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 2019  maggio 25 Sabato calendario

A cena con Bjorn Larsson

Le luci basse, i biliardi e un bicchiere di rum, che ci sta bene dopo il "risutin". E ad Affori, quartiere popolare milanese, d’improvviso si fa silenzio per ascoltare Bjorn Larsson, scrittore svedese che parla un ricco italiano, insegna francese, si sente "transnazionale", ha vissuto a lungo in barca e ha appena dedicato un libro alla "scelta dell’identità". Senza fargli torto, a fine nottata, quando l’attore Gigio Alberti quasi si trasforma nel cattivo e amatissimo dal pubblico pirata Long John Silver, al quale Larsson ha dato voce nel suo bestseller, i lettori gongolano. Gigio ha ormai i capelli bianchi, la voce è cavernosa e arrogante il giusto. È Long John, che capisce chi gli ha fatto perdere la gamba e, per vendetta, suscitando nel pubblico un misto di paura e ciniche risate, gliela fa tagliare dal chirurgo. Sembra di stare intorno a un barbecue di bucanieri, invece siamo tra le case proletarie e il profumo del parco di Villa Litta. Siamo all’Osteria del Biliardo (la guida Herion, origini albanesi, ristoratore slow food).

Qui si svolgono le serate letterarie "Zacapa noir", condotte da Luca Crovi, amico sincero di non pochi giallisti. In centoventi lettori, capienza massima, si sono prenotati per La lettera di Gertrud (Iperborea), romanzo uscito da poco e imperniato su una delle domande che s’imparano da ragazzi: «Chi siamo? ». Larsson raramente resta banale nella scansione delle trame. Martin Brenner, il protagonista, è uno scienziato del Dna. Quando la madre muore, non prova un grande dolore, s’interroga sui sentimenti, finché apre una lettera: «Mettere al mondo un figlio dopo essere sopravvissuta a due campi di concentramento… ». Ma come? La madre gli aveva taciuto una così tremenda verità, un simile passato, un intero universo interiore? Persino il fatto di essere ebrei.
Non solo. Fare e crescere un figlio, dopo quello che aveva vissuto con i nazisti, era stato un atto d’amore potente, e così lo considerava. Nello stesso tempo, madre e padre s’erano messi in testa un’idea speciale e "difficilissima": «Non saresti stato un ebreo, un capro espiatorio». Insomma, «sei libero di scegliere cosa essere». C’è chi, vincolato al segreto, può confermare a Martin ogni dettaglio: aiutarlo a capire e a capirsi. Quali saranno perciò i passi successivi del genetista che scopre di avere radici diverse da quelle che pensava?
Se la domanda va lasciata senza una risposta precisa (mai togliere gusto ai lettori), il tema va approfondito: «Scegliere e poter realizzare la scelta, questo è il dilemma sul quale baso il romanzo», spiega Larsson. Dilemma non filosofico, ma "esistenziale". Siccome al mondo non siamo soli, ma abbiamo famiglie, amici, colleghi, il privato, come si diceva una volta, è pubblico? «La scelta è sua, la pressione è degli altri. Però in fondo ognuno vuol capire "chi è". Per questo, sette anni fa, ho cominciato a ragionare sull’esempio più drammatico, l’essere ebreo, l’Olocausto, i pogrom, ho letto moltissimo. Con questa parola, "ebreo", nel mondo attuale si definisce tanto il laico newyorchese omosessuale quanto il rabbino ultraortodosso di Gerusalemme. Entrambi sono chiamati ebrei, ma la distanza di vita tra loro è enorme, il romanzo nasce contro l’idea di un’identità pigra».
Pigrizia-identità è un binomio che contribuisce a rivelare il mondo d’oggi, con una politica contemporanea, non solo italiana, che prospera con slogan raffazzonati. Larsson concorda: «Che cos’è essere europeo? È una domanda impossibile. Anche da noi c’è un partito che dice "Prima gli svedesi", ma basta un minimo di riflessione per comprendere che un concetto simile non ha significato. Esiste un solo tipo di svedese? Mia moglie – indica una bella signora bruna, che lo accompagna spesso nei festival – è salentina. Sostiene che loro siano un popolo, diverso dai baresi, e sono tutti pugliesi, e italiani, quindi che significa "prima gli italiani"? E poi, se porti alle estreme conseguenze il discorso, cosa fai, punisci meno il rapinatore e lo stupratore italiano e di più lo straniero? ». Come non citare una pietra miliare del pensiero, Hannah Arendt? «Lei diceva che non si può amare o odiare un popolo, ma si possono amare o odiare gli individui. Una volta ho scherzato in pubblico su che cosa mi sento o non mi sento, quando ho detto che non mi sento tedesco molti hanno riso. Così ho usato questa risata per dire che comunque rivela uno stereotipo sui tedeschi, noi però siamo persone».
Fa piacere che uno come Larsson, colto ed empatico, abbia credito. Se l’è guadagnato: «All’inizio, il mio primo editore ha rifiutato La vera storia del pirata Long John Silver . Così sono andato da un altro, pensando un po’ al celebre rifiuto del manoscritto che riceve Snoopy, nei Peanuts : "Questa lettera è in due copie, una per questo libro e una per il prossimo".
C’è chi crede che la vita di uno scrittore sia spiaggia, viaggi, Nobel. Invece c’è molta fatica.
Quando ho avuto successo, ho detto all’editore che avrei voluto sfottere il suo concorrente che aveva detto no "alle storie di pirati". Mi ha risposto con una frase che è arte: "Forse la prossima volta sono io che sbaglio". Non esiste una ricetta perché un libro abbia successo. Capita o non capita».
E con questa nuova storia? «Spero – risponde – che i miei lettori si chiedano davvero sul serio che idea abbiano di loro stessi, se parlano delle persone e dei popoli a ragion veduta. Più d’uno m’ha scritto, dopo aver letto di Gertrud, dicendo di essersi sentito "con le spalle al muro". Sinceramente è ciò che volevo».