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 2019  maggio 25 Sabato calendario

Un secolo di Aperol

Un cubo cade e sta lì, una palla rimbalza e poi ci pensa la gravità. Il liquido invece è anarchico, fa quel che gli pare: lo versi e non sai mai come e dove va a finire. E da qualche goccia in un monastero del 1805 si può arrivare a una marea sulle spiagge di Tel Aviv.
Fermi, stiamo correndo troppo. Sarà l’energia di questo arancione che tutto pervade: the happiest color, il più felice dei colori per Sinatra, «una campana che ci invita» per Kandinsky. Semplicemente, la sfumatura della spensieratezza e dell’aperitivo da un secolo. Ovvero da quando i fratelli Luigi e Silvio Barbieri presentarono alla Fiera Internazionale di Padova la loro creazione a base di rabarbaro, china, genziana ed erbe: l’Aperol. Che nel 1919 era un’invenzione che strizzava l’occhio al francese apéro, ma che oggi è diventato icona dell’aperitivo all’italiana, da celebrare con un anno di eventi.
Ma i monasteri e Tel Aviv che c’entrano? Un po’ di pazienza, ordinate uno Spritz e godetevi la storia. Che parte da Praglia, sui Colli Euganei, da cui a inizio Ottocento l’abate Giuseppe Barbieri scappa perché filonapoleonico. Una volta rientrato, non riottenendo il suo posto, per ripicca scippa le ricette ai monaci (tutt’ora segrete) e le regala ai nipoti. Pian piano si arriva alla bottega Barbieri di via Tommaseo a Padova e infine alla creazione dell’Aperol. Il resto è un secolo di bottiglie Art Nouveau, splendidi manifesti dedicati a sportivi e donne («Signora, Aperol mantiene la linea!») e spot mitologici su Carosello («Ah, Aperol!» con Tino Buazzelli che si colpiva sulla fronte). Fino alla «Spritz life» di oggi, con modelle dalle chiome fulve che ballano sui banconi e l’aperitivo arancione che dilaga in tutto il mondo, dai concerti alla Moto GP, dai bacari veneziani ai lounge bar di New York. La chiamano glocalizzazione, o forse è solo la forza segreta del made in Italy.
A proposito di Grande Mela, fa sorridere che il NY Times abbia lanciato strali contro lo Spritz, il «signature cocktail» di Aperol, proprio nell’anno del suo centenario. Due le accuse: è troppo dolce, e questa è l’eterna, soggettiva diatriba fra palati più o meno «bitterofili»; e spesso si prepara con Prosecco di bassa qualità. Che è come demolire il Martini perché si usa gin della Lidl. Ma pazienza, ognuno impiega il tempo dell’aperitivo a modo suo.
In Italia, dove l’aperitivo è da sempre condivisione, il Gruppo Campari che dal 2003 detiene il marchio Aperol ha deciso di festeggiare alla grande un prodotto che è «rito e mito» e simbolo della creatività a 360°, dalla musica all’arte alla grafica. Una serie di bottiglie in edizione limitata con etichette (ognuna pezzo unico grazie a un algoritmo che mischia i colori) disegnate da Lorenzo Mattotti; un ritorno alle origini con l’operazione «Grazie Veneto», nell’ambito della quale tre divani «Bubble» di Kartell realizzati da artisti internazionali verranno posizionati per le vie di Padova a simboleggiare la filosofia dell’«Happy together», felici insieme; un graphic novel realizzato dai fumettisti Tito Faraci e Sergio Cerasi dal titolo Orange Chronicles (editore Gribaudo, in libreria da luglio a 16,90 euro); e soprattutto il consueto «Aperol summer tour», iniziato questo mese appunto da Tel Aviv e che prevede party e dj-set sulle spiagge del Mediterraneo, con l’aperitivo che sbarca direttamente da mezzi anfibi. Un’autentica festa mobile, direbbe Hemingway.
Ma mentre il mondo si tinge di arancione, forse vale anche la pena interrogarsi sui tanti perché di un successo così globale. Merito senza dubbio del colore unico e più riconoscibile di un logo, «che comunica socialità, gioia di vivere, positività», come spiega Lorenzo Sironi, senior marketing manager di Campari. Merito della comunicazione, con 1700 eventi l’anno solo in Italia e la sponsorizzazione di concerti. Ma merito anche di sua maestà lo Spritz.
Già, perché il drink – nato nel Nord Est da soldati austriaci che aggiungevano uno spruzzo (nomen omen) di soda ai vini locali troppo forti – ora è un cocktail internazionale ufficiale proprio con Aperol. In Veneto ne bevono 200 al minuto, ma il fatto che su Google si trovino quasi due milioni di link dedicati dimostra che come ambasciatore del gusto italico funziona quasi meglio della pastasciutta. «Il sapore gradevole dolce/amaro, la tendenza globale al basso tenore alcolico (con 8/9 gradi è fra i drink più leggeri, ndr) e la scelta di servirlo nel bicchiere balloon – svela Sironi – hanno creato un vero effetto contagio». E via di Spritz e patatine, patatine e Spritz fino all’ultima vigna di Prosecco e all’ultimo campo di patate.
Si sa, i numeri tendono sempre a prosaicizzare le suggestioni, ma se Aperol è finito nella classifica dei 15 brand più emergenti del settore beverage mondiale e se l’81% dei consumatori è fra i 18 e i 44 anni, qualcosa vorrà dire. Per esempio che il messaggio è arrivato: «L’aperitivo è il momento in cui dimentichiamo le divergenze e stiamo insieme – conclude Sironi -. Arancione è il colore delle persone che stanno bene insieme». E mentre – camparescamente – il rosso è passione e intensità bitter, ecco spiegata l’essenza del popolo di Aperol. Che cerca un benessere lieve senza troppe paturnie su annate, botaniche o terroir e preferisce godersi il tempo libero. Gente allegra, lo Spritz l’aiuta.