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 2019  maggio 24 Venerdì calendario

Le lettere d’amore di Leonard Cohen

Mia amata Marianne, il mio libro è stato rifiutato. Da quando l’ho saputo mi sento stranamente euforico. Mi sento nuovamente libero, come quando non era ancora stata pubblicata la mia prima poesia. Nessuno mi conosce. Nessuno ha mai sentito parlare di me. Sono solo con me stesso e il vasto dizionario della lingua. Di colpo, grazie a questo nuovo fallimento, ho tutto il tempo del mondo». Così comincia la lettera che Leonard Cohen scrive a Marianne, il suo grande amore, nel dicembre 1960. Cohen si è appena visto respingere dall’editore il suo primo romanzo, The Favourite Game. La futura icona pop è un ragazzo di ventisei anni che fa il poeta e sogna la fama, la destinataria è Marianne Ihlen. Lei e Cohen si sono incontrati meno di un anno prima nell’isola greca di Idra, ed è stata subito passione, l’inizio di una delle più delicate, travolgenti e struggenti storie d’amore e poesia del Novecento. Una storia che oggi rivive grazie a una serie di rare lettere private di Cohen a Marianne che saranno battute all’asta da Christie’s a New York, tra il 5 e il 13 giugno. Marianne, bionda dea norvegese, ha un anno meno di Leonard. È approdata a Idra insieme al marito, lo scrittore Axel Jensen, e al loro bambino. Il matrimonio è già in crisi quando il poeta canadese che suona così bene la chitarra si unisce alla variopinta compagnia di artisti espatriati che ha eletto Idra a nuova patria. L’amore esplode, immediato. «Penso sempre a te e alla tua bellezza», scrive Cohen, «che posso dirti? Mi sei entrata dentro nel profondo. Quando ripenso al nostro amore mi viene voglia di cantare. Ti scrivo di mattina presto. Musica solenne alla radio. Penso sempre a voi due, al vostro splendore di Madonna col bambino, a tutta questa gioia da afferrare. Un intero cielo greco pieno di luce del sole che mi brucia nel cuore. Buona notte, amore mio. Non importa ciò che accade. L’abbiamo già fatto. E sappiamo che è la cosa giusta».
A Idra, quei bizzarri stranieri che gli indigeni guardano dapprima con sospetto, e poi con saggia benevolenza, scrivono, dipingono, danzano, poetano, si amano, si prendono, si lasciano, si tradiscono. Hanno ricreato una sorta di arcadia lontana dal vitalismo elettrico e dalla cupezza tossica dei beatnik. Sono belli, giovani, felici. «Non c’era un solo uomo che non fosse interessato a Marianne» dirà anni dopo Cohen, «era una classica bellezza nordica, ma era anche molto generosa. Ma c’era in lei anche quell’altro lato, quando beveva vino, ballava e diventava selvaggia e bella, minacciosa e pericolosa, capisci, se sapevi essere un uomo con lei». La storia d’amore va avanti per otto anni. Cohen dedica a lei poesie, e una delle sue canzoni immortali, So Long Marianne : «un’estrosa confusione di femminilità, devozione, bellezza e oscurità», dice lui stesso. Mentre Leonard riesce infine a pubblicare un paio di raccolte di poesie e due romanzi, e si avvicina sempre più alla scena musicale (ma è ancora troppo timido per il debutto), Marianne diventa una sorta di musa ufficiale della comunità artistica a cavallo fra il Village e il buen retiro greco. Finché la vita girovaga degli artisti, o, più probabilmente, i ripetuti tradimenti di lui, non logorano il rapporto. Nel dicembre del ’66 Leonard componeSisters of mercy dopo aver raccattato nel gelo di Edmonton due vagabonde (il pezzo, magnifico, fa parte della colonna sonora de I compari di Altman), e subito dopo scrive a Marianne: «alla fine sono riuscito a diventare ciò che ho sempre desiderato: un cantante, uno che non ha niente. Solo così potrò dare a mille persone l’amore disinteressato che riscalda l’universo. Spero che riusciremo a colmare la dolorosa distanza alla quale ci ha condotto la nostra incertezza. Spero che tu riesca a tirarti fuori dalla disperazione, col mio aiuto». Se non è un addio, poco ci manca. Nel lotto di Christie’s c’è una splendida lettera del febbraio ’67 che spiega, meglio di mille saggi, l’estetica profonda di Cohen, la sua sublime elegia del fallimento. Judy Collins, cantante celebre e celebrata, lo trascina sul palco per farlo esordire in grande stile a New York a un evento di beneficenza. Una corda della chitarra si spezza. Lui, dopo poche note di Suzanne, abbandona la scena, «sopraffatto da una curiosa felicità: avevo fallito, avevo davvero fallito, c’è qualcosa di così splendido nel fallimento totale, che mi sentivo ebbro». A questo punto torna sul palco e attacca un’altra canzone. Anche le altre corde si spezzano. È un disastro. «Marianne, questo dannato hotel, la solitudine, l’isolamento, l’insonnia, il successo che non vuol saperne di me, tutto questo mi ha calmato e reso curiosamente felice, è tutto mio dopo tutto, è il mio regno».
Ma il successo è solo questione di pochi mesi. Come la fine dell’amore. Per i lunghi anni a venire, i due restano amici. Quando lei muore, il 28 luglio 2016, lui le dedica parole dolcissime: «Ti ho sempre amata per la tua bellezza e la tua saggezza, ma non serve che io ti dica di più poiché lo sai già. Adesso, voglio solo augurarti buon viaggio. Addio vecchia amica. Amore infinito. Ci vediamo lungo la strada». Lui la segue pochi mesi dopo, il 7 novembre. A noi comuni mortali ricorderanno per sempre le divinità sensuali di antichi culti: «Era come se a Idra fossimo tutti coperti dalla polvere d’oro. Tutti mi sembravano gloriosi. I nostri errori erano errori importanti, i nostri tradimenti erano importanti, e tutto ciò che facevamo splendeva. Si chiama giovinezza».