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 2019  maggio 23 Giovedì calendario

Nella nuova rotta dell’immigrazione, Trieste prende il posto di Lampedusa come approdo

Porti chiusi? Invece dei barconi verso Lampedusa le marce forzate. La via dei Balcani sembra diventata un’autostrada secondo un deputato friulano di Fratelli d’Italia, Walter Rizzetto: «In Friuli-Venezia Giulia c’è una vera emergenza a causa dell’aumento di clandestini che dalla Slovenia raggiungono Trieste. Occorrono immediati provvedimenti e debbono essere resi pubblici i dati di queste entrate, che nei primi quattro mesi del 2019 sono state maggiori degli sbarchi al Sud». Gli fa eco l’europarlamentare di FdI, Remo Sernagiotto: «Il pericolo di far entrare jihadisti in fuga dopo la sconfitta dell’Isis è altissimo. Si valuti anche una collaborazione tra eserciti sui confini sloveni e croati».La preoccupazione è bipartisan. L’ex- presidente della Regione Friuli e ora deputata Pd, Debora Serracchiani, ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per sapere «se sono in corso rapporti diplomatici con le autorità croate al fine di approfondire le modalità di contenimento umanitario dei flussi dal Sud dei Balcani» e per chiedere come mai «il ministero degli Interni renda noti solo i numeri degli sbarchi e non degli arrivi via terra».
All’inizio del 2016 l’accordo tra l’Ue e la Turchia chiuse, dietro congruo compenso in euro, la rotta balcanica attraverso la quale 754mila rifugiati si erano incamminati verso l’Europa occidentale. Ma nelle navi in tempesta si può aggiustare una falla però se ne formano altre. Così se il viaggio attraverso la Turchia è diventato pericoloso, si sono aperti varchi che dalla Grecia arrivano all’Albania e poi al Montenegro e alla Bosnia-Erzegovina e alla Croazia verso il confine italiano, per poi tentare di proseguire verso la Germania e i Paesi del Nord Europa. Secondo Dijana Muzicka, coordinatrice dell’emergenza della Caritas in Bosnia il numero dei migranti entrati nel Paese è aumentato negli ultimi 12 mesi del 600%. «Ogni settimana», dice la polizia, «respinge alla frontiera circa 200 persone ma è una goccia nel mare».
La Regione Friuli (il governatore è il leghista Massimiliano Fedriga) è in allerta ma va cauta a parlare di emergenza, in linea col prefetto di Trieste, Valerio Valenti, che dice: «A Trieste i numeri sono in incremento sia per quanto riguarda le persone intercettate sia le richieste d’asilo. A marzo di quest’anno abbiamo già raggiunto i numeri riscontrati a maggio 2018 ma non c’è un’emergenza».
Proprio nei giorni scorsi il governo sloveno ha denunciato che nell’ultimo periodo gli ingressi irregolari nel proprio territorio sono almeno raddoppiati, che ha respinto 1500 migranti provenienti dalla Croazia via Bosnia, che le risultano vi siano 5 mila persone già a buon punto del cammino lungo la rotta dei Balcani. E gli stessi numeri ufficiali degli immigrati ospitati nei centri-profughi friulani (si tratta dei richiedenti asilo regolari, sfuggono gli altri) indicano una situazione pesante: 1.259 migranti ospitati a Trieste (200 mila abitanti), 1.486 a Udine (99 mila abitanti), 793 a Pordenone (51 mila abitanti) e 466 a Gorizia (34 mila abitanti).
Il 10 maggio la polizia italiana di frontiera ha effettuato posti di blocco nel triestino: sono stati arrestati due pachistani che stavano accompagnando un gruppo di loro connazionali dallo Slovenia all’Italia e uno sloveno che a bordo della sua auto faceva entrare nel nostro Paese un gruppo di cittadini turchi. In precedenza erano stati fermati a Domio, nei pressi del confine con la Slovenia, 80 migranti che erano passati attraverso la val Rosandra. A riprova dell’affollamento della rotta dei Balcani vi è la periodica iniziativa di pulizia dei sentieri da parte dell’associazione ambientalista Sos Carso. Nell’ultima perlustrazione lungo i sentieri meno battuti che arrivano dalla Slovenia hanno trovato una quantità industriale di indumenti, scarpe, zaini e perfino tende da campeggio, materiale abbandonato dai migranti che si cambiano dopo aver passato clandestinamente il confine per non farsi notare e cercare di proseguire indisturbati. «Una cosa del genere non l’avevamo mai vista. In passato passavamo per gli stessi sentieri e non c’era nulla, nemmeno un vestito», dice Cristian Bencich, fondatore di Sos Carso.
Secondo alcune Ong un viaggio lungo la rotta dei Balcani costa circa 10 mila dollari e anche per far fronte a questo costo c’è chi, per pagare il debito, rimane legato alle organizzazioni criminali che gestiscono questi viaggi della speranza via terra. Dopo essere giunti al termine del loro viaggio pagano il dovuto attraverso il racket dell’elemosina, la prostituzione, il lavoro nero. Altrimenti i trafficanti minacciano ritorsioni verso le famiglie dei migranti nei loro Paesi di origine. I nuovi barconi sono qui, nei Balcani. Annota un dossier della Caritas: «La rotta dei Balcani occidentali comincia con lo sbarco nelle isole greche con imbarcazioni di fortuna partite dalle coste della Turchia.
I migranti si muovono poi verso il confine settentrionale della Grecia con la Macedonia. Da qui, sui treni, gli autobus o a bordo dei camion, i migranti raggiungono la Serbia, per poi continuare verso l’Europa di Schengen». Un’immigrazione che potrebbe risultare più pericolosa di quella che arriva dalla Libia, il capo della Polizia, Franco Gabrielli ha sottolineato che la rotta dei Balcani «rappresenta un motivo di preoccupazione per la sicurezza dell’Italia e dell’Europa» visto che il possibile, e in alcuni casi probabile, «afflusso di foreign fighter» fuggiti da Siria e Iraq».