23 maggio 2019
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Biografia di Aurelio De Laurentiis
Aurelio De Laurentiis, nato a Roma il 25 maggio 1949 (70 anni). Imprenditore. Produttore cinematografico. Cofondatore, con il padre Luigi De Laurentiis (1917-1992), e presidente della FilmAuro (dal 1992). Dirigente sportivo. Presidente del Napoli (dal 2004). Proprietario del Bari (dal 2018). «Prima di prendere il Napoli, era più romano che partenopeo: casa al Quisisana, uffici di fronte al Quirinale. La Campania erano le origini: Torre Annunziata il luogo, Napoli la filosofia. L’Aurelio De Laurentiis che conosciamo col calcio ha ripreso il tempo che s’era perduto. Lo vedi e lo senti, e capisci che è Napoli in tutta la sua complessità. È come via Chiaia che attraversa i quartieri spagnoli, come il signorotto bene che lancia la monnezza dal balcone. Tutto mescolato in un posto o in un carattere» (Beppe Di Corrado). «Due scudetti in 80 anni sono pochi. Se ti chiami Napoli, non ti puoi accontentare di partecipare: devi vincere» • «Aurelio è il nome di suo nonno. “Irpino di Torella dei Lombardi. Sposò nonna Giuseppina, che era di Torre Annunziata, e aprì un pastificio: ‘Pasta extra di lusso Aurelio De Laurentiis’ era il marchio”. […] Ma lei si sente romano o napoletano? “Napoletano. Il più bel ricordo d’infanzia è il ragù con cui la nonna condiva le candele o gli ziti fumanti”. Romana era sua madre. “Papà Luigi aveva tre lauree, parlava il russo ed il bulgaro, e all’ambasciata italiana a Sofia conobbe mamma. Era diventato, negli anni ’30 in Bulgaria, un editore di successo e tutti i guadagni li investiva in carta, per stampare sempre di più. All’arrivo dell’Armata rossa i depositi di carta saltarono in aria. Durante la guerra mia madre si rifugiò nel palazzo di famiglia a Grisciano, una frazione di Accumoli, che ora è crollato con il terremoto. Ci andavo anch’io, da bambino: ricordo sulla Salaria la grande scritta DUX che era rimasta sulla montagna. Papà passò la linea Gotica e portò mamma a Venezia, dove, in una pensione al Lido, nacque mia sorella Marina, in cucina: la stanza più calda”. Luigi era fratello di Dino De Laurentiis, il grande produttore. “Nel 1941, ignorando le proibizioni della contraerea, zio Dino illuminò a giorno il Lago di Como, per girare Piccolo mondo antico, di Mario Soldati. […] Nel ’49, con la Lux Film di Gualino, lo zio, con mio padre, produsse Riso amaro”» (Aldo Cazzullo). «Sono nato nel ’49, l’anno in cui alla Vasca Navale nasceva la Ponti-De Laurentiis. Sono cresciuto lì, ero appassionato di motori e quando arrivavo tutti nascondevano le chiavi dell’auto, perché io salivo e mettevo in moto. Una volta ho distrutto l’auto di Lizzani» (a Maria Pia Fusco). «Lei ha mai giocato al calcio? "No, da adolescente praticavo il basket. Ma fin da bambino sono stato un tifoso del Napoli, anche se sono nato a Roma. Mio padre, che era originario di Torre Annunziata, mi portava a vedere la squadra in trasferta all’Olimpico e io mi scompisciavo dalle risate quando i tifosi trascinavano in processione il ciuccio. Mio nonno, poi, alla vigilia di Natale mi accompagnava nei bassi dei Quartieri Spagnoli a visitare i presepi. Solo qui, mi diceva, puoi respirare l’aria pulita"» (Gianni Perrelli). «Qual è il primo film che ha visto? “Un film sui Mau Mau con Victor Mature. Ma i primi che mi hanno segnato, all’età di 4 anni, furono Il corsaro dell’isola verde con Burt Lancaster, girato dal regista americano Robert Siodmak a Ischia, e I tre moschettieri con Gene Kelly”. […] Lei quando esordì? “Nel 1968 la Dino De Laurentiis produsse Rosolino Paternò, soldato…, e mio padre mi iniziò al cinema come aiuto segretario di produzione: mi alzavo alle 4 e mezza del mattino per vestire migliaia di comparse. Gli attori erano Nino Manfredi, Peter Falk, Martin Landau e Jason Robards. Il film era girato in inglese, di cui Nino e il regista