Libero, 25 maggio 2019
Le brigantesse che difesero il Sud da Garibaldi
«D’indole battagliera, Francesca Sipicciani lottò per la libertà, la giustizia e l’amore». Inizia così, con la voce calda di Sabrina Ferilli, il primo racconto sulla vita di una delle protagoniste di Brigantesse, storie d’amore e di fucile (Edizioni Ponte Sisto, pp. 183, euro 18), un volume, che contiene anche un cd musicale, scritto da Andrea Del Monte, di poesie, racconti, fotografie e interviste sulla vita e le gesta leggendarie delle prime donne entrate a far parte della storia del brigantaggio. Un libro che omaggia le imprese, tra mito e realtà, di donne comuni che divennero “brigantesse” per necessità. Amazzoni, guerrigliere, sicuramente ribelli e coraggiose. «Femministe ante litteram, protagoniste coscienti di una guerriglia», come spiegherà Eugenio Bennato, riferendosi al brigantaggio post-unitario, che si oppose «all’invasione dell’esercito di occupazione Savoia intorno al 1860». Erano donne che tenevano alta la bandiera dei diritti di autoaffermazione, armate di fucile come gli uomini. Che non avevano paura e vivevano nei boschi come i lupi. La loro era una battaglia soprattutto personale («Spesso sfuggivano alla povertà e a un futuro senza prospettive»), contro un destino che le voleva a faticare come schiave nei campi ed essere macchine procreatrici. Maramalde, femmine lussuriose e spietate? Chi erano le brigantesse? Malafemmine, sgualdrine, drude dei briganti, concubine, erinni vendicatrici, amanti, donne di malaffare, ladre, assassine. Questi gli stereotipi più comuni con i quali venivano definite persino negli atti processuali e nelle cronache dell’epoca che le appellava nei modi peggiori. Tutto vero e tutto falso, si può dire. Questo libro vuole principalmente dare loro dignità contro gli stereotipi della storiografia, attraverso interviste a storici, scrittori, poeti e musicisti.«Noi in realtà sappiamo che queste brigantesse non hanno avuto ruoli marginali», dice Anna Maria Paola Toti (storica della Sapienza di Roma), evidenziando come siano state trattate in modo superficiale sotto un aspetto quasi folcloristico, all’interno di un fenomeno, quello del brigantaggio, già molto controverso.
LA «PASTORA» BELLISSIMA
Erano più che altro «donne che sfuggivano al dramma della disperazione», come le ha definite Valentino Romano, nel suo libro “Brigantesse. Donne guerrigliere contro la conquista del Sud (1860-1870)”, edito da Controcorrente. Per Romano erano numerose «le donne del brigante» e molto più rare le brigantesse, ovvero coloro per nulla timorose, che imbracciavano un fucile e lo usavano. Carlo Levi, in Cristo si è fermato a Eboli, scrive che la brigantessa Maria Lucia Dinnella, nota come Maria “a pastora”, era una donna bellissima, una contadina che viveva con il suo amante, in giro per la macchie e le montagne depredando e combattendo, vestita da uomo, sempre a cavallo. Ne deriva un ritratto dignitoso, per nulla inferiore a quello dell’uomo brigante. La più famosa briganta è Francesca Sipicciani, conturbante e decisa, non a caso raccontata e interpretata da Sabrina Ferilli nella miniserie tv Né con te, né senza di te. Così estrema e passionale, la Sipicciani non ebbe paura di affrontare il padrone per chiedere la riduzione dell’orario di lavoro e l’aumento del salario. S’infilò in un triangolo amoroso esplosivo: vi erano due uomini nella sua vita, di uno s’innamorò ma sposò l’altro. Divenne simbolo di emancipazione e di libertà. E Libertà è proprio il nome che diede a sua figlia.
LA MARAMALDA
Nicolina Iaconelli fu una vera “maramalda” – dice una delle canzoni del CD contenuto nel libro – sparò persino a Garibaldi e «per poco non lo prese». Una sorta di Robin Hood, «irrompeva nella casa dei galantuomini ricchi sfondati alla faccia dei poracci» – altra strofa della canzone – «odiava i soldati piemontesi e pure i garibaldini», moglie, madre e amante e soprattutto ladra: «prese in mano la sua vita e un fucile». E poi c’era Carola “la zingara”, che presa da un impulso d’amore verso un ricco pittore che avrebbe dovuto derubare, si lasciò andare alla passione, morendo uccisa tra le sue braccia. Oppure, «Filomena la brigantessa nera a cavallo della sera», altro ritornello di una ballata. Scivolò tra le sue mani, quel giocattolo di carta, mentre seguiva il volteggiare delle penne nell’aria, la carica dei bersaglieri era stata funesta. Ma quando videro quel corpicino rimasto a terra, gridarono: «Ecco è lei la brigantessina!». Le ruppero il gioco e la sua tenera età. Angelina Romano aveva 9 anni.