la Repubblica, 25 maggio 2019
Dettagli sulle tre donne morte di fame a Vienna
Si può accettare che tre donne muoiano di fame in un quartiere ‘rosso’ di Vienna senza che nessuno se ne accorga per mesi? Che se ne vadano dopo una lunga e atroce agonia nel cuore della civile Europa perché hanno smesso di mangiare? Si può accettare che sia solo la puzza dei loro cadaveri ad allertare i vicini, nonostante i servizi sociali e il quartiere intero sappiano da anni che le tre sono un caso da tenere d’occhio? Man mano che emergono i dettagli sui cadaveri – una madre e due figlie gemelle – ritrovati nei giorni scorsi in un quartiere della periferia nord della capitale, lo sgomento in Austria aumenta.Martedì scorso, alle 8,30 della mattina, quando la polizia irrompe nell’appartamento dell’anonimo edificio grigio di Floridsdorf, stenta persino a identificarle. Le tre sono decedute da fine marzo, stabilirà poi l’autopsia: da due lunghissimi mesi. «Sono morte di fame», questo il verdetto dei medicilegali. Non ci sono segni di violenze, né di avvelenamento. «Un primo esame tossicologico non ha fatto emergere tracce di veleni», ha fatto sapere Patrick Maierhofer, portavoce della polizia di Vienna. Aggiungendo che «altre analisi saranno eseguite nelle prossime settimane».
L’unica ipotesi che Maierhofer si sente di azzardare, per ora, è che si sia trattato di un atto «volontario: provocato o accettato«. La madre e le due figlie si sarebbero suicidate, si sarebbero letteralmente lasciate morire di fame. Forse si è spenta prima la madre e le gemelle l’hanno seguita, azzarda qualcuno sui media austriaci. Gli inquirenti non hanno trovato lettere d’addio, né viveri nel loro appartamento. Forse se ne sono andate come erano abituate a vivere, secondo le testimonianze dei vicini. Mettendo il naso fuori casa sempre e rigorosamente insieme.
La donna, una quarantacinquenne di origine serba, era nota per avere problemi psichiatrici. Alle gemelle diciottenni era stato diagnosticato un “ritardo nello sviluppo” da Andrea Friemel, l’assistente dei servizi sociali che l’avevano esaminate. Nell’autunno del 2016, a sedici anni, ossia alla fine dell’età dell’obbligo, le gemelle avevano smesso di frequentare la scuola. Man mano che crescevano, anche questo avevano riconosciuto i servizi sociali, i loro problemi si erano aggravati.Nel dicembre del 2017, su segnalazione di un’organizzazione di volontari, i servizi sociali avevano riacceso un faro sulle tre: il sospetto era che la madre non fosse in grado di occuparsi delle ragazze. Ma nonostante la sua conclamata malattia mentale e la complicata condizione delle gemelle, il faro si era spento appena tre mesi dopo.
L’assistente sociale Friemel insiste oggi che non ci fosse nulla che facesse pensare a un disagio così forte. Implicitamente: a una malattia mentale tanto grave da indurle ad autoinfliggersi un suicidio così disumano. «Se avessimo capito una cosa del genere, avrebbe fornito un’assistenza maggiore, anche finanziaria». Una strage per fame, indegna per un Paese civile, finisce con l’autoassoluzione di chi l’avrebbe potuta, forse, evitare.