Il Sole 24 Ore, 26 maggio 2019
Il mistero della coscienza
Negli ultimi anni «Io» e «coscienza» ricorrono sporadicamente nella letteratura neuroscientifica cognitiva. La ragione è che nel cervello non s’è trovato nessun organo con le caratteristiche che s’attribuiscono all’Io e dopo più d’un secolo e mezzo di ricerche ci si è rassegnati all’evidenza che l’autoreferenzialità della coscienza che indaga sé stessa non le consente di capirsi. Si studiano i meccanismi della coscienza (come il recente splendido lavoro dei coniugi premi Nobel May-Britt e Edward I. Moser sulla memoria del tempo, «Nature» 561, 57-62, 2018), ma non la sua natura.
Come gli stimoli fisico-chimici che nel cervello veicolano l’informazione del colore rosso, per portare un esempio solo in apparenza semplice, diventino la coscienza del rosso è e rimarrà inspiegabile. L’evento del divenire coscienti è così elusivo che mancano le parole per descriverne la fenomenologia e per formulare i termini del dilemma.
È vero ciò che dice il neuroscienziato Michael Gazzaniga, che il termine coscienza non ha ancora una “definizione accettata da tutti”. Se, secondo la riflessione di A.H. Pattee, citato da Gazzaniga, non riusciamo a distinguere la materia vivente da quella non vivente poiché entrambe sono composte dagli stessi corpuscoli inorganici in movimento; se, quindi, non sappiamo che cosa sia la vita, come possiamo capire la coscienza, prodotta da corpuscoli intenti a studiare sé stessi?
Gli ultimi lavori di Antonio Damasio e di Giulio Tononi sulla coscienza sono esempi di quante pagine si possono riempire senza dir niente. Quando il limite conoscitivo della coscienza autoreferenziale fu trattato dal neurobiologo Emil du Bois Reymond nel saggio del 1872 I confini della conoscenza della natura, che si concludeva con la parola Ignorabimus, scoppiò una controversia universale, alla quale partecipò persino Lenin. Condivisero e condividono l’opinione di du Bois Reymond filosofi come Nicolai Hartmann e neuroscienziati come Wolf Singer e Werner B. Mountcastle (si veda la Domenica del 28 maggio 2017).
Oggi é opinione largamente condivisa che la natura della coscienza non è alla portata della scienza e ancora meno della filosofia della mente, che, secondo la neurobiologa e neurofilosofa Patricia S. Churchland, ha riempito biblioteche senza spiegare nulla (Domenica del 15 giugno 2014).
Gazzaniga, proponendo una nuova teoria della coscienza, s’avventura in un campo minato. Identifica la coscienza con un «istinto complesso». Coscienza e istinto sono due modi dell’essere umano della cui natura si ignora pressoché tutto. Identificare la coscienza con l’istinto vuol dire spiegarla? È oscuro che cosa intenda per coscienza, se sostiene che «si vede subito che pazienti affetti da demenza grave sono coscienti»: di regola non lo sono nemmeno di sé stessi.
Il libro, quale che sia l’opinione che si ha dell’evento biologico della coscienza, è utile perché è la storia, ricca di dettagli scientifici e biografici talora sorprendenti, descritti con verve narrativa, di come la scienza della coscienza si sia arresa all’evidenza che la coscienza non è alla portata di sé stessa che s’indaga. Gazzaniga descrive «un numero colossale» di dati circa i meccanismi della coscienza, che, se adeguatamente interpretati, ritiene sufficienti a chiarirne la natura. Vediamo alcuni punti controversi. Le ipotesi sul funzionamento del cervello lo portano alla conclusione che «non è più possibile continuare a credere che la coscienza... esista solo grazie alla corteccia cerebrale». I sistemi sottocorticali sembrano sufficienti a garantire da soli «un sentimento di soggettività».
Fra vigilanza, opera dei sistemi sottocorticali, e coscienza, opera dell’intera corteccia, c’è una grande differenza fenomenologica, di cui non si parla. Saremmo coscienti anche senza linguaggio: é vero? Lo strumento dell’autocoscienza, propria dell’uomo, è il linguaggio interiore, che rende mente e pensiero ciò che sono. Le aree cerebrali del linguaggio, in particolare l’area di Broca, hanno una struttura molto più complessa, selezionata dall’evoluzione, delle aree adiacenti.
L’autocoscienza è spiegata da Gazzaniga con la metafora delle «bollicine»: ciascun evento mentale «é gestito da moduli cerebrali dotati in partenza della capacità di ren-derci coscienti del risultato della loro elaborazione. I contenuti prodotti dai vari moduli salgono in superficie come bolle che affiorano al pelo dell’acqua...Bolla dopo bolla il risultato di ciascun modulo...viene a galla e scoppia per un istante».
Più che una spiegazione della coscienza, è una rivalutazione del vitalismo, cioè di una forza fisica esclusiva della natura vivente. Se la coscienza è un istinto, che cos’è l’istinto? Esso, ha scritto William James in un saggio citato da Gazzaniga, è la capacità di agire per raggiungere certi fini, senza prevederli. Degli istinti, come della coscienza, sappiamo da quali aree cerebrali sorgono, ma non come sono suscitati. Il lavoro di Gazzaniga, magistralmente tradotto, mette a confronto con nuove ipotesi sulla coscienza. Che, a nostro avviso, non invalidano la profezia di du Bois Reymond: Ignorabimus.