Nanni Loy non sapevano una parola. In più, Loy era un fervente comunista che inveiva contro l’America; Robards per protesta si rapò a zero: dovetti procurargli una parrucca”» (Cazzullo). Come produttore, «il suo debutto avvenne nel ’77, con il film Un borghese piccolo piccolo, interpretato da un indimenticabile Alberto Sordi drammatico. Da allora in poi, la società FilmAuro è stata sinonimo di commedie popolari di successo, da Qua la mano a Nessuno è perfetto, Culo e camicia, Amici miei, A spasso nel tempo, la serie Vacanze di Natale, Paparazzi. Le star della casa sono stati Celentano e Pozzetto negli anni Ottanta, poi sono venuti i Vanzina, quindi la coppia d’oro Boldi-De Sica, Benigni, Albanese. Ma questo non ha impedito a De Laurentiis di finanziare film d’impegno come Maccheroni di Scola, Codice privato di Maselli, molti titoli di Avati, Matrimoni di Cristina Comencini, o di scommettere su registi trasgressivi come Pappi Corsicato e distribuire Woody Allen, Pedro Almodóvar, Coen, Besson, Scott, Polanski» (Gloria Satta). «Il suo successo più longevo, però, è […] la saga dei "film di Natale". Un format collaudato con Christian De Sica in versione vacanziera pronto a sbancare il botteghino a suon di gag e battute» (Mario De Pizzo). «L’ha inventato lui, il genere. Folgorato da Sapore di mare, da Jerry Calà che seduce Marina Suma e che la tranquillizza: “Ho messo la spirale”. Innamorato di Christian De Sica che ritorna dall’Inghilterra con Karina Huff: “Dai, non ho piacere”. De Laurentiis chiamò Vanzina: “Gli telefonai e gli dissi: ‘Ti ricordi il film di Camillo Mastrocinque del 1959 con Sordi e De Sica? Si chiamava Vacanze d’inverno. E se facessimo un film a Cortina con una canzone al top delle classifiche nei trailer e nei titoli di testa?’. Da Sapore di mare ci portammo Calà e Christian. Volevamo fotografare quell’Italietta dell’epoca, i nuovi cafoni, il generone romano che i Vanzina conoscevano benissimo”. Quel film dell’83, ce l’ha nel cuore. Non è più stato lo stesso: Vacanze di Natale s’è ripetuto all’infinito, […] ma non sarà mai quello vero. Lo sa anche lui, e da un lato se ne fotte. Dall’altro soffre un po’, perché ha nostalgia della battuta che considera un pezzo del costume italiano. La dice Riccardo Garrone, a tavola, serio, timido, imbeccato dalla moglie isterica che non se l’aspetta: “… E anche ’sto Natale, se lo semo levati dalle palle”. […] L’avvicinamento al calcio è stato una conseguenza. L’idea era quella di avvicinarsi alla città. L’ha fatto prima con il cinema. Nel 2000, quando stava girando il film di Natale, impose alla coppia Boldi-De Sica Biagio Izzo. Era convinto di essere coperto a Milano e Roma, ma non a Napoli. Scoppiò la discussione. Prima di litigare tra loro, i protagonisti del cinepanettone se la presero col produttore: “Stiamo girando per lui Bodyguard, per la regia di Neri Parenti. Accanto a noi ci sarà Biagio Izzo, giovane attore napoletano che avrà il nome in ditta con noi. Ma noi per avere il nome in ditta ci stiamo facendo il mazzo da una vita. De Laurentiis è convinto che possiamo così coprire meglio la piazza di Napoli. Sono così i produttori: ragionano per schemi. Pensano: con Boldi copriamo Milano, con De Sica Roma, e quindi ci vuole un napoletano. Perché su Napoli siamo deboli. Ma come può essere debole un film che incassa 30 miliardi?”» (Di Corrado). «Come è nata l’idea di comprare il Napoli? "Mi è venuta in America quando un esperto di televisione suggerì a Rupert Murdoch di fondare un nuovo network. Sembrava un’idea balzana, perché a quei tempi era folle pensare di sfidare colossi come la Cbs, l’Abc e la Nbc. Ma il progetto era innovativo, perché prevedeva di concentrare in un solo canale news, sport e spettacolo. Essendo un uomo di cinema e un appassionato di calcio, pensai di combinare queste due fabbriche di sogni. Così nel ’99 mi presentai con un assegno di 120 miliardi a Corrado