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 2019  maggio 25 Sabato calendario

Mulazzani, l’uomo che vestiva i libri

Destino della grafica è spesso di essere tanto diffusa quanto anonima agli occhi del pubblico. In tanti ricorderanno lo spot per le liquirizie Tabù con le mani bianche che danzavano su un fondo nero trasformando in disegno animato Il cantante di jazz di Al Jolson, ma pochi, a parte gli addetti ai lavori, sanno chi c’era dietro. Si chiamava Giovanni Mulazzani e, a distanza di otto anni dalla morte, Urbino gli dedica una mostra che ne celebra la carriera. Una mostra ma anche un libro, edito da Corraini:  L’illustrazione al centro. Editoria, pubblicità e animazione. Monografia, splendidamente illustrata, che ripercorre oltre cinquant’anni di professione e di ricerca artistica. 
Proprio a Urbino, all’inizio degli anni Sessanta, Mulazzani aveva mosso i primi passi nel mondo dell’illustrazione studiando alla scuola del Libro di Palazzo Ducale, una realtà non comune all’interno del sistema delle Belle Arti, dove si insegnava ogni aspetto del design editoriale dalla composizione tipografica alla rilegatura, all’illustrazione nelle varie tecniche, che fosse l’acquerello o l’incisione. Da qui inizia una carriera che lo porta a confrontarsi con progetti di vario tipo. Esordisce collaborando con lo studio di Bruno Bozzetto: erano sue le scenografie solenni e ironiche per West and Soda. Poi molta pubblicità. Ma è l’editoria che lo accompagna fino alla fine. Ha disegnato decine di copertine per Feltrinelli (sue quelle notissime per Stefano Benni) e poi Rizzoli, Mondadori, Bompiani e, nell’ultimo periodo, Guanda. 
A differenza di altri colleghi che hanno puntato (o trovato) uno stile riconoscibile che li ha identificati, Mulazzani ha avuto il dono della versatilità: dimostrandosi a suo agio con prodotti e editori diversi, e in grado di cambiare registro a seconda delle esigenze, rivelando, come si sarebbe detto nel secolo scorso, una sensibilità più da designer che da artista, cioè più versata a dare voce alla committenza che a condizionare la comunicazione con la propria espressività. «Non mi considero un artista puro, che opera senza condizionamenti esterni alla sua creatività» diceva. Ma, del resto, al di fuori dei miti romantici nessun artista ha mai fatto davvero come gli pareva. Guardando sinotticamente i lavori di un’intera carriera si riconosce lo sguardo della stessa persona, ed emerge un disegnatore dotato di una sensibilità figurativa davvero non comune. Ricordandolo all’indomani della scomparsa Till Neuburg diceva: «Giovanni non aveva uno stile. Ogni sua opera era un prototipo di un modo diverso di vedere e di farsi guardare. [...] Tutti sapevano che non si sarebbe ripetuto mai. E questo fatto gli assegnava un’autorevolezza assoluta, forte, indiscussa».
La retrospettiva ha però un’altra virtù dovuta al processo con cui è stata messa insieme: il progetto nasce da un percorso didattico interno all’Isia di Urbino (istituto universitario pubblico dedicato alla grafica) in collaborazione con il festival «Urbino, le città del libro» e Casa natale di Raffaello. L’allestimento e il catalogo sono il frutto del lavoro congiunto degli studenti con le curatrici, Silvia Sfligiotti (grafica e docente di storia del design) e Marta Sironi (storica dell’arte con particolare attenzione all’editoria). I ragazzi si sono confrontati con i materiali d’archivio: per sceglierli, per decidere come esporli e infine per costruire un percorso rivolto a occhi esterni. Non è scontato. La grafica è fatta di materiali fragili, deperibili e spesso effimeri. Il packaging del pacco di pasta, la copertina del paperback, la pubblicità sulla rivista sono cose che una volta usate vengono gettate. Studiare queste eredità significa rintracciare oggetti sparpagliati in collezioni private, biblioteche, archivi parziali, giacché i musei per queste particolari forme di modernariato sono pochi. Tanto più complesso, dunque, il lavoro delle curatrici e degli studenti. E il risultato si vede. A differenza di cataloghi più paludati qui c’è uno sguardo dall’interno: non ci si limita a mostrare le illustrazioni e le copertine finite, ma – anche grazie al supporto degli eredi di Mulazzani – ci vengono mostrati i processi che sono dietro ai risultati: ad esempio un serie di polaroid d’epoca con le pose studiate per le cover dei romanzi gialli, oppure i ritagli di decine di fonti visive, raccolte negli anni, di riviste illustrate che l’artista aveva organizzato in categorie (iconografia generale, epoche, guerre, paesi) e che permette di capire come ragionavano i creatori di immagini prima di internet. Una lezione per gli studenti. E anche per noi.