Corriere della Sera, 26 maggio 2019
Il falso video di Nancy Pelosi ubriaca
WASHINGTON L’ultimo ritrovato della propaganda truccata è il video rallentato ad arte. Prima vittima illustre: Nancy Pelosi. Per tutta la giornata di venerdì 24 maggio la clip con un intervento della Speaker democratica è stata vista milioni di volte, prima su YouTube, poi su Facebook e Twitter. È la sintesi manipolata di una conversazione pubblica al «Center for American progress», tra Pelosi e Neera Tanden, presidente del centro studi di Washington.
Era mercoledì 22 maggio. Nella mattinata Donald Trump aveva bruscamente interrotto l’incontro con i leader parlamentari dei democratici, Pelosi e il senatore Chuck Schumer. Si sarebbe dovuto discutere di infrastrutture, ma il presidente ha mandato tutto all’aria, furibondo per le iniziative che l’opposizione potrebbe prendere sull’impeachment.
Più tardi, davanti alla platea del «Center for American progress», Nancy torna sull’incidente alla Casa Bianca con queste parole: «Volevamo offrire al presidente un’occasione storica per lavorare con il Paese...ma ci deve essere qualcosa che non funziona da quelle parti». Il gesto che accompagna la frase è pesante e inequivocabile: forse al presidente manca qualche rotella.
Come tutti possono verificare sul sito del think-tank, il ritmo del dialogo non è fulminante, ma certo non è quello che si vede e si ascolta nella versione con i tempi dilatati. Anche qui il risultato è evidente: la Speaker incespica nelle parole, biascica, fatica ad articolare le frasi. La clip si è diffusa rapidamente, attirando i commenti più feroci. Ha contribuito con un tweet anche l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, oggi avvocato di fiducia e ultrà di Donald Trump: «Che cosa non va in Nancy Pelosi? Il suo modo di parlare è bizzarro».
L’effetto
Il discorso della speaker è stato rallentato e lei sembra incespicare nelle parole
Ma con il passare delle ore i media americani si accorgono del trucco. I gestori di YouTube, piattaforma che fa capo a Google, decidono di «rimuovere il contenuto», perché «viola gli standard» di correttezza. Facebook, invece, lascia le immagini sulla piattaforma, nell’account di Politics Watchdog.
Nella serata di venerdì Monika Bicker, vice presidente di Facebook responsabile per la tutela del prodotto e la difesa dalla propaganda in favore del terrorismo, spiega questa scelta in un’intervista con la Cnn: «Non è vero che non abbiamo fatto nulla. Abbiamo chiesto a uno degli oltre 50 istituti di “fact checking” con cui collaboriamo di controllare il filmato. Dopodiché abbiamo avvisato i nostri utenti che si trovavano in presenza di un prodotto falso. Ma non lo abbiamo oscurato, perché pensiamo che le persone abbiano il diritto di vederlo e di farsi la propria opinione». Obiezione del giornalista in studio, Anderson Cooper: «Ma la forza delle immagini è più potente di qualsiasi cosa voi possiate scrivere a commento». Risposta di Bicker: «Non sono d’accordo. Oggi la conversazione sulla rete non è sul messaggio della registrazione, ma sul fatto che sia stata manipolata».
È una polemica scivolosa che ancora una volta chiama in causa i limiti della libertà di espressione.
La gestione dei social resta cruciale, come dimostra la giustificazione «postuma» di Giuliani: «Come facevo a sapere che stavo guardando una cosa falsa?». Vero, intanto, però, l’incendio divampava online. Un altro problema, e serio, in vista della campagna per le presidenziali del 2020.