Ferlaino, allora presidente del Napoli. La sua risposta fu una causa civile perché, a suo giudizio, avevo turbato la campagna abbonamenti. Dopo il fallimento della società tornai alla carica, nel 2004"» (Perrelli). «Ero in ospedale, operato di menisco, e seguivo le vicende di Gaucci e della società. […] Volevo lasciare l’Italia e lavorare tra Los Angeles e Shanghai. Invece al Quisisana di Capri studiai la situazione, consultai avvocati, immaginai un progetto». «Ricordo che da Capri telefonai ad Alessandro Profumo, il capo dell’Unicredit, per farmi finanziare l’acquisto. Mi chiese se ero matto. Sai che con te, mi disse, non ci tiriamo mai indietro, ma il calcio è un mondo inaffidabile. Anche la mia famiglia era scettica: chi te lo fa fare? Però io ero talmente insistente che Profumo si convinse. Ma era estate: tutti in vacanza, e il tempo passava inesorabile. Alla fine decisi di finanziare personalmente i 32 milioni di euro occorrenti per comprare dal curatore fallimentare soltanto un pezzo di carta con la scritta Napoli. Cioè una scatola vuota». «Gaucci […] annunciò querele e citazioni per danni. Contro il tribunale, contro la federazione, contro il mondo. Una sceneggiata meravigliosa: il signore in doppiopetto di lino e camicia a righe che stringe le mani al popolo, mentre l’agitatore paonazzo con triplo mento si infervora perché il trucco non è riuscito. A De Laurentiis, quella faccia di Gaucci, gli sarebbe piaciuta da morire: un neocafone perfetto, come molti dei personaggi dei suoi film da cassetta. Niente scatti, niente scritture. Stavolta il protagonista era lui, quello che di solito non compare, ma poi conta i soldi alla fine. Il mondo è cambiato in quel momento. La scoperta che il cinema è un’industria, ma che il pallone lo supera e lo semina. Prima andavi a chiedere in giro chi fosse Aurelio De Laurentiis: “Il produttore”. Un uomo senza volto, una sigla che compare quando si spengono le luci in sala e s’illumina lo schermo: “FilmAuro presenta”. Oggi, da presidente del Napoli, è diventato personaggio» (Di Corrado). «La squadra era precipitata in serie C, e la tifoseria che aveva vissuto i fasti dei due scudetti e di Maradona era depressa. "Sì, ma alla prima partita contro il Cittadella al San Paolo vennero comunque in 65 mila, anche se rimasero per la maggior parte della partita in silenzio per protesta. Mi ero dato un quinquennio per riportare la squadra in A. E un altro quinquennio per rilanciarla nelle alte sfere. Abbiamo accelerato i tempi. Con bilanci mai in rosso. Con una strategia di marketing che ha portato allo sfruttamento del marchio su circa 600 prodotti. E poi mi piacerebbe comprare e rifare il San Paolo, che è quasi un tempio per i napoletani. Ma intanto, nel ranking dei club mondiali, in quattro anni siamo passati dal 350mo posto all’élite dei primi trenta. […] Non è stato facile, mi creda. Non conoscevo i meccanismi del calcio. Quando mi parlavano di tattiche, di 4-4-2, chiedevo da neofita se fosse roba da mangiare. Mi sono accostato con grande umiltà"» (Perrelli). «Ho fatto un percorso su due binari: applicare la mia cultura industriale del cinema al pallone e osservare l’ambiente. Nel 2004 sapevo poco. La mia preoccupazione era capire. E creare qualcosa che non esisteva più, la Ssc Napoli. In tre anni siamo risaliti in A, in anticipo sui tempi. Non è poco» (a Gaia Piccardi). In seguito al suo ritorno nella massima serie (2007/2008), il Napoli ha ottenuto ottimi risultati, attestandosi stabilmente, a partire dal 2010/2011, tra le prime cinque squadre in classifica – spesso terza (2010/2011, 2013/2014, 2016/2017) o seconda (2012/2013, 2015/2016, 2017/2018), fino a contendere seriamente lo scudetto alla Juventus (soprattutto nel 2017/2018, campionato concluso con quattro soli punti di distacco tra le due squadre) –, qualificandosi per le principali competizioni continentali (in cui gareggia