Corriere della Sera, 27 maggio 2019
L’Italia del ’900 nel diario di Sottsass
Straordinarie queste prose di Ettore Sottsass (1917-2007, nella foto), Molto difficile da dire (Adelphi, pagine 304, e 15) che raccolgono 27 testi (1960-1975), a cura di Matteo Codignola. Sette, inediti; gli altri usciti su «Domus», «Casabella», «Almanacco letterario Bompiani», ecc.
Sottsass fa parte di quella schiera di architetti (Le Corbusier, Wright, Loos, Botta, Rossi, Ponti, Piano), autori di pagine di notevole forza narrativa, che creano immagini avvincenti. Sentite: «La classe 1917 non era di ferro, anche se lo dicevano, e quando sono andato soldato io, non ero sul camion con bandiere tricolori, canti osceni e ubriachi, ma sono arrivato a piedi da solo; sono entrato nell’androne della caserma e mi è venuto incontro odore di cucina-latrina-lavatura di gavette-pastasciutta a marcire nei rigagnoli del cortile. Poi mi hanno mandato in camerata – al buio – e mi sono messo a piangere».
Attraverso le proprie personali esperienze, Sottsass scandaglia l’Italia del ’900 con le sue incidenze («La Fiat e la Lancia vendevano automobili, ma non c’era ancora l’idea del disegno, come c’è adesso che si chiama design»), la mancanza di humor, cui appiccica la propria ironia («Il tipo di uomo che detesto di più è quello che prende tutto sul serio, anche le stupidate (…). In questo caso è sempre aperta la possibilità del suicidio, ma anche il suicidio è una cosa difficile da fare con eleganza»). Ed ancora: viaggia per l’Europa («Circa duemila anni fa, qualcuno ha aggredito la Grecia, ha distrutto i templi, rubato le statue lungo le strade e nelle piazze e tutto è finito nella polvere. Può darsi che i greci avessero rotto le scatole ad altra gente e può darsi di no (…). Si va in Grecia col fiato sospeso e si torna commossi (…) e si deve dire qualcosa». E qui parla della luce, delle capre con stelle, del mare con le vergini, dei ragazzi che (…) vanno a fare il meccanico e tornano solo a Natale per salutare la madre), l’Africa («Da tre giorni sono qui, a 5 o 6 km dalle sorgenti del Nilo, ospite dei miei zii che hanno la loro capanna nella selva sotto gli alti alberi sonori. Di solito vengo qui per prendere il fresco ma anche e soprattutto per sedermi vicino alle tombe di mio nonno e mia nonna principessa russa e mio padre»), l’India («Durante il viaggio abbiamo incastrato nel cielo molti dèi»).
Diario in prosa. Sottsass racconta anche di quando, ammalato, era raggiunto dagli amici in ospedale («Tutti piangevano e parlavano di come sarei morto (…) La Nanda è gonfiata dieci chili dallo spavento»); del problema di un posteggio a Juan-Les-Pins, con un’auto che gli taglia la strada, fregandogli il posto («La prima reazione è stata di tipo tradizionale: ho pensato per un momento che tutti i francesi dovevano essere cornuti»). Fra i testi più intriganti, il Rituale di morte e nascita di una casa borghese del centro di Milano. Guarda, dalla cucina, ciò che avviene nell’appartamento di fronte abitato da una signora e dalla cameriera. La casa passa di mano, ma nella memoria di Sottsass resta una notte di luglio, con le stanze senza più tende: «Ho visto due gambe nude, i peli scuri di un sesso femminile e un gran sedere rosa che girava da una stanza all’altra. Girava, si spostava, poi spariva, poi tornava, poi spariva. Sempre così». Quasi una delle sue celebri sequele fotografiche. Una volta chiesi a Sottsass la prefazione ad una plaquette di immagini scattate (alla Mollino) alla mia donna. Scrisse una pagina bellissima, che conservo tuttora, inedita. Rinunciai al libro nel ricordarmi i versi di García Lorca: «E io me la portai al fiume credendo che fosse ragazza, invece aveva marito».