Libero, 27 maggio 2019
Morgan resta senza casa. Intervista
Non è facile a 48 anni dover riavvolgere tutta la propria esistenza e cercare di ricominciare da capo. Ricominciare da dove? Il 5 giugno (il giorno dopo la finale di “The voice“, il talent musicale di Rai2) la forza pubblica sarà in azione per sbattere fuori Morgan (all’anagrafe Marco Castoldi), genio della musica italiana, da quella che era la sua casa. In questa intervista non parleremo però di Morgan, del suo talento musicale e della sua carriera, ma di Marco Castoldi. Perché la sua storia è drammaticamente simile a quella di tanti uomini che, per liti legali tra ex coniugi, si trovano costretti a vivere sotto i ponti. Sono questi i momenti in cui si fanno i conti con la propria esistenza e si cerca di capire dove si è stati magari superficiali e si è commesso qualche errore. E da dove, per l’appunto, si può ricominciare. Marco, tuo padre aveva una falegnameria e tu hai raccontato che guardavi un pianoforte presente nella sua bottega non semplicemente con interesse ma con passione. Cosa ti diceva lui riguardo la musica?
«Mio padre voleva che studiassi al Conservatorio e mi diplomassi, considerava la musica il mio possibile strumento di libertà e di espressività. Lui conosceva la mia anima, aveva intuito la mia vocazione e voleva il mio bene fino a quel tragico 11 ottobre 1988, quando decise di togliersi la vita».
Hai seguito quel consiglio: la musica è diventata la tua vita. Quanto ti manca tuo padre?
«Faccio quotidianamente i conti con la figura di mio padre e la sua mancanza è assoluta, ha generato un vuoto dentro di me che non ha fine. La sua figura è a volte epica e a volte diventa un fantasma, che fa nascere dentro di me tante paure. Una canzone di Tricarico, “Sono Francesco“, citava “in quel vuoto io ho costruito un mondo» proprio parlando della mancanza di suo padre”».
Quale mondo hai costruito nel vuoto della prematura scomparsa di tuo papà?
«Il mio mondo è fatto di visioni e di note musicali. Mi commuovo davanti a una opera d’arte, qualsiasi essa sia. Musiche, parole, quadri, strumenti: tutto questo corrisponde alla mia vita. È un mondo metafisico, dove non ho quasi mai dato spazio alle cose contingenti. Il denaro per me è uno strumento, non un fine. Il fine nella mia vita è la musica, l’arte e le mie figlie».
Che padre vorresti essere per le tue figlie?
«Vorrei essere presente sia materialmente che spiritualmente. Materialmente a volte sono stato lacunoso, ma spiritualmente rappresentano da quando sono nate l’essenza di ogni mia ispirazione artistica. Certamente non sono un padre “normale”, uno di quelli che ha una attenzione sulle cose concrete in modo certosino; ma le amo profondamente. Portano il mio cognome, Castoldi, quello di mio papà, e ne sono fiero».
Che padre pensi di essere per loro?
«Sono un padre che ama giocare con le cose e con le parole, perché sono un adulto che non ha frustrato quel naturale istinto poetico che appartiene a tutti gli esseri umani. Il bambino in me è ancora vivo e così, in modo del tutto libero e divertito, il mio rapporto con le bambine è fatto di parole inventate, di filastrocche e anche di stupidaggini e risate. La prima frase di tipo compiuto che mi ha detto Anna Lou quando ha iniziato a padroneggiare il linguaggio, una sera d’estate, è stata: “Papo, è buio, la luce piange“. Io le ho detto che era normale che dopo il giorno arrivasse la notte, ma che non significava che la luce fosse triste: nel dirglielo ho riaperto la finestra per farle vedere come fosse bello il cielo stellato, la finestra ha fatto un po’ di rumore e lei mi ha detto “ecco, quella è la voce della casa”».
E le loro madri che ruolo hanno nella crescita?
«Asia e Jessica, le mamme di Anna Lou e Lara, sono anche loro persone con una inquietudine profonda, ma sono buone. Ogni madre ha un ruolo decisivo nella crescita dei figli, soprattutto quando la figura del padre è così ingombrante e spesso lontana fisicamente».
