La Stampa, 25 maggio 2019
Quando Dc e Pci furono sedotti dal fotoromanzo
Vitina stretta e gonna a palloncino, lei assomiglia ad Ava Gardner e lui che la stringe tra le braccia nerborute è un incrocio tra Rock Hudson e Gregory Peck. Sono i protagonisti del fotoromanzo Più forte del destino e le loro immagini ricalcano quelle dei divi del cinema hollywoodiano. Però Sandra e Giorgio sono operai di Bologna, roccaforte del Partito comunista negli anni Cinquanta. Vogliono sposarsi ma incontrano tanti ostacoli. Come mai? Sandra ha firmato un contratto capestro (se in attesa di un figlio può essere licenziata), non riescono a trovare un’abitazione e, mentre Giorgio è in prigione per aver scioperato, viene molestata da un ricco e cinico capitalista. Però un compagno li esorta a votare per il partito di Togliatti che garantisce asili, assistenza e la «costruzione da parte del Comune di 2.000 appartamenti dove c’è una lavatrice elettrica». Questo fotoromanzo, pubblicato prima a disegni e poi con le fotografie, appare alla vigilia delle elezioni del 1956 e del 1958. Chi è l’editore di Più forte del destino? Il Partito comunista. E lo è proprio negli anni in cui i massimi dirigenti del Pci si scagliano contro il romanzo per immagini, lanciato in Italia con gran successo da Cesare Zavattini e dal regista Damiano Damiani.
A raccontarci, adesso, la singolare e fino a oggi sconosciuta storia del fotoromanzo politico italiano e a rivalutarlo non solo perché ha avvicinato milioni di donne alla lettura ma anche come strumento per veicolare contenuti politici e culturali, è la saggista Silvana Turzio nel volume Il fotoromanzo. Metamorfosi delle storie lacrimevoli, (Meltemi editore, pp. 230, € 20). Nel divertente excursus dal dopoguerra a oggi (il racconto illustrato va ancora forte e vende circa 250 mila copie settimanali), la studiosa fa emergere le contraddizioni dei grandi partiti, dal Pci alla Dc, di fronte a Bolero film, Grand Hotel e testate affini: dette anche «cinema statico», per la loro straordinaria diffusione - circa un milione e mezzo di copie a settimana fino agli anni Sessanta - queste pubblicazioni furono considerate i più potenti veicoli della sottocultura americana e una fucina di sogni e illusioni sbagliate per i più poveri. Però poi le maggiori organizzazioni politiche affidavano pubblicità e propaganda al genere così deleterio. Da dove nasceva questo odio-amore?
«Vade retro!»: era il comunista Giancarlo Pajetta a pronunciare l’anatema contro il fotoromanzo «subdolo e potente strumento di corruzione», Palmiro Togliatti predicava il rifiuto dei rotocalchi femminili ed Enrico Berlinguer lamentava che le ragazze leggessero Bolero film a scapito di altri più importanti testi letterari. Anche i democristiani si applicarono alla disamina del diabolico prodotto: nel 1951 la Dc propose l’istituzione di una commissione parlamentare di Vigilanza e Controllo della stampa per limitare le nefaste pubblicazioni.
A remare controcorrente e a capire, invece, per prime l’importanza di quel singolare fumetto furono le donne comuniste: dopo l’apparizione di Bolero film, edito da Mondadori, la rivista del Pci Noi Donne uscì con la storia per immagini di Pamela per esaltare l’emancipazione femminile alla vigilia delle elezioni dell’aprile 1948 e in un solo mese passò dalle 40.000 a 165.000 copie.
Anche Famiglia cristiana aveva subodorato che signore e signorine erano un terreno fertile: così raccontò con i fotoromanzi le vite di Maria Goretti, di Giovanna d’Arco e di tante altre martiri. Le protagoniste, anche se si trattava di sante, di suore o di pie donne, esibivano corpi eleganti e sinuosi da star d’oltreoceano.
Le contraddizioni della politica nei confronti del «cinema statico» non si arrestarono nemmeno con il ’68: i giovani radicali lo denigrarono come veicolo di riti e miti borghesi e dell’idea tradizionale di famiglia. Dettero vita però a fotoromanzi icone della sinistra come Jean-Luc Godard e Allan Sekula. A Torino, culla dei movimenti operai e studenteschi, si realizzarono storie con immagini che avevano come tema la «lotta per la casa» e la rivista satirica Il Male trasformò in interpreti di storie patetiche i rivoluzionari come Franco Piperno, esponente di spicco di Potere Operaio.
Lucciola, pubblicazione delle prostitute di Pordenone, ebbe come inserto con fotografie Part-time, dove le belle di giorno descrivevano gli incontri con i clienti, mentre Achille Bonito Oliva interpretò Cosa bolle in pentola, sottotitolo Cosa sa fare una moglie se il marito preferisce una trans e il testo era redatto dalla futura parlamentare Tiziana Maiolo.
La controcultura artistica e giovanile si dimostrò insomma consapevole, come del resto sindacati e partiti, che per far attecchire l’amore per l’innovazione e per la cultura era necessario far breccia nel cuore delle donne, grandi lettrici e appassionate fruitrici di fotoromanzi.