Avvenire, 26 maggio 2019
Gli applausi alla violenza
Gli applausi al funerale sono un tema controverso: a me è capitato di approvarli su questo giornale, perché indicano che il pubblico si schiera da una parte e condanna quell’altra: muore una vittima della mafia? I fedeli applaudono la vittima e disapprovano la mafia, e questo è morale. Succede così perché noi pensiamo che lì, fuori della chiesa, quando viene portata via la vittima di un omicidio, è presente anche l’autore dell’omicidio, e noi dobbiamo stare con l’una o con l’altro. È l’ultima occasione che abbiamo. Poi dovremo stare zitti per l’eternità. Il giudizio che pronunciamo lì, applaudendo o non applaudendo la vittima, ha una validità che non avrà scadenza. Ma ci sono applausi che comprendiamo e condividiamo, e applausi incomprensibili, che non riusciamo a far nostri, non vi partecipiamo.Per esempio, gli applausi al funerale per il padre di Deborah, la ragazza di 19 anni di Monterotondo (Roma) ucciso in una colluttazione mentre stava aggredendo a pugni (è un pugile) la figlia e sua madre. Anche la figlia è pugile, frequentava la stessa palestra del padre. Ce la portava lui. Conosco padri come questo, che portano i figli con sé a fare sport: sono padri comunicativi e affettuosi, creano un buon legame con i figli, e i figli li amano. Poi però qui è successo qualcosa che non ci è ancora ben chiaro. È morto il padre del pugile, e il pugile ha sterzato con la sua vita, non ha più saputo guidarla. Ha deviato verso alcol e droga. È diventato violento. Contro tutti: contro la figlia, che pigliava a pugni appena la vedeva, contro la moglie, che tempestava di ordini secchi e l’obbedienza non gli pareva mai abbastanza rapida, e contro la propria madre, che pure era cieca o quasi. Qualche giorno fa, imbottito di alcol e di droga, s’è scagliato contro la moglie, la figlia ha fatto scudo col proprio corpo impugnando un coltello. L’uomo ha ricevuto una ferita profonda ed è crollato. La sua morte è cominciata lì. Ed è quella la scena che hanno presente i 300 amici che sono andati al funerale: il padre scatenato contro moglie e figlia, la figlia interposta con un coltello, lui che cade… Da questa visione si passa al funerale, lui nella bara, gli amici che applaudono: «Lorenzo, sei il più grande!», e con le nocche dei pugni picchiano sulla bara, per essere sicuri che lui sente e capisce che lo approvano, che non lo abbandonano, anzi lo ammirano. Non lo approvano tollerandolo per com’era, ma ammirandolo per com’era. Comandava su tutto e su tutti, non discuteva con nessuno, si faceva obbedire. Non si lasciava frenare da tutte quelle debolezze che frenano noi omuncoli, lascia stare tua madre, lascia stare tua figlia, lascia stare tua moglie…: lui non lasciava stare nessuno, tutti facevano i conti con lui, con la sua forza, la sua strapotenza. Pare perfino strano che la notizia stia in questi termini, si aspetta che cambi, che emergano altre spiegazioni, ma si aspetta invano. Quegli applausi ci danno torto. Ci dicono che siamo in errore, la verità è diversa da quella che credevamo. Noi ci aspettavamo che, se la famiglia non denunciava la violenza, fossero i vicini a denunciarla, e invece eccoli qui che applaudono. Vedono la violenza in una famiglia e stanno zitti, sono come guidatori che vedono un incidente sulla strada e tirano dritto. Se ci scappa il morto, non sono innocenti.