ininterrottamente dal 2010/2011) e conquistando due Coppe Italia (2011/2012 e 2013/2014) e una Supercoppa italiana (2014), a oltre vent’anni dall’ultimo trofeo alzato al cielo (la Supercoppa italiana del 1990, pochi mesi dopo il secondo storico scudetto). «Da Lavezzi-Zalayeta-Sosa a Insigne-Milik-Mertens, passando per Cavani e Higuaín, con Marek Hamsik unico punto d’unione. […] In mezzo, soprattutto, la crescita di una società anche a livello economico, seppur il salto di qualità non sia mai definitivamente riuscito. Il bilancio 2017/2018 del Napoli è quello del decimo anno da quando il club di Aurelio De Laurentiis è tornato in serie A: dieci anni (e undici esercizi) in cui la squadra ha poco più che raddoppiato il suo fatturato, riuscendo spesso a far quadrare i conti grazie al calciomercato. […] A fare le fortune del Napoli dal punto di vista economico è stato spesso il calciomercato, che ha portato nelle casse della società quasi 290 milioni in plusvalenze con un’impennata dal 2014 in poi (227 milioni in 5 esercizi). Affari che hanno anche permesso di chiudere l’esercizio in attivo in ben otto occasioni, con un utile complessivo di oltre 114 milioni di euro. Numeri rari nel calcio moderno, considerando inoltre che il Napoli si avvia a chiudere il quarto campionato di fila sul podio in Italia. A mancare però è stato il salto di qualità dal punto di vista commerciale e delle strutture. Basti pensare che i partenopei, pur chiudendo secondi in classifica, nella passata stagione hanno avuto il quarto fatturato in serie A dopo Juventus, Inter, Roma e Milan. Quasi un paradosso, ma ora tocca anche a De Laurentiis provare a colmare il gap» (Matteo Spaziante). Nel luglio 2018 De Laurentiis ha acquistato il Bari, precipitato dalla serie B alla serie D a causa di un dissesto finanziario. «Un affare, visto che si tratta di una delle piazze calcistiche più importanti della Penisola (unica squadra di una città con oltre un milione di abitanti, tanto per cominciare)» (Marco Bellinazzo). «In Puglia intravede un nuovo business, con la possibilità, in più, di arrivare all’agognata gestione diretta di uno stadio, negatagli per il San Paolo dalla giunta del sindaco Luigi De Magistris. Messo il figlio Luigi sulla poltrona della presidenza, Aurelio De Laurentiis si è visto consegnare l’impianto barese il 21 settembre. […] Il San Nicola è l’unico sopravvissuto tra i nuovi impianti del Mondiale 1990 (l’altro era il Delle Alpi a Torino, abbattuto e riedificato per costruire lo Stadium juventino). […] Uno stadio dove la passione non è mai venuta meno. […] In caso di serie A, poi, ci sarà un dilemma da affrontare: De Laurentiis dovrà scegliere, non potendo controllare due società nella stessa categoria» (Leo Lombardi). In quanto al Napoli, nonostante l’arrivo in panchina di Carlo Ancelotti, fortemente voluto da De Laurentiis dopo il pur fortunato triennio di Maurizio Sarri, l’annata 2018/2019 «non è stata entusiasmante. […] Ancelotti ha deluso e ha fatto ampiamente rimpiangere Sarri. Si può dire che una stagione di transizione tra un ciclo e l’altro sia stata gestita male, lasciando che si scavasse un divario troppo ampio dalla Juventus, perdendo occasioni in Europa senza nemmeno gettare davvero le basi per il futuro. Tutto vero. Ciò non toglie nulla, però, alla validità complessiva del progetto De Laurentiis, e rende semplicemente assurda la sua contestazione: essere insoddisfatti per questa stagione è legittimo, dimenticarsi tutto il resto molto meno. A Napoli la tifoseria (non tutta, invero: una parte) lo insulta, lo accusa di pensare ai suoi interessi e non fare nulla per vincere. Ma chi sono loro per pretendere coppe e scudetti? Napoli non è Milano, e nemmeno Roma. Non è una grande piazza del calcio italiano, storicamente non lo è mai stata. I tifosi vivono nel mito di Diego Armando Maradona, che però è durato più o meno un lustro. Prima e dopo ci sono