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 2019  maggio 26 Domenica calendario

Sovranismo e globalismo

EUROPAX
Da giovedì, quattro giorni per capire e discutere dello scontro fra integrazione mondiale dei mercati, rivendicazioni nazionaliste, populismi ed élites James Alan Robinson, studioso di economia e politica inglese, attualmente docente alla Chicago University, terrà la lecture inaugurale del Festival dell’Economia, giovedì alle 16,30 a Trento, affrontando il tema “Da dove arriva il populismo e cosa possiamo fare per contrastarlo”. Co-autore dell’articolo è Daron Acemoglu, che con Robinson sta scrivendo un libro in uscita a settembre, intitolato The Narrow Corridor, il corridoio stretto. Nel Medioevo, i governi repubblicani dei comuni italiani trasformarono radicalmente l’economia europea, mettendosi alla guida di una “rivoluzione commerciale”, dando vita a molteplici innovazioni in ambito finanziario, commerciale, tecnologico. L’Italia settentrionale divenne l’area più prospera del mondo. Poi, accadde qualcosa di strano che cambiò le cose. In un caso, a Ferrara, nel 1264, il podestà Pierconte di Carrara, funzionario fatto arrivare da lontano per guidare il governo locale, dichiarò che “l’assemblea plenaria di tutti gli abitanti della città di Ferrara (…) ha deliberato quanto segue (…) Il magnifico e illustrissimo Signore Obizzo (…) sarà Governatore e Amministratore e Comandante supremo e Signore permanente della città di Ferrara e dei suoi distretti come meglio desidererà”.

l comune repubblicano si era dimesso e aveva passato tutti i suoi poteri al Signore Obizzo. Quel che accadde a Ferrara divenne ricorrente nell’Italia settentrionale. Perché? Ne Il principe , Machiavelli spiega che "el populo, vedendo non poter resistere a’ grandi, volta la reputazione ad uno, e lo fa principe, per essere con la autorità sua difeso". Quando il popolo perde fiducia nelle istituzioni repubblicane democratiche e teme di cadere preda di un’élite, rinunciare a istituzioni di quel tipo potrebbe essere il male minore. Il vero male è la maggiore polarizzazione che si crea tra l’élite e gli altri. Le istituzioni democratiche dell’Italia medievale soccombettero al populismo; a una spinta politica dal basso verso l’alto, ma anti-elitaria e antipluralista. Questo accadde perché i comuni non riuscirono a controllare le élite e perché le loro istituzioni non furono capaci di contenere i conflitti e affrontare con successo le sfide innescate dalla rivoluzione commerciale, tra cui una disuguaglianza sempre maggiore. Beniamino di Tudela fece notare che a Genova "tutte le famiglie avevano una torre sulla loro casa e nei periodi di dissidio lottavano tra loro dalla cima delle loro torri". Ancora oggi, in tutta Italia, si vedono quelle torri, per esempio a Bologna.
Oggi viviamo in tempi simili. Dalla Seconda guerra mondiale, Europa e America hanno conosciuto un benessere senza precedenti, eppure le loro istituzioni democratiche adesso sono sottoposte a una serie ininterrotta di minacce che oltrepassano la loro capacità di porvi rimedio e di risolverle. Tra queste, come nell’Italia medioevale, vi sono rapidi aumenti delle disuguaglianze e, oltre alla creazione di aziende gigantesche come Amazon o Facebook, imperversano crisi finanziarie, globalizzazione, cambiamenti tecnologici e afflusso di migranti dai paesi in via di sviluppo, in fuga sia dalla povertà sia dalla violenza e anche, nell’Unione europea, da Paesi che approfittano del mercato unico del lavoro. La conseguenza derivante dall’incapacità delle istituzioni di affrontare la situazione è stata la percezione che le élite, che hanno tratto benefici enormi a livello economico, abbiano manipolato il sistema a loro favore. Potrebbe anche trattarsi di una conseguenza del progetto stesso di democrazia liberale, vincolata com’è dai suoi "pesi e contrappesi" perché i suoi fondatori, come James Madison negli Stati Uniti, non si fidavano della democrazia. Di proposito, ciò portò a quella che il politologo E.E. Schattschneider descrisse come una situazione in cui "il coro del paradiso pluralista canta con un forte accento altoborghese". La democrazia liberale è stata amica delle élite fin dall’inizio. Le istituzioni come l’Unione europea ne hanno ereditato l’atteggiamento. "Noi decidiamo qualcosa, lo comunichiamo, poi aspettiamo un po’ e vediamo cosa succede", ha detto una volta Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea. "Se subito dopo non cominciano a volare ingiurie e non si sollevano rivolte – poiché i più non capiscono ciò che è stato deciso –, continueremo passo dopo passo, finché non ci sarà più strada da percorrere". Una simile logica elitista, però, è intrinsecamente vulnerabile al populismo.
Da questo punto di vista, l’aspetto più sconcertante del populismo non è che esista o che riesca a conquistare il potere, ma che continui a esistere, tenuto conto di quanto sia disastroso in genere dal punto di vista economico. In verità, il populismo di solito finisce coll’impoverire le persone che lo hanno voluto e propugnato, dato che si manifesta in capi soli e incontrollati che sfruttano la loro discrezionalità a vantaggio loro e dei loro sodali.
Una delle spiegazioni di ciò è che il populismo si afferma quando la società si polarizza, quando i cittadini prendono posizione contro élite inaffidabili. A chi addossare la colpa, quindi, quando le cose vanno storte? Alle élite e ai loro collaboratori, naturalmente, che cercano di mettere a repentaglio la creazione di una nuova società. Un esempio lampante è il modo col quale il presidente venezuelano Nicolas Maduro prova a rifilare la colpa di tutti i contraccolpi e di tutte le battute d’arresto in ambito economico – in primis i black out che stanno perseguitando la capitale Caracas – non alle proprie mancanze ma a un presunto "cyber-sabotaggio" da parte del governo di Donald Trump.
Benché, ovviamente, sia necessaria un’iniziativa politica per dare vita a una coalizione populista, le sue premesse stanno nei veri motivi di malcontento e affinché il populismo sia sconfitto è dunque necessario porvi rimedio. Questo implica due cose. La prima è sono indispensabili politiche che affrontino almeno alcune delle sfide, come l’aumento delle disuguaglianze e il fenomeno migratorio. Anche se a livello normativo possiamo credere che la mobilità della manodopera e le politiche generose nei confronti dei rifugiati siano auspicabili, è evidente che le persone non riescono a adattarsi facilmente ai cambiamenti sociali che queste forze creano.
La seconda è che le istituzioni politiche devono essere modificate per poter reagire meglio alle sfide alle quali devono fare fronte. Cosa ancora più evidente, si dovrebbe affrontare una volta per tutte l’aspetto non democratico della democrazia liberale. Forse, ci serviranno più referendum Brexit, non meno. In verità, fu l’ex presidente della Commissione Europea Jean Rey a dire, nel 1974, nell’ambito del primo referendum col quale la Gran Bretagna entrò a far parte dell’Ue, che si trattava di "chiedere il parere di persone che non conoscono i problemi, non di chiedere il parere di persone che li conoscono. Deplorerei una situazione in cui la politica di questo grande paese dovesse essere lasciata alle casalinghe".