il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2019
Trema il trono di re Abdullah di Giordania
Il cielo sopra Amman è grigio, un velo trattiene la luce estiva di solito accecante. Grava come una cappa che ancora non è chiaro se vada verso il sereno o verso un brusco temporale estivo. Un clima che appare speculare all’atmosfera di intrigo internazionale che si respira nel regno hashemita, debole e fragile, di fronte al nuovo volto che Stati Uniti e Arabia Saudita vogliono dare al Medio Oriente – in accordo di Israele – a scapito degli impegni internazionali.
L’Accordo del secolo sul Medio Oriente – che finalmente verrà rivelato dalla Casa Bianca a fine mese – potrebbe seriamente destabilizzare il regno e avere implicazioni a lungo termine, mettendo in pericolo il trono del 43esimo discendete del Profeta. La tensione è alta, facilmente percepibile nelle strade della Capitale, affollate sempre di militari. Persino nei caffè eleganti di Rainbow Street si parla solo del complotto sventato contro il re all’inizio del mese.
Se un sovrano moderato come Abdullah di Giordania nell’arco di una settimana cambia il capo dei servizi segreti, i consiglieri per l’Antiterrorismo e la politica della sicurezza interna, molti consulenti senior del Palazzo Reale, nove comandanti regionali su dieci dell’Esercito, significa che sta accadendo qualcosa di grave, che le spire del complotto di cui parla si stanno stringendo attorno al re e al suo entourage. Abdullah ha anche ottenuto rapidamente le dimissioni di 7 ministri nei giorni successivi. Poco o niente è trapelato dalle mura del Palazzo Reale ma nelle strade di Amman la tensione è palpabile. Chi trama contro il re? Quale longa manus ha concepito il complotto? Le indiscrezioni su questa spy story raccontano di diverse autorevoli personalità giordane che hanno cospirato per organizzare manifestazioni di massa e sostituire il primo ministro Omar Azzaz con qualcuno più favorevole all’Accordo del secolo del presidente Trump, che promette miliardi di dollari in cambio del “sì” del sovrano giordano. La vicenda resta ancora fumosa, ma secondo le ricostruzioni, il Palazzo Reale è convinto che i funzionari rimossi sostengano l’Accordo del secolo e sospetta che Stati Uniti e Israele li stessero “manovrando” per modificare la posizione negativa del re sulla proposta della Casa Bianca. Molti però guardano con occhi sospettosi anche verso Ryad, dove Mohammed bin Salman – reggente di fatto dopo che il padre Salman è stato colpito da un ictus tre anni fa – è pienamente in sintonia, per metodi sbrigativi e obiettivi da raggiungere con Donald Trump.
La Giordania è il Paese chiave per la realizzazione dell’Accordo del secolo proposto da Trump, che sarà finalmente svelato nel vertice in Bahrein in giugno. Il re giordano è formalmente il custode dei Luoghi Santi di Gerusalemme, impegnato a sostenere la formula dei “Due Stati” con la parte Est della Città Santa futura capitale dello Stato palestinese. Una condizione che Trump e il premier Benjamin Netanyahu hanno invece da tempo completamente eliminato dal tavolo delle trattative in un crescendo culminato nello spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv alla Città Santa. Se il sovrano accettasse l’Accordo del secolo – in cambio del fiume di dollari americani per sanare il deficit dello Stato – si troverebbe senz’altro di fronte a proteste di piazza, manifestazioni e tumulti. Sono oltre 3,5 milioni di palestinesi che vivono in Giordania e potrebbero far esplodere la loro rabbia per il “tradimento” del re.
Al vertice in Bahrein sarà presentata la contropartita economica offerta ai palestinesi dell’Anp – prima tappa in attesa del pacchetto “politico” promesso da Trump –. A fianco delle reazioni positive di Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti ci sono state quelle gelide dell’Anp di Abu Mazen, quelle silenziose dell’Egitto, quelle allarmate della Giordania. Accettare il piano Usa conoscendo solo la contropartita economica – che comunque è solo teorica – senza conoscere la parte politica dell’Accordo del secolo è un suicidio per chi ospita tanti profughi palestinesi come la Giordania.
Ecco perché il sovrano hashemita suda freddo ma tira dritto. Il re ha una parola sola ed è “no” al piano americano.