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 2019  maggio 23 Giovedì calendario

Roberto Tartaglia. Nel 27° anniversario dell’assassinio di Giovanni Falcone, il pm si insedia come consulente dell’Antimafia

Roberto Tartaglia, pm consulente Commissione nazionale antimafia, è nato in Sicilia.
Roberto Tartaglia, 37 anni, il più giovane dei pm che ha sostenuto l’accusa nel processo sulla Trattativa Stato-mafia a Palermo, dopo l’approvazione del Csm, ha lasciato la Procura per fare il consulente della Commissione parlamentare antimafia e si è insediato alla vigilia dell’anniversario della strage di Capaci. Lo abbiamo incontrato.
Dottor Tartaglia, di cosa si occuperà in Commissione Antimafia?
Il presidente Nicola Morra ha fatto due scelte non scontate come insediare un comitato apposito sulla Trattativa Stato-mafia e poi scegliere come consulente me. Io sono onorato anche perché la Commissione, storicamente, ha svolto un ruolo pionieristico: la relazione di minoranza del 1976, firmata da Pio La Torre e Cesare Terranova riuscì a prevenire l’azione della magistratura. Certo, allora era solo la minoranza a sostenere che ‘la mafia è un fenomeno di classi dirigenti’. Oggi invece il primo comitato è intitolato dalla presidenza alla Trattativa Stato-mafia. Il passo avanti è enorme.
Sono passati 27 anni dalla strage di Capaci. Quando riusciremo a sapere la verità sui cosiddetti mandanti esterni alla mafia delle stragi del 1992-1993?
Una domanda giusta che però non deve far dimenticare i grandi passi avanti compiuti in questi ultimi anni. Sappiamo molte più cose e penso che la Commissione parlamentare antimafia possa svolgere un ruolo importante.
Quali sono i punti fermi da cui partire?
Le sentenze sulla Trattativa, la sentenza Borsellino quater e poi la sentenza Montante. Su ciascuna di queste macro-aree poi ci sono filoni meno approfonditi dal punto di vista giudiziario che potrebbero diventare tema di inchiesta per la commissione.
Quali sono i filoni che lei ha incrociato come pm e che le sembrano degni di approfondimento?
Certamente le intercettazioni di Giuseppe Graviano in cella nel 2016 quando al compagno di detenzione racconta di avere concepito suo figlio in cella come aveva fatto anche il fratello Filippo. Erano entrambi reclusi allora a Palermo. Quella è una questione da approfondire.
Se un ragazzo nato nel 1992 le chiedesse di spiegare con due tweet quali sono le possibili ragioni dell’inizio e della fine delle stragi, cosa direbbe?
Potrebbe esserci stata una convergenza di interessi tra realtà diverse come Cosa Nostra e alcuni esponenti dei Servizi che temevano per la loro sorte in uno scenario politico mutato. Al tramonto della Prima Repubblica queste forze volevano ribaltare l’ordine in modo eclatante per poi accelerare e guidare il processo di transizione. A questo punto abbiamo la risposta anche all’altra domanda, cioè perché le stragi sono finite. Certo, i fratelli Graviano che avevano attuato la politica stragista erano stati arrestati nel 1994 ma restavano liberi altri boss. Credo di più a una risposta diversa. Le stragi terminano quando il nuovo assetto si è determinato.
Riina e Provenzano sono morti in cella e i fratelli Graviano sono sepolti al 41 bis da un quarto di secolo. La mafia cosa avrebbe ottenuto? Ci sono contropartite che non vediamo?
Innanzitutto ci sono cose ben visibili come i figli concepiti in cella dai fratelli Graviano, l’isolamento o le floride condizioni economiche delle famiglie dei boss. Infine non mi pare che Graviano sia entusiasta e anzi dice al compagno di detenzione: ‘Umbè non può finire così’. Questa delusione minacciosa è uno dei profili da esplorare.
Graviano è stato arrestato a Milano nel 1994 con il papà di un piccolo calciatore che doveva fare il provino al Milan, in precedenza raccomandato da Dell’Utri. Proprio Graviano parla in cella – secondo la sentenza Trattativa – di Berlusconi come di un ‘traditore’…
Questo è un altro passaggio importante delle intercettazioni. Graviano fa tutte quelle confidenze al suo compagno di detenzione perché sa che Adinolfi potrebbe uscire di cella e gli vuole affidare un compito: inviare tramite un terzo soggetto un messaggio minaccioso a Berlusconi. Sarebbe molto interessante individuare chi sia il soggetto vicino a Berlusconi che potrebbe essere a conoscenza dei segreti di quel periodo.
Ci sarà una collaborazione tra voi e i magistrati della Procura Nazionale?
Il primo comitato insediato in Commissione è quello dedicato a mafia e politica, trattativa e stragi. Anche il procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho ha creato un gruppo di lavoro intitolato a mafia ed entità esterne per le stragi, al quale lavora tra l’altro anche Antonino Di Matteo. C’è la possibilità di creare sinergie. Ci sono poi in Commissione tante personalità che hanno grandi capacità ed esperienza come il presidente Pietro Grasso o come l’ex ministro Andrea Orlando. E ci sono tutte le condizioni per fare un ottimo lavoro.
Quali sono i punti oscuri da chiarire?
Graviano in cella parla dell’urgenza e probabilmente fa riferimento alla ragione dell’accelerazione della strage di via D’Amelio in cui fu ucciso Borsellino, 57 giorni dopo Falcone. La sentenza mette in relazione l’urgenza alla consapevolezza di Borsellino della Trattativa. Io penso che sulle ragioni di quell’urgenza dobbiamo lavorare. Un’altra traccia che andrebbe esplorata è il ruolo di Matteo Messina Denaro nell’elaborazione della strategia politica di Cosa Nostra e nella trattativa. Secondo il collaboratore Giuffrè, era lui la creatura di Totò Riina, l’uomo che potrebbe avere ereditato i suoi segreti.
Come valuta le norme antimafia attuali?
Valuto positivamente alcune riforme come l’agente sotto copertura nei reati contro la Pubblica amministrazione e la riforma dell’articolo 416 ter, il voto di scambio politico-mafioso. Ho letto critiche che, dal punto di vista giuridico, non condivido. La precedente normativa non puniva lo scambio quando la mafia non usava la minaccia. La riforma estende la punibilità anche al politico che compra il voto senza avvalersi della minaccia ma solo dell’influenza sul territorio della mafia. Basta inoltre la semplice disponibilità politica, non è più necessario che il politico paghi per l’appoggio mafioso.