Forse sono più libero di altri che, pur pensando la stessa cosa, non si esprimono per opportunità. Io vado in giro a dire: signori, noi dall’apertura ci guadagniamo perché attraiamo investimenti, turismo, paghiamo il prezzo dell’immigrazione. Ma questo discorso sui territori non ha presa. La gente è razzista? Parte dal concreto. Se l’immigrato bivacca nel parchetto dove gioca mia figlia, se nella graduatoria per le case popolari a lui la assegnano prima di me… Non siamo razzisti, ma lo diventiamo quando gli immigrati toccano i nostri bisogni e opportunità. […] Bisogna, lo dico da manager, connettere domanda e offerta. Non possiamo per anni solo parcheggiare chi arriva e spendere soldi, e basta» (a Maddalena Oliva) • «Lo dico da antifascista: è un errore usare l’antifascismo come simbolo della nostra esistenza politica» • «“Purtroppo il fatto che il Pd non abbia provato a dialogare con i 5 Stelle ha fornito le condizioni per questa sorta di nazionalsocialismo”. Colpa di Renzi? “Non solo sua. Ma Renzi ha la grave colpa di non essersi fatto da parte”» (Rossini). «Lei era un renziano, la candidatura a sindaco è stata considerata un’idea di Matteo Renzi, poi c’è stata una clamorosa rottura anche personale. Come mai? “Dopo la sconfitta al referendum del 2016, gli avevo dato un consiglio credo giusto: mettersi da parte per qualche tempo. È stato il momento della rottura”» (Damilano) • «Versione brianzola del “sono Wolf, risolvo problemi” di Pulp Fiction» (Verdelli). «Sala […] è l’incarnazione del dirigente post-politico e di alto profilo tecnico, spogliato di ogni ideologia che non sia il senso civico e la volontà manageriale di portare a termine la missione del momento. Molto milanese, in questo. […] E sempre nel segno di un connubio fra centrodestra e centrosinistra che in questa forma è possibile forse solo a Milano, ispirato alla filosofia e talvolta alla retorica del "fare"» (Stefano Folli) • «Manifesto una sensibilità di sinistra e una moderazione che credo sia nello spirito della città: sono un moderato nel senso che non alzo i toni e non cerco le polemiche, per me essere moderato significa rispondere ai problemi con le soluzioni e con i fatti. E questo è quello che vogliono i milanesi». «Il modello Milano è replicabile, ma ci vogliono tempo e impegno. E soprattutto bisogna capirla, questa città, che non è solo lavoro ed efficienza, ma anche anima e solidarietà. Senza questo pezzo, il modello Milano non esiste, non funziona. […] La borghesia conservatrice della città mi perdona gli scatti a sinistra perché in cambio lavoro per una città che funziona e guarda avanti. Il domandone è: l’Italia vuole stare al passo con Milano o vuole lasciarla sola? Da soli non piangiamo: continuiamo a guardare al mondo».