Corriere della Sera, 25 maggio 2019
Kechiche, il sesso e Picasso
Fedele a se stesso e a alla sua leggenda, fino in fondo. Duro e tagliente, gli occhi nascosti dietro lenti fumé, pronto a controllare da dove arriverà il colpo e a prevenirlo. Altro che Rambo. Il combattimento più serrato di questa edizione del festival è andato in scena alla conferenza stampa di Abdellatif Kechiche per Mektoub, My Love: Intermezzo, in concorso a sei anni dalla Palma d’oro per La vita di Adele.
«La cosa importante per me era celebrare la vita, l’amore, il desiderio, il respiro, la musica, i corpi in un’esperienza cinematografica più libera possibile, rompendo i codici narrativi», esordisce Kechiche.
Decisamente tesa l’atmosfera in cui il regista prova a difendere l’overdose di tre ore e mezza, di cui oltre la metà girati ad altezza bacino, protagonisti un gruppo di giovani in una notte di fine estate, a Sète. Capitolo secondo della sua trilogia sulla passione, culminato nella ormai celebre scena del cunnilingus, tredici minuti secondo i più pignoli (la diretta interessata, Ophélie Bau, ha disertato conferenza e photocall ma, pare, solo per impegni su un set). Rivendica la libertà del suo sguardo artistico sui corpi, in particolare su quelli femminili, cita il Picasso cubista. «Volevo descrivere cosa smuove in me la vista di corpi, ventri, natiche, raccontare le cose attraverso il movimento. È qualcosa di magico».
Accetta che non tutti condividano il suo sguardo: «Non tutti sono aperti verso esperienze nuove o capiscono il mio desiderio di sublimare questi talenti che non hanno avuto paura di superare le barriere». A chi chiede conto dei bacini inquadrati fino allo sfinimento risponde secco: «Sono stato ispirato da pittura e scultura. Se cammino per Parigi, alzando la testa si vedono un sacco di chiappe: di dei e angeli». Il malumore sale quando si evocano i modi di lavoro, già criticati da Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos. «Non voglio più rispondere, troppe cose malsane su questo argomento. Ho chiesto agli attori di non parlarne». Solo Hafsia Herzi, sua attrice da dodici anni, butta là: «È stato un piacere».
La corda è tesa e si spezza alla domanda («fuori luogo e imbecille») su molestie sessuali che lo riguarderebbero. «Domande così sono il segno dei tempi. Ho la coscienza pulita». Ma l’umore è nero.