stati tanti buoni piazzamenti ma nessuno scudetto, qualche Coppa Italia ma anche diversi scivoloni in Serie B, praticamente nulla da segnalare a livello europeo. De Laurentiis quando è arrivato ha raccolto una società fallita in Serie C e l’ha riportata stabilmente nell’élite del calcio italiano e addirittura europeo: quale altra squadra della Serie A può vantare dieci partecipazioni alle coppe europee negli ultimi dieci anni? Eppure il San Paolo è sempre mezzo vuoto, per media spettatori è dietro alla Lazio e persino alla Fiorentina (dove sì che i tifosi hanno motivo per essere delusi). De Laurentiis non è certo perfetto. È un accentratore, dirige la squadra con una gestione vecchio stampo. Ha un carattere particolare, non si fa amare da media e tifosi. Ed è un imprenditore vero, non un mecenate del pallone: non butta soldi, non fa mai il passo più lungo della gamba, spende quanto ha in cassa e chiude sempre il bilancio in attivo. Ma oggi nel calcio moderno non si inventa nulla: comandano numeri e fatturati, su cui il Napoli è distante anni luce dalla Juventus. È impensabile sfidare i bianconeri sullo stesso piano, almeno nell’immediato: l’unica speranza è provare a crescere gradualmente, come fa De Laurentiis (in questo senso sarà decisivo il progetto stadio). E intanto tentare il colpaccio con la forza delle idee e dei progetti tecnici. […] Tutti dovrebbero riflettere su quale sarebbe il futuro in caso di rottura definitiva. Il presidente, un piano B, ce l’ha già (ed è un’altra delle accuse che gli viene mossa): si chiama Bari, altra piazza importante del Meridione, dove sta esportando il suo modello (i biancorossi hanno appena conquistato il ritorno fra i professionisti, dopo un anno fra i Dilettanti) e potrebbe fare calcio con meno pressioni e altrettante soddisfazioni, 50 mila tifosi sempre allo stadio, e nessuno a chiedergli scudetti o follie. Quanto al Napoli, […] il futuro senza ADL è un’incognita, il passato invece è storia. 15 anni fa, di questi giorni, i tifosi napoletani assistevano a un tristissimo pareggio casalingo contro il Venezia di una squadra dimessa, che navigava nei bassifondi della Serie B e di lì a poco sarebbe proprio fallita. Forse dovrebbero ricordarselo più spesso» (Lorenzo Vendemmiale) • «Sia chiaro: Napoli e il calcio Napoli gli devono molto. Ma è altrettanto vero che il presidente De Laurentiis, destinatario di nuove contestazioni da parte della tifoseria organizzata (che c’è da augurarsi restino civili e legali, a differenza del passato, in cui si sono tradotte in forme estorsive ai danni del patron azzurro) a sua volta deve molto a Napoli e al calcio Napoli. Una centralità politica e sportiva che difficilmente avrebbe avuto con il proseguo della sua attività cinematografica» (Bellinazzo) • Sposato da sempre con la ginevrina Jacqueline Baudit. «Sono molto innamorato di lei. Da 43 anni. Anche se noi uomini non capiremo mai una donna sino in fondo» (ad Aldo Cazzullo, nel 2017). Tre figli: Luigi, presidente del Bari e braccio destro del padre in FilmAuro («Mi ricorda molto mio padre. Si è ricreata la coppia Luigi e Aurelio De Laurentiis: papà il diplomatico, io il guerriero»), Valentina, stilista, ed Edoardo, vicepresidente del Napoli • «Mi hanno chiesto in tanti di candidarmi. […] Io sono intellettualmente di sinistra. Producendo cinema, non potrebbe essere altrimenti. Comunque […] la politica attiva non mi interessa. In Italia è troppo urlata. Mancano gli strumenti per poter ben operare. E poi dovrei sacrificare il mio amore per il Napoli e per il cinema. Quando si seguono troppe cose, si finisce per farle male». «E del governo cosa pensa? “Tante cose. Ma gliene dico una: il fatto che un ex dipendente del Napoli calcio sia vicepremier e rivendichi come formativo il suo lavoro con noi significa che siamo una buona scuola. O no?”» (Luca Telese) • Scaramantico. Tra l’altro, considera il 7 il