la Repubblica, 25 maggio 2019
Il record di Tortu (non omologabile)
Filippo ha sfondato il Muro Tortu: 9"97. Due centesimi meglio dello scorso anno e del record italiano col quale già pareva che avesse toccato le stelle con un dito. Ma non fatevi ingannare. Il debutto di ieri è stato emozionante e tuttavia è niente rispetto a ciò che verrà. A Rieti sussistevano le condizioni. Anche se non tutte: i blocchi per esempio non reggevano la spinta degli atleti più potenti. «In batteria voleva fermarsi», ha ammesso papà Salvino, il suo allenatore. E c’era anche il vento, che dà e toglie. Nella finale del 9"97 soffiava appena sopra la norma (+2.4 m/s), oltre i 2 metri al secondo un tempo non può essere omologato. Visto Filippo, è un dettaglio. Quanti margini ancora. Quanti muri ancora da buttar giù sia nei 100 che in quei 200 che lo stanno aspettando al Golden Gala del 6 giugno. Inoltre nessuno ha mai codificato, perché è impossibile farlo, i vantaggi potenziali del vento a favore: quanto regala se è a limite e alle spalle? Centesimi? Sì ma quanti? Molto dipende dal soggetto, dal suo stile, dipende se soffia (come ieri) a raffiche e in modo disarmonico tra le varie corsie. Rimane la formidabile conferma di essere ad altissimo livello (il debutto dello scorso anno fu 10"16 e già sembrava un capolavoro). Il risultato di ieri vale più del 9"99 con vento a norma, è più autorevole e maturo. Il gesto, la regale bellezza del nuovo Tortu, nuovo persino rispetto a dodici mesi fa, si misura in più forza da erogare, in più peso corporeo (circa due kg in più, intorno ai 77) e in maggiore spinta. Il tutto per agevolare quella disumana leggerezza che Filippo esibisce nella seconda parte di gara e che lo rende quasi unico. Guardatelo: lascia che le sue guance ballino (a confronto il suo avversario di giornata, il canadese Brown, secondo in 10"00, sembrava l’uomo più rigido del mondo). Il volto è completamente decontratto e la velocità comincia tutta da lì. Certi aspetti di Filippo non sono allenabili: per esempio quelle doti innate che gli consentono di correre gli ultimi 50 metri da vero prescelto. Ma il resto sì. E allenando si cresce. Questo lavoro di gruppo sta conducendo in altri territori sconosciuti all’atletica italiana: probabilmente sotto i 20” nei 200. La frazione in staffetta di Yokohama di due settimane fa e quelle ginocchia così “berrutianamente” alte non potevano mentire. A se stesso, al padre Salvino coach, al preparatore Di Giorgio e soprattutto alla gente che lo ama, Filippo dà sempre l’impressione di poter guadagnare in qualità: «Lo voglio al top ai Giochi», ripete il padre come un mantra. Sì ma ai Giochi di Parigi del 2024. Il 15 giugno Filippo compirà 21 anni, ha appena iniziato: «È una delle più belle giornate della mia vita nella cornice stupenda di un luogo che respira atletica. Tutto questo mi fa innamorare ogni giorno di più. Voglio che l’atletica diventi più grande possibile. Questa gara la dedico a mio fratello Giacomo (ex velocista, ndr ), che mi ha aiutato molto negli allenamenti e in tutto il resto». La squadra, la famiglia, essere capace di trasformare tutto in soddisfazioni personali e collettive. Che altro c’è?