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 2019  maggio 22 Mercoledì calendario

Biografia di Joan Collins

Joan Collins (Joan Henrietta C.), nata a Londra il 23 maggio 1933 (86 anni). Attrice. «Ho la pellaccia: sotto queste unghie laccate ci sono gli artigli» • «Sua nonna era una ballerina sudafricana, la zia e il padre agenti teatrali. Quest’ultimo non vedeva di buon occhio il fatto che la figlia volesse fare l’attrice. A quindici anni Joan già mirava a rendersi indipendente ed incominciò a posare come modella. Si iscrisse alla Royal Academy di Londra, dove le dissero che aveva un certo talento ma anche una brutta voce, e che quest’ultima le avrebbe irrimediabilmente tagliato le gambe» (Stefano Di Stefano). Invece, «a 17 anni […] presi parte a una tournée in provincia con la commedia The Praying Mantis. Subito dopo, la Rank mi prese sotto contratto» (a Ettore Mo). Esordì quindi al cinema, «in un film di profilo piuttosto basso, Nuda ma non troppo (1951) di F. Launder. […] Di bellezza prorompente, capace di una certa padronanza dei personaggi, dopo alcuni film in Gran Bretagna si trasferisce a Hollywood, dove recita nei generi più disparati, dal mitologico (La regina delle piramidi, 1955, di H. Hawks) al drammatico (L’altalena di velluto rosso, 1955, di R. Fleischer), dalla commedia (Sesso debole?, 1956, di D. Miller) allo spionistico (Spionaggio a Tokyo, 1957, di R.L. Bren) e al western (Bravados, 1958, di H. King)» (Gianni Canova). «Grazie al corpo ben fatto riuscì ad arrivare fino a Hollywood, e i giornali cominciarono a strombazzare le sue misure perfette (altezza un metro e 63 centimetri, busto 95 e vita 54) e aggiungevano altri particolari più intimi: amava la poesia, era selvaggia come una pantera, i suoi amori distruggevano e la distruggevano. Dei film girati in quel periodo (fra essi c’è anche Missili in giardino), Joan Collins non ha un bel ricordo: “Sono stata troppo remissiva – dice –. Sono stata alle regole di un gioco che non era per me”. […] Nel 1958, fotografi di 54 Paesi proclamarono Joan Collins la donna più bella del mondo, ed in quell’occasione Louella Parsons, famosa e pettegola columnist, la definì “la pantera di Hollywood”» (Di Stefano). «Fra le sue prime cose c’è anche The Bravados, accanto a un mito come Gregory Peck. "Avrò avuto più o meno vent’anni, lo adoravo e arrossivo ogni volta che entrava in scena. Lui era un po’ distaccato, di poche parole. Era molto più grande e famoso di me: che fifa. Sul set, in Messico, mi fecero montare uno stallone enorme e scatenato, che prese a correre lungo un dirupo fregandosene dei miei comandi. Mi dissi: se sopravvivo allo stallone e a Gregory Peck, ce la farò di sicuro. Sono sopravvissuta, ma odio i western"» (Silvia Bizio). «Dovevo fare io la parte di Cleopatra, e invece all’ultimo momento me l’ha soffiata Liz Taylor. Un boccone amaro». «Interpreta anche qualche film in Italia, come La congiuntura (1964) di E. Scola, L’amore breve (1969) di R. Scavolini, L’arbitro (1974) di L.F. D’Amico» (Canova). «Negli anni Settanta ero la regina dell’horror. Ho fatto vari episodi di Tales from the Crypt e Tales that Witness Madness, ho lavorato con Christopher Lee e con Freddie Francis, grande regista horror. Ho visto tanto di quel sangue che nemmeno ve lo immaginate». «Negli anni successivi, già abbastanza matura, gioca la parte della donna spregiudicata e priva di inibizioni, per esempio in The Bitch (1979), in numerosi tv-movies e nella saga Dynasty» (Canova). «Sulla soglia dei cinquanta aveva ancora un nome, ma era un’attrice avviata al tramonto: arrivò Dynasty, che le ha trasformato la vita» (Isabella Bossi Fedrigotti). «L’attrice britannica Joan Collins ottiene il ruolo di Alexis Colby dopo che la parte è stata rifiutata da Sophia Loren ed Elizabeth Taylor. Alexis è la vera cattiva della soap opera e uno dei personaggi indimenticabili del telefilm. Proprio con l’arrivo di Joan Collins nella seconda stagione gli ascolti del telefilm aumentano a dismisura. Prima moglie di Blake [Blake Carrington, il patriarca – ndr] e madre dei suoi due figli più grandi (nel corso delle stagioni diventeranno quattro), Alexis è perfida e senza scrupoli. Dopo aver rotto con Blake, si trasforma in un’abile donna d’affari e ha una sola missione: distruggere i Carrington» (Francesco Tortora). «La parola "bitch", letteralmente "cagna", viene usata in lingua anglosassone soprattutto nel senso di "puttana" (vedi l’espressione classica "son of a bitch"). L’aggettivo "bitchy", letteralmente "cagnesco, o puttanesco", si usa invece con significati più sfumati e più vari. "A bitchy role" non è necessariamente, né totalmente, "un personaggio di puttana", ma contiene comunque un’allusione al più antico mestiere del mondo, come si dice. In quei serial televisivi che raccontano storie più o meno contorte di famiglie ricche e potenti, il "bitchy role" è sempre presente e, naturalmente, colei che raggiunge l’eccellenza in questo tipo di carattere è l’inverosimile Joan Collins di Dynasty. […] In apparenza si tratta di donna bellissima: il corpo è agile, il passo scattante e giovanile, gli abiti escono dagli incubi di uno spettacolo "en travesti", ma stringono una vita impeccabilmente sottile, esaltano un seno che appare in forma perfetta, non ha nemmeno bisogno di indossare sempre una parrucca. I guai cominciano quando si avvicina, la macchina da presa, a Collins in primo piano. Sul cranio di forma perfetta la pelle, le carni, si distribuiscono in maniera improbabile, facendo sospettare pinze, cerotti e interventi chirurgici; i sorrisi producono tali innaturali tensioni nelle guance da spingere lo spettatore allo sbigottimento. Eppure tale immagine è stata elevata (si suppone da osservatori disattenti) a simbolo, a riscatto della cinquantenne che avrebbe in Collins la sua più splendida rappresentante. C’è di che sospettare la confusione. Ovvero che certi aspetti del personaggio di Alexis Colby (personaggio di immenso gradimento dal pubblico) si siano sovrapposti alla Collins, confondendo inestricabilmente l’immagine. E quindi che a piacere in realtà non sia la donna, o l’attrice, ma l’ignominia del personaggio. […] Joan Collins è quintessenziale e fantastica allo stesso tempo. Il suo personaggio è disseminato di segnali per annunciare al pubblico i vari strati della sua cattiveria: per esempio, l’acconciatura. Quando è seducente e minacciosa ha i capelli sciolti e arricciolati, ma guai quando li porta raccolti e tirati in alto: si può essere sicuri che è davvero pericolosa! Tutta l’aggressività che recita in tale personaggio serve, probabilmente, da catarsi alla frustrazione della donna solitaria e incalzata dal passare degli anni» (Alvise Sapori). «Quando ho cominciato a recitare in Dynasty, lo show stava fallendo. Grazie a me, risalì le classifiche e conquistò un grande successo. Così andai dal produttore, Aaron Spelling, e chiesi un aumento, perché guadagnavo molto meno rispetto a John Forsythe (Blake Carrington nel telefilm). Lui minacciò di licenziarmi, facendomi sentire insicura. Ma l’ho avuta vinta io. Me lo meritavo» (a Katia Brega). «Grazie al ruolo di Alexis, l’attrice Joan Collins diventa una delle dive più pagate nel mondo della televisione e ottiene anche un Golden Globe come miglior attrice nel 1983» (Tortora). «Si ricorda cosa disse sul palco dei Golden Globe quando lo vinse, proprio per la parte di Alexis? “Feci come avrebbe fatto Alexis. Ringraziai Sophia Loren per non aver accettato la parte”» (Armando Gallo). Abbandonata dopo otto anni, nel 1989, Dynasty, la Collins si divise fra interpretazioni teatrali (nel 1992 il debutto a Broadway, con l’impegnativa commedia Private Lives di Noël Coward) e partecipazioni cinematografiche (Nel bel mezzo di un gelido inverno, I Flintstones in Viva Rock Vegas) e televisive (Sentieri, Le regole dell’amore, Happily Divorced). Tuttora attiva, negli ultimi anni è apparsa come personaggio ricorrente nelle serie televisive The Royals e American Horror Story • Creatrice di linee di abbigliamento, di bigiotteria e di cosmetici • Autrice di alcuni libri, autobiografici e di narrativa, non è però certamente riuscita a eguagliare il successo ottenuto in questo ambito dalla sorella minore Jackie (1937-2015), scrittrice di romanzi rosa tra i più venduti, dai quali furono spesso tratti film interpretati dalla Collins • Quattro matrimoni alle spalle: il primo, stando a quanto dichiarato dall’attrice, fu celebrato dopo che il futuro marito, l’attore nordirlandese Maxwell Reed (1919-1974), l’ebbe stuprata; dal secondo, con l’attore e cantautore Anthony Newley (1931-1999), nacquero due figli, Tara e Alexander «Sacha»; un’altra figlia, Katyana, nacque dal terzo, con il produttore