suo numero fortunato • «“Lei conosce la vera storia del cinema italiano? […] Quando gli americani liberarono l’Italia, ci promisero che sarebbero venuti a girare qualche peplum, ma che il cinema come industria avremmo dovuto scordarcelo”. Invece? “Abbiamo avuto il neorealismo, De Sica e Rossellini. Nel 1954 e nel 1955 la mia famiglia produce La strada e Le notti di Cabiria di Fellini: entrambi vincono l’Oscar. Esplodono Visconti e Antonioni. Totò e Sordi. Monicelli gira La grande guerra. […] Sergio Leone nel ’64 reinventa il genere western, Bava il genere horror… questi film girati in inglese conquistano l’estero, facendo raggiungere all’industria cinematografica italiana il secondo posto nel mondo. Ma gli americani ci ricordano che i patti non sono quelli. E il governo impone una legge, la 1213, che uccide il nostro cinema a livello internazionale, costringendo a girare solo in italiano, con personale artistico e tecnico italiano, in teatri italiani. Allora Dino deciderà di trasferirsi, più tardi, in America”» (Cazzullo). «Ha mai pensato di trasferirsi in America come suo zio? “Ci sono stato, nell’88 sono tornato: secondo me uno che nasce italiano altrove si sente sempre un po’ in esilio. Vivere in Italia significa godere dello spessore umano di questo Paese. Sono tornato qui per creare una specie di macchina da guerra distributiva”» (Fusco). «Il mio committente è il pubblico. Il poeta ha la voce, il letterato la carta; il film è un’opera dell’ingegno che si realizza attraverso un processo industriale, cui lavorano centinaia di persone. Deve rispondere a regole di mercato. I film che mi sarebbe piaciuto fare, non li avrebbe visti nessuno» • «Com’è il suo calcio ideale? “Meno partite: bisogna ridurre il numero delle squadre in A e cominciare il 1° ottobre. Ci si deve allenare per bene, fare il mercato senza fretta. Un torneo come la Nba: nessuno retrocede, le ultime sono aiutate dalle prime. […] Le serie B e C, che da sole non ce la fanno più, dovrebbero diventare un serbatoio di giovani, massimo diciannovenni, da fornire a una serie A blindata e di altissimo livello”. Interessante. Come procede il copione? “Abolizione di Champions ed Europa League. È assurdo che chi esce dalla Champions finisca in Europa League. […] Oltre al campionato nazionale, un unico campionato europeo per club di Italia, Francia, Germania, Spagna e Inghilterra. Così si potrebbero creare i presupposti per fatturare fino a 8 miliardi di euro. Giocano le prime 8 con un calendario che non sfasci i giocatori. Se poi le nazionali li vogliono, che paghino. […] Innanzitutto, le nazionali dovrebbero pagare almeno 100 mila euro a partita ai club e, soprattutto, assicurare i giocatori dagli infortuni che pregiudicherebbero l’investimento delle società. I contratti vanno rivisti: se Steve McQueen fosse stato in un mio film, non sarebbe potuto andare a correre a Le Mans”» (Piccardi) • «Dirigere un club è come fare ogni domenica un film di cui non si conosce il finale» • «Produttore cinematografico di cotanta stirpe, outspoken e overdressed, padronale e antipatico, il che per altri significa avere carattere. Uno che vuole dare lustro alla città e goderne il riflesso, ma senza rovinarsi. E invece interessante è domandarsi se il Napoli di ADL sia una casualità, o un modello. E bisogna dire che, sì, è un caso di scuola. Come ha fatto ADL a portare il Napoli fin qui? […] Aumenti non ne concede, o molto malvolentieri. Più che un cinematografaro sembra un armatore di baleniere. Tenere la briglia stretta e la panchina corta, a rischio di far schiattare la squadra (è quel che gli rimproverano i tifosi), è la sua filosofia. ADL è un modello anomalo, per Napoli. Perché ragiona e agisce come un imprenditore del Nordest: sgobbare, produrre, rigare dritto, i soldi non si buttano, con le banche non ci si indebita. E capitemi bene, ragazzi: gli straordinari non si pagano. In una