Venditti cantava: “E mio padre una montagna troppo alta da scalare”. Com’è stata la sua scalata?
«Facile. Papà nella vita era una collina molto dolce. Affabile, semplice, anche cazzaro, se mi posso permettere. Si faceva piccolo per non dare ingombro. Metteva le persone a proprio agio».
Lei con suo figlio com’è?
«Severo. Non credo nei genitori amici. Ma Leo è bravo, si è presentato a X Factor senza dirci niente, è stata una sorpresa. Ero preoccupato per l’università. Mi ha detto: “Fidati, ci tengo”. Oltre a continuare a cantare ha ripreso a studiare. Anche in questo non ha preso da me: a scuola, come diceva papà, ero una capra».
Suo padre è stato anche il suo maestro.
«Ho iniziato con Affabulazione, ho rilavorato con lui nel Moby Dick. Papà era esigente, molto severo con me. Mamma era morbida. Ho trovato un equilibrio».
Oggi che rapporto ha con sua madre Juliette Mayniel?
«Un rapporto a distanza, vive in Messico. Si è stabilita a San Miguel de Allende, a 2000 metri di altezza, città d’arte bellissima, ci sono quaranta chiese barocche, ma difficile da raggiungere. Ha sempre vissuto da sola, la sua condizione è l’indipendenza totale. Ecco, lei non è naturalmente portata al ruolo di madre, siamo amici».
Le è mancata una mamma tradizionale?
«Non so dirle se mi sia mancata, forse sì. Ma non avendola mai avuta non so cosa voglia dire».
Oggi fa l’attore e il regista: cosa le piace di più?
«Con la regia teatrale mi sento più libero: posso dare forma al racconto con i miei attori, ho il privilegio di entrare e uscire dalla realtà. Ho avuto la grande fortuna di portare un cognome importante per cui sono diventato popolare subito. Il resto l’ho costruito, sono uno stakanovista, mi piace farmi trovare preparato».
Sia in “Tutto un altro mondo” che nei “Bastardi di Pizzofalcone” è poliziotto e padre.
«Nella serie di Gianluca Tavarelli sono un investigatore che indaga sul suicidio del figlio, schiacciato dal senso di colpa. Tavarelli è sensibile, ci siamo ritrovati. Stiamo girando nelle periferie romane, non riconosco questa città nelle sue caratteristiche umane, ci siamo talmente incattiviti».
Si è chiesto perché?
«Per colpa nostra, abbiamo contribuito tutti. Ci voltiamo dall’altra parte, c’è stata un’epidemia di egoismo».
“I bastardi di Pizzofalcone” era finito con un’esplosione, chi ritroviamo?
«Non penserà che le dico cosa succede. Maurizio De Giovanni è geniale. Nella sua Napoli c’è il peggio e il meglio, puoi vederne tutti gli aspetti. La amo. Il sindaco De Magistris mi ha nominato cittadino onorario. Nella scena di un inseguimento finivo nello stesso palazzo in cui mio padre girò Questi fantasmi. Un segno del destino».
Con De Giovanni collabora anche a teatro.
«Sì, metto in scena Il silenzio grande con Massimiliano Gallo e Stefania Rocca.Tutto ruota intorno alla vendita di una villa a Posillipo con una sorpresa che spiazzerà gli spettatori. Maurizio ha scritto un piccolo capolavoro, dopo il debutto a giugno sarà in tournée da ottobre».
Che rapporto ha con gli anni che passano?
«Mi chiedono gli autografi per le mamme e le zie. Ho detto tutto».
Ma se era un sex symbol.
«Appunto, ero. Sfatiamo questa cosa, sono sempre stato un introverso, meno male che mi hanno sedotto».
Con sua moglie Sabrina Knaflitz siete sposati da ventuno anni: la ricetta?
«Ma figuriamoci. Fortuna, destino. Lei è divertente. Facciamo tante cose: i viaggi, condividiamo la vita ma abbiamo spazi di indipendenza. Forse la cosa importante è non averla completamente compresa. Per esempio è affacciata alla finestra da un po’, chissà cosa guarda».