Corriere della Sera, 23 maggio 2019
La Merkel presidente europea? No
EUROPAX
Angela Merkel non sarà il prossimo presidente del Consiglio europeo. Con grande stile, mettendo a tacere sussurri e grida che la vogliono destinata al posto oggi occupato da Donald Tusk, la Cancelliera ha detto di «non essere a disposizione per un altro incarico politico, né in Germania né in Europa». A far ripartire le speculazioni era stata un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, in cui si diceva «preoccupata» ed esprimeva «un crescente senso di responsabilità a occuparmi ancora del destino dell’Europa».
Se in politica come in amore nulla è per sempre, vedremo se anche dopo le elezioni europee, che annunciano un’importante riconfigurazione del paesaggio politico dell’Unione, Angela Merkel vorrà o potrà tener fede all’intenzione di tornare alle sue passioni – i viaggi, la musica classica e la campagna dell’Uckermark – una volta lasciata la cancelleria. Oggi però il dato è questo e su di esso occorre ragionare. Perché il futuro di Angela Merkel ci riguarda. Nessuno può dire quanto tempo ancora sarà cancelliera. Troppe variabili entrano nell’equazione per fare una previsione credibile. La sua erede designata e attuale presidente della Cdu, Annegret Kramp-Karrenbauer, è leale. Ma il tempo e i sondaggi giocano contro Akk. Per questo in molti nell’Unione cristiano-democratica vorrebbero una successione anzitempo, ordinata e senza strappi, che l’architettura istituzionale tedesca rende tuttavia complicata. Né i potenziali alleati, sia ancora la Spd o siano Verdi e liberali, sono disposti a consacrare una nuova cancelliera senza elezioni anticipate. Potrebbe quindi anche succedere che Merkel resti ancora a lungo in carica, tanto più che a metà del prossimo anno la Germania assumerà la presidenza di turno della Ue.
Il vero significato del suo voler ancora «occuparsi dell’Europa» è che Merkel anela a definire il suo lascito al progetto comune, fin qui segnato soprattutto da eccessiva cautela. Nessuno più di lei incarna a torto o a ragione gli insuccessi degli ultimi dieci anni. Ma a lei (e a Mario Draghi) va il merito di aver evitato all’eurozona, e all’Europa tutta, l’abisso della dissoluzione. Non poco, ma nulla di più. Anzi, una lunga frenata, dopo il coraggio disordinato mostrato nel 2015 sulla crisi dei rifugiati. E il silenzio di pietra sulle proposte di Emmanuel Macron per il rilancio dell’integrazione, che pure Merkel, citando Hermann Hesse, aveva salutato come «la magia di un nuovo inizio».