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 2019  maggio 26 Domenica calendario

Lode a chi ha ammazzato Pisacane

La poesia dice che «eran trecento, eran giovani e forti e sono morti». Ma «erano delinquenti – secondo il magistrato napoletano Edoardo Vitale —. Seguivano Carlo Pisacane perché li aveva liberati dal carcere di Ponza». Vitale tiene conferenze e dirige «L’Alfiere», «pubblicazione tradizionalista», con l’intento di scrivere la controstoria del Risorgimento. L’11 maggio scorso partecipa a un convegno a Sanza, comune del Salernitano dove Pisacane fu ucciso. «Ho rispetto per Pisacane – dice Vitale a “la Lettura” —. È morto per un ideale. Ma mettiamoci nei panni dei contadini che vedono arrivare una banda di invasori armati. Si spaventano. Legittimo che si siano difesi. Finiamola di descrivere quella gente come selvaggi».
Al convegno Vitale giustifica anche Sabino Laveglia, l’uccisore di Pisacane. «Era un gendarme borbonico e fece il suo dovere». Per onorarne la memoria offre un riconoscimento a un discendente di Laveglia. Sindaco e vicesindaco se ne vanno irritati e l’editore Giuseppe Galzerano, che ha pubblicato il testo di Pisacane La rivoluzione, insorge dicendo che «omaggiare con tanta deferenza l’erede di un assassino è un brutto messaggio. Come dire: uccidi e sarai premiato. Il gesto di un magistrato che suona offensivo per il Risorgimento».
Il fatto è che al Sud sono in parecchi a nutrire una pessima opinione del Risorgimento. I più agguerriti fanno capo al Movimento neoborbonico, il cui sito web ha collezionato dodici milioni di visite. Venerdì 31 maggio, cinque giorni dopo le elezioni europee, i neoborbonici inaugurano a Napoli l’anno dedicato al re Ferdinando II di Borbone. E l’indomani riuniscono il parlamento delle Due Sicilie.
Riti anacronistici. Ma Gennaro De Crescenzo, fondatore del Movimento, sostiene che definirsi neoborbonico «equivale ad affermare con orgoglio l’appartenenza al Meridione». Sta diventando una moda. Nei locali campeggiano simboli borbonici. Allo stadio vendono gadget con immagini dei Borbone, le sciarpe della squadra del Napoli sfoggiano lo stemma delle Due Sicilie. E il caffè Borbone, «miscela nobile», produce ottimi affari.
Era il 1993 quando Riccardo Pazzaglia, scrittore e uomo di tv, annunciò sul quotidiano «Il Mattino» un incontro fra amici per il 7 settembre, anniversario dell’ingresso di Garibaldi a Napoli. «Chi vuole parlare male di Garibaldi è benvenuto». Si presentarono in 400. «Fu la prova di un sentimento diffuso – racconta uno dei fondatori, Alessandro Romano —. C’era spazio per un movimento culturale finalizzato a riscrivere la storia. Perché quella che ci hanno raccontato i vincitori è falsa. Potevamo chiamarci neoromani o neogreci. Scegliemmo neoborbonici come provocazione».
Da allora sono spuntati circoli neoborbonici in tutto il Mezzogiorno, fin giù a Palermo. In Calabria è attivo un gruppo neoborbonico secessionista. Il Nord è il nemico. «Il Nord ci ignora – lamenta De Crescenzo, autore del volume Noi, i neoborbonici (Addictions-Magenes) —. Perfino il Giro d’Italia evita il Sud. E allora stiamo pensando di farci da soli un Giro del Sud». Sentendosi trascurati, tendono a rinchiudersi e incoraggiano una sorta di autarchia: comprate solo prodotti meridionali.
Il vangelo dei neoborbonici sono le carte degli archivi. Rovistano tra i documenti storici allo scopo di dimostrare che con i Borbone si viveva meglio. «I terreni venivano concessi in uso – dice Salvatore Lanza, membro del Parlamento delle Due Sicilie —. Si pagavano solo 5 tasse, un paradiso fiscale». È vero. Lo aveva già notato il meridionalista Giustino Fortunato all’inizio del Novecento. Spiegando però che il ricavato non veniva investito per costruire strade, scuole e servizi utili, era destinato all’esercito. «Arrivano i piemontesi – insiste Romano —, requisiscono le terre, le mettono all’asta e se ne impossessano i feudatari. I contadini di Sanza sapevano che sarebbe finita così, per questo aggredirono Pisacane; quell’avventura non prometteva niente di buono».
Le ricerche d’archivio producono conferenze, dibattiti e un’infinità di pubblicazioni. Quello che rimane il testo più rappresentativo del revisionismo è il libro di Pino Aprile Terroni, parola spregiativa che, urlata sulla copertina, diventa espressione da rivendicare con fierezza. Gli studiosi ribattono che certe ricostruzioni sono del tutto false. Lo storico Alessandro Barbero dice che maneggiare tanti documenti d’archivio non vuol dire conoscere la verità, bisogna saperli interpretare.
«Ci vogliono convincere – s’indigna De Crescenzo – che l’unità è stata per noi una fortuna. Allora perché ogni anno migliaia di giovani emigrano? Lasciano il Mezzogiorno. Stiamo morendo, la nostra terra diventerà un deserto». L’emigrazione, incalza Lanza, «è cominciata dopo l’Unità d’Italia. I più celebri divi americani sono discendenti di emigrati meridionali, ne ho contati più di duecento». In modo ben diverso, secondo Romano, «è avvenuta la riunificazione in Germania, dove l’Ovest si è preso cura dei guai dell’Est. Da noi solo sfruttamento. In alcune zone si muore di fame e una città come Matera, capitale della cultura, non ha ancora una ferrovia. L’unità è stata una cosa meccanica, non del cuore e della mente. Siamo separati in casa».
Una parte del clero guarda con simpatia al Movimento. Sacerdoti tradizionalisti che alle cerimonie in ricordo dei Borbone celebrano messe in latino. «In tv – dice il casertano Fiore Marro, presidente dei Comitati delle Due Sicilie e curatore del sito “Belvedere news” – hanno cercato di liquidarci come macchiette. Ma i politici sanno che abbiamo un buon seguito e ci corteggiano».
Cercano di coinvolgerli soprattutto i gruppi di sinistra e i Cinque Stelle. «Ma non facciamo accordi con nessuno – taglia corto Lanza —. Vogliamo allevare una classe dirigente che ami questa terra». In ogni leader politico vedono un Garibaldi che torna a conquistarli. Dopo oltre un secolo e mezzo una parte del Paese vive ancora l’unità come una ferita inguaribile. Nel 1973 Antonio Ghirelli avvertiva nella sua Storia di Napoli (Einaudi) che al Sud il lamento di pochi può avere «una notevole risonanza sentimentale a livello di massa».