Corriere della Sera, 25 maggio 2019
L’amore vegetale
La Natura ci affascina. La cerchiamo perché da essa dipendiamo. La Natura ci sostiene fisicamente, per l’aria pura, l’acqua potabile, il cibo. Ma ci sostiene anche psichicamente, perché ci accoglie, ci meraviglia e ci rigenera. Ogni anno spendiamo molto più tempo (e soldi) per immergerci nella Natura – visitando parchi e aree protette, passeggiando lungo le spiagge o nei boschi, coltivando orti o semplicemente fiori ed erbe aromatiche nei balconi – che per tutte le manifestazioni sportive professionistiche messe insieme.
Il nostro legame affettivo con la Natura resta forte. Perché è un legame che è iscritto nel patrimonio genetico che abbiamo ereditato dai nostri antenati. Per 285.000 anni (su 300.000), Homo sapiens si è evoluto e si è adattato ad ambienti dominati dalla Natura selvatica. Solo negli ultimi 15.000 anni abbiamo iniziato a separare la Natura domestica da quella selvatica. E solo negli ultimi 300 anni abbiamo cominciato a perdere il contatto con la Natura. Abbiamo nostalgia di questo contatto. È una disconnessione che ci lascia inquieti. Sindrome da deficit di Natura, così l’ha definita Richard Louv, autore del best seller L’ultimo bambino nei boschi.
Gli scienziati chiamano biofilia il nostro legame affettivo con la Natura. Letteralmente «amore per la vita». Soltanto di recente però, è stato possibile verificare sperimentalmente l’ipotesi della biofilia. E gli scienziati hanno scoperto che il bisogno di Natura non è un sentimento soggettivo, ma investe in modo concreto lo sviluppo della personalità. In particolare, sappiamo che un contatto frequente con l’elemento naturale riduce lo stress e favorisce la rigenerazione dalla fatica mentale.
Ma oggi, con più di metà della popolazione mondiale che è urbanizzata, è ancora possibile offrire a tutti un contatto con la Natura? Forse sì, ma dobbiamo riprogettare gli ambienti artificiali (case, uffici, scuole, ospedali, luoghi pubblici) per renderli il più possibile simili ai contesti naturali. È questo il compito del biophilic design (progettazione biofilica). Al Laboratorio di ecologia affettiva dell’Università della Valle d’Aosta, noi studiamo da anni una progettazione biofilica alpina, favoriti dalle montagne più affascinanti d’Europa. Con il programma di ricerca Nuova Architettura Sensibile Alpina abbiamo realizzato a Gressoney-La-Trinité la prima scuola biofilica in Italia. Un intervento di riqualificazione edilizia che ha permesso di rendere energeticamente più efficiente la scuola e allo stesso tempo di creare un ambiente rigenerativo per i bambini e per le maestre che la frequentano. I risultati sono molto incoraggianti. Come previsto dalla teoria, la scuola biofilica riduce lo stress e i bambini lavorano meglio, perché si sono accorciati i tempi necessari al recupero dalla fatica mentale.
Gli architetti e i progettisti si stanno impegnando per recuperare il nostro legame affettivo con la Natura. Le certificazioni edilizie stanno allargando l’orizzonte. Oltre all’efficienza energetica, si presta sempre maggior cura al benessere di chi vive l’ambiente. E inevitabilmente si deve tenere conto del legame affettivo. Ad esempio, l’International Living Future Institute ha da tempo inserito il biophilic design nei propri protocolli di certificazione edilizia, come nel caso del recentissimo Living Building Challenge 4.0, presentato a Seattle a inizio maggio. La Natura va conservata per il nostro benessere fisico e mentale. In futuro avremo bisogno di cambiare alcuni stili di vita, divenuti insostenibili. Dovremo ampliare le aree protette per preservare la Natura selvatica che è maggiormente minacciata. E dovremo imparare a lasciarle spazio nei nostri cuori, oltre che nei nostri ambienti. Ricordandoci che la Natura non ha bisogno di noi, ma noi abbiamo bisogno di lei.