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 2019  maggio 25 Sabato calendario

Tutti gli errori di Theresa May

Il tentativo di lasciare la Ue ha dominato ogni minuto del breve regno della May: senza Brexit l’ex ministro degli Interni non sarebbe mai diventata leader, ma Brexit ha anche causato la fine della sua carriera politica. Il cataclisma del referendum aveva catapultato l’incolore May guida del partito conservatore e del Paese nel 2016. 
Il suo primo errore da premier è stato dedicare tutti i suoi sforzi a mantenere unito il partito conservatore (invano), curandosi assai meno del Paese e della Ue. Per farsi perdonare il passato da “remainer” è diventata più realista del re. Al grido di «Brexit significa Brexit» ha posto condizioni stringenti all’uscita dalla Ue, di fatto impedendo negoziati significativi con Bruxelles. 
Il suo secondo errore è stato quello di far scattare il conto alla rovescia verso l’uscita dando l’interpretazione più rigida possibile del referendum. Gli elettori avevano solo deciso di uscire dalla Ue. La gamma di possibilità era vasta. La May ha deciso di escludere di restare nel mercato unico o nell’unione doganale e ha insistito per la fine della libera circolazione
delle persone.
Nei negoziati ha trascurato il business e completamente ignorato il settore dei servizi, cruciale per l’economia britannica. Da ex ministro degli Interni ferocemente anti-immigrazione, la sua priorità nei negoziati è stata chiudere le frontiere ai cittadini Ue, a scapito di tutto il resto. 
Il suo terzo errore è stato quello di indire elezioni anticipate a sorpresa nel 2017, convinta di rafforzare la sua posizione in Parlamento. Un boomerang: i conservatori hanno perso la maggioranza e la May si è trovata ostaggio del Dup, gli unionisti irlandesi che più di ogni altro hanno ostacolato l’approvazione dell’accordo di recesso.
Dopo la sconfitta alle urne, il quarto errore della May è stato quello di non aprire un dialogo con i partiti di opposizione per trovare un compromesso accettabile a tutti. Una leader meno dogmatica e più inclusiva avrebbe cercato di trovare terreno comune invece di escludere del tutto il 48% dell’elettorato che aveva votato Remain.
L’accordo faticosamente raggiunto con Bruxelles è stato respinto sia dall’opposizione sia da gran parte dei Tories. Per restare in carica, la May ha dovuto promettere per ben tre volte di dimettersi. È sopravvissuta a un voto di sfiducia ma il suo accordo non è passato. Negli ultimi due mesi ha avuto un unico obiettivo: far approvare il suo accordo per poter lasciare l’incarico a testa alta. Per raggiungerlo ha tentato strade che avrebbe dovuto percorrere molto tempo prima, ma le sue tardive aperture l’hanno solo resa invisa a tutti. 
Inaffidabile e al tempo stesso irremovibile, la May ha tentato di tutto per raggiungere la sua meta. Difficile dire se per ambizione personale o per una genuina convinzione che il suo accordo fosse la soluzione migliore  per il Paese.