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 2019  maggio 23 Giovedì calendario

Alla Scala l’opera come un thriller

Orbite vuote, naso consunto, denti sogghignanti, il teschio troneggia spaventoso sulla scena. Sul cranio una raggiera dorata, di quelle che adornano i santi, sotto la mandibola un piedistallo di rose rosse. «La passione sepolta sotto la morte» sintetizza Graham Vick, regista di Die tote Stadt (La città morta), opera di Erich Wolfgang Korngold, dal 28 maggio per la prima volta alla Scala a quasi cent’anni dal suo debutto, nel 1920, direttore Alan Gilbert, scene e costumi di Stuart Nunn. Che, complice Vick, ha ideato quel macabro altare, segno di morte e perversione, quale pilastro di una vicenda un po’ horror e un po’ thriller, angosciosa e visionaria. Se vi piace Hitchcock questa è l’opera per voi. 
Perché quella che ispirò Korngold, è più o meno la stessa storia che, una quarantina d’anni dopo, ritroveremo in uno dei suoi film più conturbanti, La donna che visse due volte. Un uomo che perde la moglie adorata, ne coltiva la memoria radunando in una sorta di tempio i suoi oggetti, il suo ritratto con liuto, la sua treccia di capelli biondi. A turbare quel lutto insanabile l’incontro con un’altra donna, terribilmente somigliante alla morta. Bionda come lei, anche lei che suona il liuto, con uno scialle identico a quello della cara estinta. Forse un fantasma, forse un doppio. Ma Mariette, la ballerina, non è Marie, la moglie santificata. Paul la desidera, ma i sensi di colpa lo divorano e la treccia feticcio è lì a invocare la sua vendetta... 
«Sia l’opera sia il film hanno matrici letterarie – ricorda Vick —, Korngold si rifà al romanzo gotico Bruges-la-Morte di Rodenbach, Hitchcock al suo remake francese anni ’50. Come Kim Novak, Mariette è una creatura di femminilità prorompente ammantata di mistero e ambiguità. Per Hitch la donna ideale: dea in cucina, signora in salotto, puttana a letto. Come James Stewart anche Paul cerca di modellare la nuova arrivata a immagine e somiglianza della defunta, ne è ossessionato». 
La Bruges dell’opera è uno sfondo musicale, più che una città uno stato d’animo. Nell’allestimento di Vick, sparirà del tutto. Le case in rovina, le strade silenziose, l’acqua stagnante dei canali, qui sprofondano nelle notti e nebbie della ragione. «Ho spostato l’azione un po’ in avanti, in un’Europa anni Trenta già segnata dall’ombra dell’Olocausto, le città svuotate dalla morte, le camice nere. Korngold era ebreo, per i nazisti un “degenerato” come la sua musica. Ma lui non riusciva a vedere la realtà. Pensava di poter scampare all’incubo con la sua arte. Per fortuna se andò in tempo». 
Nel ’34 fuggì negli Usa, cambiò vita e musica, divenne famoso autore di colonne sonore a Hollywood, incoronato con due Oscar. «Altri che rimasero non ebbero la stessa fortuna. Nella Berlino anni ’30 ogni cosa cambiò in poche ore. Per quanto possano sembrarci acquisiti, la libertà e i valori non sono per sempre. Comincio ad avere paura di quello che sta arrivando. Ma non nel mio lavoro, che deve essere sempre più coraggioso». Una proposta Vick ce l’ha. «Mi piacerebbe far nascere a Milano un coro e un’orchestra sul modello creato a Birmingham, che con Milano è gemellata, radunando persone di ogni età e etnia. Tutti insieme a fare musica, linguaggio universale, ideale per cancellare le “diversità”».