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 2019  maggio 26 Domenica calendario

Albachiara ha 40 anni

Ci sono canzoni che attraversano le generazioni, capaci di scaldare i cuori a distanza di decenni dal loro lancio. Pensiamo a “Se telefonando” di Mina, che accompagna le estati degli Italiani dal suo esordio nel 1966. E “La canzone di Marinella” di Fabrizio De Andrè, di due anni successiva? Anche quella è ormai un evergreen, a riprova del fatto che una canzone può diventare un classico indipendentemente dal fatto che il suo autore sia un cantante impegnato o disimpegnato, un cantautore o solo un grande interprete. Certo nel caso di Mina e De Andrè gioca un ruolo decisivo anche la loro inconfondibile, bellissima voce. Non sarà altrettanto educata e bella la voce di Vasco Rossi, ma oggi compie quarant’anni un’altra canzone immortale, la sua “Albachiara” (il 45 giri infatti fu messo in commercio il 25 maggio del 1979, pochi giorni dopo il lancio del 33 giri), che è diventato il pezzo di chiusura dei suoi concerti. Le parole se le ricordano tutti, anche chi ha altri gusti musicali, perché, e qui riportiamo la nostra testimonianza, non c’è stata estate (il binomio canzone-estate è per noi Italiani una delle poche certezze della vita) in cui qualche ragazzo della comitiva non imbracciasse una chitarra e non si mettesse a miagolarla a qualunque ora del giorno e della sera, per il deliquio del pubblico non solo femminile, che s’intenerisce alla storia piuttosto idealizzata di questa fanciulla “troppo innocente” che “ama studiare” e “non se ne deve vergognare”, ma anche per quello maschile che può mostrare il suo lato innocente, “pulito”, come si dice con aggettivo prediletto dagli autori della canzone italiana.

LA PIÙ ECUMENICA
Volendo fare un po’ di spiccia sociologia della canzone, ci si potrebbe chiedere perché tra tanti pezzi forti nel repertorio del Vasco, la canzone più ecumenica, quella che mette d’accordo un po’ tutti, sia questa delicata cantilena anche un po’ stramba nella sua linea melodica. E perché nella hit parade dei falò sulla spiaggia svetta proprio lei, “Albachiara”, praticamente dal giorno della sua uscita, come una tradizione che passa di padre in figlio. Proponiamo la nostra spiegazione: non c’è nulla di più affascinante di un rocker maledetto (e Vasco Rossi da questo punto di vista, a differenza di vari impostori, ha le carte in regola) che fa il tenero e il sentimentale, e che si scioglie in effusioni sussurrate a fior di labbra per una ragazzetta adolescente che nemmeno conosce, dal momento che Vasco scrisse la canzone vedendo questa giovinetta che andava a prendere tutte le mattine la corriera a Zocca, il suo paese, per andare a scuola, senza però mai violare il patto di reciproca estraneità tra la Musa e il suo cantore. Sì, è proprio bello ascoltare il dropout di provincia, il beffardo e sgangherato aedo della vita spericolata “come Steve McQueen”, che gioca allusivamente con la coca (Cola), trovare tre minuti e mezzo di rarefatta, trasognata poesia, di una delicatezza quasi petrarchesca, per dichiarare la sua contemplazione per l’adolescente che, alla fine della canzone, si dichiara essere anche padrona della propria sessualità, del proprio piacere.

FORMA D’ARTE
Il giusto equilibrio tra pudore e audacia, con parole spontanee, semplicissime che più che strofe danno vita a un parlato naturalissimo, accompagnate da una musica che le asseconda senza invadenza, senza bellurie. Un autentico piccolo capolavoro della canzone, la forma d’arte più immediata e universale che abbiamo prodotto nel Novecento. Dunque auguri di buon quarantesimo, Albachiara, di certo ti riascolteremo di nuovo (a volte con un po’ di impazienza, anche a seconda della bravura degli interpreti) per molte altre stagioni: hai saputo rivelare, come solo le vere poesie sanno fare, alcune piccole perle di verità, e illuminare quel crinale tipicamente italiano tra perbenismo e spudoratezza, contemplazione lirica e desiderio carnale. I “tuoi problemi” e “i tuoi pensieri” in cui “sei assorta”, da quella primavera del 1979 in cui hai cominciato a risuonare, sono sempre gli stessi anche se chissà quali siano: prima li cantava la madre, ora la figlia, e via di seguito nell’eterno adolescente che vive in ognuno di noi.