la Repubblica, 23 maggio 2019
I breviloquia di Sua Santità
Nella terza loggia del palazzo apostolico, dopo una serie di corridoi che si perdono come fossero un labirinto, a fianco degli affreschi decorati dopo il 1550 da Giovanni da Udine, allievo di Raffaello, ha sede un ufficio che lavora nel nascondimento. Sei officiali, alcuni preti, altri laici, guidati dal polacco Waldemar Turek – 57 anni, liceo classico a Plock, laurea in lettere cristiane e classiche alla Pontifica università Salesiana di Roma dove ancora oggi insegna “latino curiale” – compongono l’Ufficio delle Lettere Latine della segreteria di Stato vaticana, chiamato da tutti semplicemente Sezione Latina, e si dedicano ogni giorno a un solo esercizio: tradurre in latino tutti i testi del Papa. Non hanno a che fare solo con scritti ufficiali, documenti sovente di alta teologia ed erudizione, ma anche, dal 2013, con i cinguettii che il vescovo di Roma produce su Twitter.
È un compito non da poco, soprattutto perché diversi termini usati oggi non esistevano quando il latino era lingua parlata. A cominciare dalla stessa parola tweet. In occasione della pubblicazione di un volume della Libreria Editrice Vaticana (Lev), che raccoglie proprio i tweet di Francesco in latino, i latinisti guidati da Turek hanno dovuto pensare a come tradurre questa parola che, fra l’altro, doveva ovviamente apparire nel titolo del volume. Dice Turek: «Tweet significa cinguettare, traducibile in latino come “friguttio”. Esiste però un altro termine – breviloquia – che vuol dire “breve componimento”. Benché non sia la traduzione letterale, abbiamo ritenuto che questo vocabolo latino esprima al meglio il concetto». E così è nato il titolo Breviloquia Francisci Papae, il primo volume vaticano di cinguettii papali. Il latino, lingua ufficiale della Santa Sede – anche i bancomat entro le mura leonine lo “parlano” – è una passione per molti curiali. «Salve, quomodo te habes?», chiede monsignor Turek ogni mattina ai suoi collaboratori. Che gli rispondono anch’essi in latino, spesso senza mai passare all’italiano. Certo, Oltretevere non tutti devono possedere un latino fluente, ma una sua conoscenza minima è comunque obbligatoria per essere assunti nei posti che contano della curia romana. Così accade nelle università pontificie dove non si raggiungono gradi accademici se non si superano prove scritte nelle quali dimostrare di saper tradurre almeno alcuni autori, su tutti Cicerone e Virgilio.
Nella traduzione dei tweet papali è capitato spesso alla Sezione Latina di imbattersi in parole nuove, di recente conio: «Abbiamo vari dizionari di lessico del latino recente che ci servono per esprimere i contenuti di oggi», dice Turek, sottolineando la sfida che quotidianamente lui e i suoi hanno da affrontare. «Nel dizionario – continua – troviamo la parola “instrumentum computatorium” per indicare il computer. Tuttavia, non troviamo la parola Gps, il sistema di navigazione satellitare. Per esprimere questo concetto abbiamo utilizzato un approccio descrittivo, prendendo in considerazione l’etimologia e il significato di questa abbreviazione in inglese, il risultato è stato: “Universalis loci indicator" ». Col passare dei mesi, e dei cinguettii, i sette latinisti hanno scoperto come il latino si trovi perfettamente a suo agio con la rapidità dei tweet; attraverso le declinazioni si risparmiano pronomi, articoli e preposizioni, rendendo densa, sintetica e flessibile la comunicazione. Certo, la perfezione della traduzione richiede costanza e impegno. Non a caso, il motto della Sezione latina è la locuzione «Nulla dies sine bulla», una parafrasi della celebre espressione di Plinio il Vecchio: «Nulla dies sine linea». Che tradotta letteralmente significa nessun giorno senza una linea. La frase è riferita al celebre pittore Apelle, che non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea. Nel significato comune vuole sottolineare la necessità dell’esercizio quotidiano per raggiungere la perfezione e per progredire nel bene. In Vaticano il latino non è soltanto scritto. Al Concilio Vaticano II, ad esempio, si è parlato molto in latino, così anche nei recenti conclavi fino a ogni «Habemus Papam» finale. Anche se il latino è la lingua tradizionale liturgica della Chiesa, l’uso liturgico delle lingue moderne ha prevalso dopo le riforme che seguirono il Vaticano II. Il latino, in sostanza, è sempre stato l’idioma "nazionale”, dei riti e della riflessione teologica, mentre le lingue volgari lo strumento della comunicazione con la gente. Così fino a oggi: sui social media vaticani, accanto alle lingue parlate più diffuse, persiste il latino con un profilo Twitter che vanta quasi un milione di seguaci: «Tuus adventus in paginam publicam Papae Francisci breviloquentis optatissimus est», «Benvenuti alla pagina Twitter ufficiale di Sua Santità Papa Francesco», si legge in homepage.