Corriere della Sera, 23 maggio 2019
Michele Bravi si racconta dopo l’incidente
«Mesi di silenzio e ora sono in terapia. È difficile ricominciare a vivere». Così al Corriere il cantante Michele Bravi, dopo lo choc per il tragico incidente in cui ha perso la vita una donna. Lui era al volante. Era novembre. Aveva appena finito le prove di un concerto.
Q uindi, da dove si riparte? Come si interrompe un silenzio che dura da mesi e nasce da dentro? Michele Bravi proprio non lo sa, ma vuole provarci: «Le persone che mi sono state vicino in questo periodo mi hanno chiesto di tornare alla realtà. E io mi fido di loro». Così il cantante – la cui vita è stata stravolta lo scorso novembre, dopo un incidente stradale in cui è morta una donna – affronta una lunga conversazione in cui asciugherà le sue lacrime tante volte quante ripeterà: «La mia paura è fare la vittima, davvero non voglio». Un respiro. Ce ne saranno tanti.
E dunque, da dove si inizia?
«Il rispetto per questa tragedia mi ha portato al silenzio. Tornare a parlare è strano: questa non è solo la mia storia. Non so. Sono sempre stato uno che parlava molto, il silenzio mi spaventava. Ho iniziato a scrivere canzoni proprio perché mi faceva così paura. Eppure sono stato mesi senza dire una parola».
Quella sera di novembre ha cambiato ogni cosa.
«Avevo appena finito di fare le prove dei concerti che ci sarebbero stati da lì a pochi giorni... Sì, è cambiato tutto perché è cambiato il mio modo di vedere le cose. Prima dividevo tutto in modo binario: bene o male, bianco o nero, giusto o sbagliato. Ora è diverso. Credo lo capisca chi ha vissuto una tragedia: le cose non le cataloghi, le accetti. Smetti di semplificare la realtà in due poli e vedi un mondo più complesso. Trovare un significato non ha più significato».
Davvero non lo ha?
«No. Una persona mi ha detto che cercare un significato al dolore è una forma pigra di sofferenza. È così. Impari a convivere con il male. È come se avessi qualcosa davanti agli occhi per cui non vedi più niente come prima. Anzi, quasi non ricordo più come era prima. È un altro mondo, un altro sistema di affrontare quello che succede. Ora anche il silenzio ha un altro suono».
Come ricorda l’incidente?
«Non vorrei parlarne, non voglio rendere questa tragedia un momento di opinione pubblica. Dico solo che sono state fatte intendere tante cose sbagliate. La tragedia non è certo un titolo sensazionalistico e molto è stato già smentito. Il male rischiava di essere una macchia d’olio, ma ho avuto la fortuna di avere tante persone che mi hanno stretto forte la mano».
Non si è ritrovato solo?
«Il miracolo è stato scoprire di avere tanti porti sicuri che ignoravo. Mi hanno stupito cose che prima non vedevo e non so come. Quando dico che sono stato in silenzio è perché veramente non riuscivo... non parlavo ma nemmeno sentivo più gli altri. Ero in un posto che non so descrivere e che spero di non rivedere più. Queste persone mi hanno alzato dal letto, mi hanno portato da mangiare, fatto uscire di casa. Sono tornato un bambino e loro mi hanno rieducato a vivere».
Teme ancora quel posto?
«È la forma più alta della paura: non riuscivo a dire o sentire nulla. È stato orribile. Ho avuto la fortuna di essere portato per mano a fare psicoterapia. Senza quella, non sarei qua e se c’è un messaggio che posso dare è questo».
È in contatto con la famiglia della vittima?
«Preferirei non condividerlo, non per mancanza di fiducia, ma perché questo è un mio modo per ritornare alla realtà, non per riaprire una ferita. E mi fa male possa succedere nel tentativo di ritrovare la mia voce. Anche il mio condividere è cambiato: c’è una fetta di privato che è giusto rimanga tale. Una tragedia non può essere affrontata nei contesti sbagliati. Questa è la prima volta che torno a mettere la faccia in prima persona».
Che effetto le fa?
«In questi mesi avrò visto si e no venti persone. È come se avessi fatto un viaggio... Sto cercando di tornare, non so se riuscirò. È il primo mattone».
Ci sono momenti che ricorda più di altri di questi mesi?
«Molti, magari insignificanti, ma che hanno iniziato a risolvere qualcosa. Ricordo un viaggio per tornare a casa mia, in Umbria. Chi era con me non mi ha detto niente e mi ha messo delle cuffiette. Per tutto il tempo, cinque ore, andava la stessa canzone, ma quel gesto mi ha fatto tornare la voglia di essere per altri quello che era per me il cantante che stavo ascoltando».
È tornato a cantare?
«Ancora non veramente. Tutto ha un peso diverso: anche la mia voce. Dire che l’ho ritrovata è prematuro. Ma ho voglia di ricostruire la realtà».
Tornare alla realtà significa anche uscire di casa...
«È dura. A un certo punto ti dimentichi di come è il mondo: le persone care ormai sono la mia casa. Non so se le cose torneranno mai come prima. Però mi manca la gente, tantissimo. La voglia di incontrarla è ancora tanta. Sto muovendo i primi passi».
Da quel giorno di novembre ha pianto tutti i giorni?
«Eh, mi spiace, ma non lo riesco a controllare. I brutti momenti ci sono, è una convivenza che devi imparare. Spero di farcela. Oggi non so come sto. Ho imparato ad affrontare le cose giorno per giorno. Per me già domani è un tempo lunghissimo».
Anche questo è cambiato?
«L’imprevedibile ora ha un peso diverso nella mia vita e posso solo vivere il momento: è pericoloso parlare di quello che succederà. Ci sono tante cose che mi spaventano».
Ha ripreso a guidare?
Scuote la testa. «Fa parte di un percorso medico: quel punto non è ancora arrivato».
Ora tornerà sui social?
«Cosa significa tornare? Il mio modo di comunicare sarà diverso. Ma non sono sparito, sono solo stato in silenzio».