città che ha sempre fatto dello splendore e del talento i suoi punti di forza, ma anche il suo modello dis-organizzativo e il suo limite imprenditoriale, il Napoli gestito come un’azienda padana è un bel modello. Se il resto della città, invece di chiagnere, facesse come lui…» (Maurizio Crippa). «Il mondo ha un asse che si chiama Aurelio, agli altri conviene capirlo in fretta. D’altronde, pensa, comanda chi c’ha i soldi, e lui ce li ha. Più di ogni altro padrone del pallone De Laurentiis rappresenta oggi l’idea del lavoro-guadagno-pago-pretendo che rese memorabili i personaggi di Guido Nicheli, a cominciare dal Donatone di Vacanze di Natale. Tutta roba sua: di De Laurentiis, s’intende. […] Spende e decide: la società di Ferlaino era piena di gente, aveva cariche, mansioni, compiti. C’era una persona di troppo, sempre. Oggi, nel Napoli, il club lo comanda De Laurentiis. Da solo, tranne per la parte tecnica, giusto perché di calcio vero ne sa veramente poco. Il resto, lo controlla lui: marketing e pubbliche relazioni, diritti televisivi. Mette i soldi e comanda, perché […] il mestiere del produttore cinematografico gli ha insegnato che chi tira fuori la lira non può delegare. De Laurentiis condisce tutto con un carattere da molte sfaccettature, la gran parte poco piacevoli. Lo vedi dall’espressione principale, corrucciata e infastidita, allo stadio come nelle conferenze stampa. […] De Laurentiis è un tribuno. Un padrone sempre incazzato. Un Masaniello ricco. Prende tutto come un cinepanettone fuori stagione. Incassa popolarità usando un linguaggio e un modo di fare che sta a metà tra il macchiettismo alla Gaucci e il melodramma alla Mario Merola. […] De Laurentiis colma un vuoto: peccato che lo faccia con quel modo da cafone arricchito che non farebbe neanche parte della sua storia, ma che fa molta, moltissima scena con la gente, col pubblico, coi tifosi. Funziona allo stadio. Funziona in tv. Allora vai con l’accento su quella parte di carattere che lo trasforma in showman, anche se un po’ da avanspettacolo. Una parola in più, anziché una in meno: fumantino, guascone, smargiasso. Gli piace parlare, anche se non sopporta molto i giornalisti. Gli piace parlare con gli amici, con quelli del suo mondo: attori, registi, altri produttori. Si diverte a inventare termini come “cipparolo”, che viene da cheap, e nel suo romanapolenglish racchiude l’idea di qualcosa di piccolo e mediocre. Lo dice con una discreta dose di disprezzo, proprio come Guidone Nicheli definiva “animali” i piccolo borghesi degli anni Ottanta, quelli che la vacanza a Cortina se la potevano permettere, ma a modo loro, in una pensione a due stelle anziché al Cristallo. De Laurentiis è il personaggio di un suo film, sapendo di esserlo e volendo esserlo. Interpreta un ruolo, e qui non sappiamo noi se ne è consapevole o meno, fino a che punto recita e fino a che punto è autentico» (Di Corrado). «Un uomo che di stravagante non ha solo la fama, ma anche la “cazzimma”. […] Si può addirittura sostenere che De Laurentiis non deve la sua maggiore notorietà alla pluridecennale attività di produttore cinematografico. La deve […] al suo ingresso nel mondo del pallone e quindi alla sua più grande ma irrisolta ossessione: vincere uno scudetto a sua immagine e somiglianza. Perché, come dice lui, tanto “a Napoli c’è solo il calcio”» (Pierluigi Diaco). «Ha scelto la parte dell’antipatico. […] Si piace molto» (Tony Damascelli). «È la rappresentazione, ormai fuori controllo, de Il presidente del Borgorosso Football Club, senza l’immensità di Alberto Sordi e con la pretesa di essere preso sul serio» (Fulvio Bufi) • «Lei […] ha fama di uomo rude. “In realtà, sono un romantico. Una volta un regista chiese a mio padre: ‘Ma perché Aurelio è sempre incazzato, sgradevole, duro?’. Lui rispose: ‘Vedi, tu non hai capito che, quando Aurelio manda qualcuno a fare in culo, si realizza’”» (Cazzullo).