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 2019  maggio 25 Sabato calendario

Il rischio d’infarto è scritto nel Dna

L’infarto del miocardio si può prevenire, perché chi è maggiormente a rischio presenta un marcatore genetico specifico nel sangue. Uno studio pilota, tutto italiano, ha permesso di individuare precocemente le persone che sicuramente sono destinate ad avere un infarto, sulle quali è quindi possibile intervenire precocemente o con urgenza a scopo preventivo. La ricerca, condotta presso l’Università di Tor Vergata di Roma, e pubblicata sulla rivista scientifica Plos One, ha scovato e identificato un biomarcatore, ovvero una molecola “anomala” chiamata “miR-423”, un piccolo messaggero di Rna non codificante circolante nel sangue, la cui espressione è risultata specifica ed indicativa dell’evento acuto cardiaco, ed il cui livello ematico potrà essere usato come test predittivo di un infarto acuto anche in soggetti apparentemente sani e senza alcun rischio clinicamente evidente. La ricerca scientifica internazionale nell’ultimo decennio aveva già individuato mutazioni genetiche cromosomiali che influivano significativamente sull’accelerazione evolutiva dell’infarto del miocardio, incluso quello giovanile, rivelatesi di grande utilità per evitare danni infartuali o la morte improvvisa per i soggetti che praticano attività sportive o per gli atleti in attività, ma questa nuova molecola fotografata nel Dipartimento di Genetica dell’Università romana, diretto dal prof Giuseppe Novelli, è più importante, perché rivela con relativa certezza la presenza nel sangue di un sintomo-sentinella, il principale fattore di rischio che annuncia in anticipo l’evento cardiaco acuto.

STORIA FAMILIARE
Naturalmente la componente genetica (sesso e storia familiare) del rischio infartuale è e resta immodificabile, anche perché ci sono ancora altri fattori non ancora conosciuti che fanno sì che alcune persone abbiano un infarto ed altre no, pur avendo lo stesso profilo di rischio, ma il dosaggio del livello ematico del “miR-423” consentirà di selezionare i soggetti in pericolo, che necessitano di interventi terapeutici e preventivi immediati, e presto potrebbe diventare uno strumento diagnostico utile da un punto di vista predittivo e clinico, per intervenire con rapidità e certezza anche su coloro che raggiungono un pronto soccorso con diagnosi cardiaca incerta. A breve sarà quindi possibile ridurre le probabilità di andare incontro ad un infarto acuto con una terapia preventiva, anche se resta ancora impossibile annullare completamente il rischio, ma l’aver individuato il fattore genetico che influenza e determina la manifestazione patologica cardiaca è un importante passo avanti, che può addirittura allontanare il pericolo del tragico evento miocardico e quindi migliorare in modo significativo la prognosi. Molte vite umane dipendono dall’attenzione e dall’accuratezza con le quali i medici e gli specialisti del settore affrontano la patologia cardiaca e le sue manifestazioni cliniche, per cui conoscere una ulteriore componente molecolare, che preannuncia un evento acuto immediato, accende una nuova luce su una patologia che rappresenta oltre un terzo di tutta la mortalità del mondo occidentale.

I PERICOLI
Tutti i fattori di rischio più noti dell’infarto (colesterolo, ipertensione, diabete, obesità ecc) sono stati studiati in modo approfondito e diffusi tra la popolazione generale, ma molti dubbi ed incertezze sono rimasti a riguardo dei fattori di rischio immodificabili, quelli con collegamento genetico, nascosti nel Dna, la cui influenza nella manifestazione patologica non era mai stata possibile prevenire o modificare. Oggi con questa nuova scoperta arriva una nuova era dell’utilizzo della medicina genetica, per cercare di affrontare e fronteggiare quello che è tuttora considerato a livello mondiale il big killer: l’infarto del miocardio. In Europa insistono oltre 5milioni di morti all’anno per infarto, il 40% delle quali sono premature, verificandosi prima dei 75 anni, e delle quali il 54% colpisce le donne. Anche in Italia le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte, oltre 70mila persone ogni anno ne vengono colpite, una ogni 6 minuti, e di queste 30mila muoiono prima del ricovero, durante il ricovero, oppure entro sei mesi dalla dimissione. Sino a 60anni i nostri connazionale maschi vengono colpiti dall’infarto da 2 a 4 volte più delle donne, mentre al di sotto dei 35 anni la patologia cardiaca è quasi sempre a trasmissione genetica.