Quale critica ti fai?
«Io sono una persona che sbaglia e riconosce i propri errori. Ma l’ho detto prima: sono autentico e ho sempre pagato sulla mia pelle gli sbagli commessi. La critica che posso farmi è quella di avere mancato molte occasioni per stare assieme».
Anche quest’anno a “The Voice” sei stato il primo coach a chiudere la squadra, perché sei un naturale riferimento per molti giovani artisti. Pensi che i tuoi figli seguiranno la tua carriera?
«Anna Lou e già un’artista e ha preso il meglio di sua madre e mio. Lara è troppo piccola, ma certamente anche in lei esiste una sensibilità artistica importante».
Tra pochi giorni verrai sfrattato: pensi che sia una cosa giusta?
«Legalmente è giusta ma profondamente è sbagliata. La mia casa è stata svenduta all’asta».
Che cosa rappresenta per te questa casa?
«Sembra che nessuno riconosca l’artisticità di questo luogo. Questa casa è l’unica che ho e me la sono pagata con i risparmi ricavati dalle serate come pianista e cantante che ho iniziato a fare regolarmente due o tre giorni alla settimana a sedici anni, mentre andavo al liceo. Ho iniziato a lavorare da subito perché ne avevamo bisogno in famiglia; mio padre ci aveva lasciati in una situazione disastrosa a me, a mia mamma e mia sorella. Ho iniziato a fare il musicista nei locali notturni, ed ero talmente costante e stacanovista che ho potuto estinguere il mutuo della casa di mia madre e, risparmiando, ho potuto acquistarmi questa casa. Questa casa ha la mia anima. Ho fatto i mobili con le mie mani, ricordandomi le nozioni di falegnameria che avevo imparato da piccolo osservando mio padre costruire divani; è completamente insonorizzata ed è una sala di incisione; è il mio luogo di lavoro dove ho inciso, composto e scritto».
Ormai è tutto deciso?
«Pare di sì! Ma trovo pazzesco non avere la possibilità di poter rimediare. Vengo trattato alla stregua di un assassino a cui viene tolta la libertà per sempre».
Perché parli di libertà?
«Perché avere una casa significa avere dignità, e la dignità e il preludio alla libertà. Il lavoro nobilita l’uomo, dove vivi ti consente di avere dignità».
Cosa vorresti chiedere?
«Vorrei chiedere scusa alle persone a cui ho fatto del male. Ma vorrei chiedere un’ultima possibilità per poter recuperare la mia casa. Non la lascerò facilmente, anche se il 5 giugno dovrebbero arrivare i Carabinieri. Questa casa è la mia storia, non posso immaginare che sia stata svenduta in un’asta giudiziaria».
A chi vorresti chiedere aiuto?
«Alle mamme delle mie figlie prima di tutto. Ad Asia, con cui siamo in buoni rapporti e che è stata la causa principale, con un pignoramento, di tutto il procedimento giudiziario. Vorrei chiedere a chi l’ha comprata per pochi soldi di rivendermela e lasciarmi dentro». Ma come faresti a pagarla? «In questo momento si stanno muovendo amici per una “cordata“che cerchi di farmi avere i soldi per ricomprarla. C’è molta gente che mi vuole bene e capisce la mia disperazione!».
Affittare una nuova casa?
«Impossibile: appena sentono che è per me, non proseguono nemmeno nella trattativa. Morgan è un nome pesante da avere in casa, e nessuno se la sente di affittarmi casa. Inoltre il pignoramento e lo sgombero rappresentano un fatto grave che mi rende “economicamente inaffidabile”».
Andrai in mezzo alla strada, quindi?
«Se il 5 giugno verranno a sbattermi fuori, sì. Ma dormirò sul marciapiede davanti alla mia casa come un cane che non vuole abbandonare la propria dimora. Nella mia casa c’è tutta la mia vita, umana e professionale. Strumenti, opere, emozioni: io non la lascerò mai. È la casa che voglio che venga poi data alle mie figlie, che devono sapere cosa era il loro papà. Non esiste luogo migliore che la propria dimora per far conoscere la propria personalità».