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 2019  maggio 24 Venerdì calendario

Intervista a Favino, che è stato Buscetta sul set

«Sì, è la mia prima volta a Cannes, protagonista su questo tappeto rosso. Sono pieno di meraviglia». Pierfrancesco Favino, 50anni ad agosto, ha consegnato ai social la sua prima passeggiata sulla Croisette in un video a velocità raddoppiata. Stupisce che uno degli attori più importanti del nostro cinema, conosciuto all’estero dai tempi di Romanzo criminale, e poi con produzioni hollywoodiane come
World war Z (con Brad Pitt), Angeli e demoni e Rush di Ron Howard, non fosse mai stato ospite al festival francese. Ci arriva in concorso con Il traditore. «È il coronamento di un viaggio bellissimo, faticoso, eccitante, iniziato nel settembre di due anni fa, con i provini per il ruolo di Tommaso Buscetta. È tutto un po’ estremo in questo film per me.
Dall’aver fatto qualunque cosa per convincere Marco Bellocchio fino all’essere arrivati qui», racconta seduto sulla terrazza vista mare dell’hotel Majestic. È magro e molto estivo, in giacca beige con fazzoletto colorato nel taschino, pantaloni a sigaretta. Ad accompagnarlo la moglie e collega, Anna Ferzetti, le figlie sono rimaste a Roma. Favino interromperà l’intervista per una telefonata della primogenita Greta, che augura in bocca al lupo al papà.
Partiamo dai leggendari provini di Bellocchio.
«La stessa verità che trovi nei suoi film è quella che lui vive. Al primo provino ho fatto quattro scene, quando Buscetta racconta dell’uccisione dei figli, il confronto con Pippò Calò, un faccia a faccia con Riina, un colloquio con Falcone.
Quando sono uscito non ero contento, sapevo di poter fare meglio. Dopo un po’ — sapevo che stava vedendo tutti gli attori del mondo — sono andato da lui: mi dai un’altra chance? Qualche mese dopo, Marco: "Va bene, facciamolo"».
Perché era convinto di essere l’attore giusto?
«Sono appassionato all’argomento.
Ho sempre pensato che Buscetta fosse lontano dall’iconografia gangsteristica che esiste al cinema.
E volevo lavorare con Bellocchio.
Amo tutti i suoi film, L’ora di religione è un capolavoro».
Paura di recitare in siciliano?
«No, Buscetta parla una sua lingua, il "buscettese", un mélange di lingue, suoni dal Brasile portati all’estremo, per sottolineare la sua non appartenenza. Ho cercato un siciliano non da fiction, credibile per gli anni 50».
È il film più accessibile al pubblico di Bellocchio.
«Credo che Marco abbia messo il suo sguardo nel personaggio.
Il tradimento, l’emancipazione, la rivoluzione personale sono temi cari al suo cinema. È un film per tutti per l’aspetto di cronaca e di verità storica, affrontato in modo inedito. Per la prima volta emerge l’aspetto rurale e poco alfabetizzato della mafia, l’appartenenza tribale a un gruppo.
Penso a Il padrino, filtrato però dall’italoamericanità di Coppola».
Com’è stata la preparazione fisica?
«Per interpretarlo ho preso nove chili: serviva a restituire la fisicità rurale, gli stomaci rotondi e l’aria tozza, malgrado il tentativo di sfinarla con i gabardine. Quei chili mi hanno cambiato il respiro e il modo di guardare gli altri. Mi piace cambiare aspetto, sparire nel personaggio: non voglio che Favino distragga lo spettatore. O forse sono io che rendo meglio così e vado nel panico se mi chiedi di essere me stesso».
Lei porta al personaggio una grande empatia. Come si è confrontato con il rischio di un Buscetta troppo affascinante?
«Una delle più grandi difficoltà è stato riconoscere che Buscetta aveva dei valori medio borghesi che sono anche i miei: la famiglia, la lealtà, l’appartenenza. Se un film deve ragionare sul male è più interessante e pericoloso che quel male si vesta di valori condivisibili. Significa che può essere anche dentro di noi».
Si è chiarito con il figlio di Antonio Montinaro, agente della scorta di Falcone morto a Capaci, che aveva definito l’uscita nell’anniversario della strage un’operazione di marketing?
«Sì. Sono bastati pochi minuti per comprenderci. Non disperdere la memoria è una delle cose importanti che può fare il cinema».
Da Buscetta a Craxi, l’aspetta "Hammamet" e un’altra figura controversa della storia d’Italia.
«Non potevo dire di no a un maestro come Gianni Amelio. Ma ho fatto cose diverse: D’Artagnan, Sanremo, e altre ne vedrete. Io sono tutta questa roba qui. C’è un sacco di gente qua dentro e ognuno vuole dire la sua».
Qui a Cannes si farà presentare Tarantino dall’amico Brad Pitt?
«No. Me la tiro...».