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 2019  maggio 24 Venerdì calendario

La sparizione dei cognomi

Quest’anno al festival èStoria di Gorizia il tema principale è «Famiglie». Dalla famiglia come base naturale della società secondo Aristotele alle politiche degli Stati attuali, passando per le famiglie che hanno fatto la storia d’Europa come gli Asburgo o i Borbone, il focolare domestico (o dinastico) verrà declinato in moltissime maniere. Certo, oggi come oggi, è difficile pensare al concetto di famiglia senza pensare anche al cognome, che della famiglia è uno strumento identificativo. Ma per quanto sia strano da immaginare il cognome è uno «strumento identificativo» che si è sviluppato in un preciso momento storico. Come il Comune, gli occhiali, il formato del libro, le cattedrali e l’aratro a versorio il cognome è una invenzione medioevale. Ne abbiamo parlato con Franco Crevatin, linguista esperto di culture neolatine, che a èStoria dialogherà con Roberto Bizzocchi nell’incontro: Mille anni di cognomi (oggi a Palazzo de Grazia, Gorizia 16,30-17,30).
Professore ma esattamente cos’è un cognome?
«Il cognome è la risposta ad una precisa esigenza di tutte le società. Identificare le persone. I latini lo facevano usando un nome personale, ad esempio Marco, il nome della gens, il così detto gentilizio, ad esempio Tullio, e poi un soprannome come Cicerone. In una società ristretta che potremmo definire faccia a faccia, di norma, basta un nome a cui segua un soprannome identificato. In un villaggio tutti sapevano chi fosse Marco il Rosso, o Marco il figlio di Piero. Se poi ci si spostava magari il soprannome cambiava o diventava un soprannome geografico».
E poi?
«Poi nei primi secoli dopo l’anno Mille iniziò a esserci bisogno di un sistema di identificazione più preciso delle famiglie e delle discendenze. Negli atti notarili o nei registri delle parrocchie questi soprannomi o patronimici si stabilizzarono e diventarono gli attuali cognomi. Il meccanismo diventò ancora più stabile quando il Concilio di Trento, a metà del Cinquecento, rese costante e obbligatoria la registrazione dei parrocchiani».
C’è un modello preciso su cui sono stati modellati i cognomi italiani?
«Dentro ai cognomi c’è di tutto: dal patronimico modificato al cognome nato da una caratteristica fisica o da una professione. Quindi un modello unico non c’è. E poi bisogna tener conto che nel corso del tempo i cognomi si modificano. Le faccio un esempio, il cognome Agazzoni è una modifica del più antico Uguzzoni che sta per discendenti di Ugo».
I cognomi più antichi?
«Questo è un terreno in cui non avventurarsi. Le faccio un esempio, un sacco di cognomi, come Brentani, derivano da brenta. La parola è pre latina e indica un contenitore per trasportare vino e mosto. Ma il fatto di avere un cognome che contiene brenta non è affatto garanzia che quel cognome sia nato o abbia raggiunto la forma stabile nell’antichità».
In Italia ci sono moltissimi Rossi, perché?
«Il cognome deriva chiaramente dal colore dei capelli. È un modo molto facile per identificare qualcuno. Ecco perché è così diffuso».
Esistono cognomi regionali?
«Più che altro esiste una tipizzazione regionale a causa dei dialetti. Le faccio qualche esempio, il suffisso latino -arius indica dipendenza. Nel toscano si trasforma in -aio, in altre zone in aro, in altre in ier o er. Ecco allora che possiamo avere Fornaio, Fornaro, Fornero, Fornasier, Fornaser. O ci sono cognomi che derivano dal nome di una professione in dialetto. Marangoni ad esempio, all’origine ci sono sicuramente dei falegnami o dei maestri d’ascia. Mentre il cognome sardo Frau viene da fabbro, ma non è così facile arrivarci».
Perché certi popoli non sono mai passati al cognome e hanno mantenuto il patronimico? Ad esempio in arabo è segnalato da quel bin così comune che significa «figlio di».
«Succede anche nei nomi somali. Sono retaggi di una società in cui il contesto sociale è rimasto a lungo limitato a comunità più piccole, anche se non sempre proprio faccia a faccia. Non è una cosa che crei problemi alle persone nella vita di tutti i giorni, semmai ne provoca alle anagrafi di quei Paesi. In generale marca il legame con il genitore piuttosto che un legame con tutto uno stabile gruppo familiare».
E l’uso dei molti cognomi nel mondo di cultura spagnola?
«Quella è una peculiarità a cui non darei grande peso, è come il cibo speziato, nulla più. Diverso in caso delle famiglie nobili di un tempo. Lì la somma dei molti cognomi aveva un preciso ruolo sociale che serviva a determinare e sancire il rango».
I cognomi hanno futuro?
«Questa è una domanda tremenda. Difficile dirlo. La necessità di identificare le persone ci sarà sempre. Però chi può garantire che in una società tecnologica, tra cinque generazioni, non risulti più comoda una sigla di numeri e lettere? Non lo si può escludere, visto la direzione digitale in cui si muove il mondo. Un giorno potrebbe essere normale essere Gianni F31528W, del resto ormai in molti sappiamo il codice fiscale a memoria».