Il Messaggero, 25 maggio 2019
La fine di Adolf Eichmann
Il 23 maggio 1960 fu un bel giorno per la Giustizia. Quella mattina, infatti, il mondo apprese che un commando israeliano aveva catturato a Buenos Aires Adolf Eichmann, ex ufficiale della Gestapo, responsabile della morte di sei milioni di ebrei, e l’aveva portato a Gerusalemme per sottoporlo a un processo. Fu un’impresa straordinaria per intelligenza ed audacia, che provo a ricostruire.
Eichmann non era stato l’ideatore della Soluzione finale, voluta da Hitler e organizzata da Himmler e da Heydrich. Ma ne era stato l’esecutore più solerte, ed a lui era stato affidato il compito di organizzare i trasporti degli ebrei fino ai campi di sterminio. Compito eseguito con straordinario zelo, al punto da eccedere gli ordini impartitigli: nell’autunno del 44 aveva spedito a Bergen Belsen un treno con 1400 ebrei che Himmler aveva autorizzato ad espatriare in Svizzera. Nel considerarlo il massimo responsabile vivente dell’Olocausto, Israele aveva visto giusto. Per questo iniziò la caccia all’uomo più complessa della storia.
Prima di tutto occorreva trovarlo. Finita la guerra, dopo una breve prigionia in un campo americano e un’errabonda latitanza per l’Europa, Eichmann si era imbarcato per l’Argentina, aiutato da una filiera della Chiesa cattolica e da un’organizzazione di reduci nazisti. Qui era stato raggiunto dalla famiglia, e fu un errore. Seguendo questa pista, dopo anni di deludenti ricerche, il Mossad lo individuò a Buenos Aires. Ben Gurion, il presidente di Israele, decise di portarlo davanti a un Tribunale a Gerusalemme. Non era solo questione di giustizia: l’evento avrebbe ricostruito davanti al mondo, che cominciava a dimenticarsene, le atrocità dei nazisti e lo sterminio degli ebrei.
SICUREZZA
Il 6 Dicembre 1959 Ben Gurion convocò Isser Harel, capo del Mossad e Haim Cohen, ministro della giustizia, e diede il via all’operazione. Al Mossad si unì lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna, con il suo capo Rafi Eitan, una leggenda vivente del movimento sionista; insieme organizzarono una squadra che comprendeva tra gli altri, un medico incaricato di narcotizzare il prigioniero e un falsario in grado di fornire decine di documenti contraffatti. Le difficoltà sembravano insormontabili: oltre alla distanza enorme e alla lingua quasi a tutti ignota, l’operazione doveva essere condotta sotto copertura in un ambiente ostile, contro un uomo che a suo tempo era stato un abile e astuto poliziotto. Ammesso che si fosse riusciti a catturarlo, bisognava poi custodirlo in un luogo segreto, e infine riportarlo a casa incolume. Ma Harel ed Eitan contavano su due circostanze: la presenza in quasi tutti i paesi di simpatizzanti volontari, i sayanim, che fornivano informazioni e assistenza di ogni tipo; e una squadra di uomini geniali, coraggiosi e straordinariamente motivati. Il 18 aprile 1960 Harel radunò i sette uomini del commando (l’ottavo era già in viaggio) e dopo un breve discorso concluse: «Porteremo Eichmann a processo e il mondo vedrà che non abbiamo dimenticato. La nostra memoria risale alle origini della storia, e il libro del ricordo è ancora aperto». Eitan rispose che erano pronti.
GRUPPI
Gli uomini arrivarono in Argentina a piccoli gruppi, con documenti cambiati ad ogni scalo. In breve tempo trovarono gli alloggi, le auto e tutto ciò che serviva a pedinare, catturare, custodire e trasportare il loro uomo. Quest’ultimo teneva una vita regolare, scandita da orari fissi, tra la fabbrica dove lavorava e la modesta abitazione in periferia. Così, la sera dell’11 Maggio1960 gli uomini di Rafi Eitan si appostarono nei pressi di via Garibaldi, vicino alla fermata dell’autobus 203. Ci furono dei contrattempi che fecero salire la tensione, compreso un ragazzino che chiese ai quattro, fermi vicino all’auto con il cofano alzato per simulare una sosta forzata, se avessero bisogno di aiuto. Finalmente videro un uomo scendere dall’automezzo. Nonostante il buio lo riconobbero e Peter Malkin, il più massiccio della banda, gli si avvicinò biascicando in un improbabile spagnolo: Un momentito senor. Il tedesco indietreggiò sospettoso, e Malkin gli fu addosso. Tuttavia la preda era più tosta del previsto, cominciò a un urlare scalciando, e i due rotolarono a terra. Ma subito intervenne Moshe Tabor, altro lottatore, e lo ridusse al silenzio, cacciandolo dentro la vettura. L’operazione era durata venticinque secondi.
LA STAFFETTA
Preceduti da una staffetta, gli israeliani arrivarono rapidamente alla casa adibita a prigione. Ammanettarono Eichmann a una branda e lo affidarono a Zvi Aharoni, esperto in interrogatori. Senza alcuna violenza fisica, Aharoni ottenne in poco tempo quel che più gli premeva: l’ammissione dell’identità. Eichmann era collaborativo, e persino servile. Sin dal primo momento ripetè la lamentosa litania di aver solo eseguito gli ordini. Con ulteriore pazienza e qualche bicchiere di vino, Peter Malkin consegui un risultato anche più importante: uno scritto di Eichmann che accettava il trasferimento in Israele «per esservi giudicato da un tribunale competente». Questa sorta di confidenza fece scoppiare una lite tra i sequestratori, le cui famiglie erano state sterminate nei lager. Ma Rafi Eitan era un pratico, ed elogiò la strategia di Malkin e i suoi risultati.
LA DELEGAZIONE
Ora veniva la parte più difficile: portare a casa tutti sani e salvi. Anche questo era stato panificato bene. Una delegazione di Israele era stata invitata per una celebrazione ufficiale, ed era giunta con un quadrimotore gestito da personale controllato dal Mossad. Con una serie di geniali espedienti, Eichmann, seminarcotizzato e in divisa della El Al fu imbarcato nell’aereo senza alcun controllo. Alle 00,05 del 21 Maggio l’aereo finalmente partì. Per accelerare il ritorno, il comandante evitò due scali di rifornimento, e arrivò sulla pista dell’aeroporto di Tel Aviv «senza il carburante per portarsi nell’hangar».
Quando Eichmann fu al sicuro, Ben Gurion annunziò al Knesset che Israele aveva catturato il pianificatore della Soluzione finale. Mezzo mondo esultò di ammirazione, l’altra metà schiumò di rabbia. Ma tutti furono sbalorditi dall’audacia e dall’abilità dell’impresa. Il processo iniziò l’11 Aprile 1961 davanti alle televisioni del mondo intero, con un impatto mediatico che Norimberga, quindici anni prima, non aveva avuto. Il dibattimento fu condotto con le più rigorose garanzie, e l’avvocato difensore, il tedesco Robert Servatius, fu lautamente retribuito dallo Stato. Ma la sua abilità non salvò il suo cliente. Eichmann fu condannato a morte, e nella notte tra il 30 e il 31 maggio 1962 fu condotto al patibolo. Con la corda al collo, augurò a Rafi Eitan di seguirlo presto. Rafi non lo assecondò. È morto a 92 anni, pochi giorni fa.