Ron Kass (1935-1986); il quarto, con il cantante svedese Peter Holm (1947), si concluse con una clamorosa causa di divorzio, in quanto l’uomo pretendeva dall’attrice per il proprio mantenimento cifre milionarie, poi fortemente ridimensionate. Dal 2002 la Collins è sposata in quinte nozze con il produttore Peter Holm (1965), di oltre trent’anni più giovane di lei. «Se fossi sposata con un uomo della mia età, se la immagina, la mia vita? Non ce la farebbe nemmeno a tirar giù un maglione dall’armadio o a portarmi una borsa…» • «All’inizio della carriera ero molto conformista. Sposai il primo uomo col quale mi sentii "coinvolta" a livello fisico e, poiché il matrimonio fu un fiasco totale, in seguito non ho più voluto commettere lo stesso errore. Penso che, prima di comprare un dolce, bisognerebbe assaggiare dei biscotti o dei dolci più piccoli» (a Miriam Gross). Fuor di metafora: «sesso libero e senza fine (“A Los Angeles mi avevano ribattezzato ‘The British Open’, ma i tradimenti sul set io non li ho mai contati”)» (Andrea Malaguti). «Tantissimi flirt con attori più o meno famosi. A una giornalista che le chiese quale fosse l’uomo migliore che avesse mai avuto, lei, pronta, rispose: "Suo marito"» (Rita Fenini). Tra le sue relazioni più intense, quella con l’attore Warren Beatty. «“Faceva sesso senza mai fermarsi”. Ma anche per una pantera come Joan “sette volte al giorno” (come recitano le cronache) sarebbero state decisamente troppe da sopportare: “Non penso che sarei potuta andare avanti ancora per molto – ha raccontato la Collins –, perché lui non si fermava mai. Saranno state tutte quelle vitamine che prendeva. Nel giro di pochi anni mi avrebbe distrutta”» (Simona Marchetti) • «Ritiene di essere stata una buona madre? "Io so di averci provato a fondo, ma sono certa di non essere stata una buona madre almeno quanto la mia lo è stata per me. Certe volte, dev’essere stato frustrante per i miei figli aver bisogno di me e non trovarmi. Ma, quando Katy ebbe l’incidente (la figlia minore di Joan Collins fu investita da un’auto quando aveva otto anni, nel 1980, ndr), feci qualcosa di cui non mi sarei mai creduta in grado: far uscire mia figlia dal coma e salvarla dal rischio di un grave handicap. Fu qualcosa che mi diceva che nulla era più importante che restare con lei per due mesi, ininterrottamente"» (Gross). Molto critico nei suoi confronti si è mostrato l’unico figlio maschio, l’artista Alexander «Sacha» Newley, che in un libro di memorie ha esposto «il proprio dolore mai superato davanti a Joan Collins, la madre dea che non gli faceva mai una carezza, che pensava soltanto alle parrucche (“aveva capelli troppo fini”), ai mariti, ai drammi sentimentali e al denaro. […] Scrive: “Volevo solo che mia madre mi amasse, volevo un legame con lei, che era così travolgente e abbagliante. Lei mi ha nutrito nel modo in cui le muse nutrono: a distanza”. Sacha, nato nel 1965, scrive che Joan non era un mostro, ma una narcisista, e che i suoi capelli non hanno mai visto la luce per cinquant’anni; […] dormiva tutto il giorno per essere scintillante la sera e non l’ha mai abbracciato, nemmeno quando lui prendeva a pugni il cuscino piangendo, ma l’ha abbandonato, divorziando (lui aveva cinque anni), a una baby sitter nerboruta, sciatta e gigantesca, con i capelli a spazzola, che per punirlo lo buttava sul pavimento e si sedeva sopra di lui. “Fisicamente mi disgustava, ma mi ha dato il senso di un’infanzia”. La baby sitter, licenziata dopo anni, prima ha tentato di soffocare una delle figlie di Jackie Collins, sorella minore scrittrice di Joan, infine si è suicidata con il gas di scarico dell’automobile. L’infanzia finto-dorata di Sacha lo perseguita ancora, nonostante l’età, i pranzi chiarificatori con la madre, nonostante i quadri in cui lui la ritrae come uno spettro. “Ha una vita troppo drammatica. Le accadono troppe cose. Ha sempre a che fare con qualche disastro”, ha detto di lei al Sunday Times» (Annalena Benini) • Conservatrice. Grande estimatrice di Margaret Thatcher (1925-2013), ai cui funerali fu ufficialmente invitata, e della regina Elisabetta II, che nel 2014 l’ha insignita del titolo di Dama comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico • Favorevole all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea • «Che cosa ne pensa, del movimento MeToo? "Della questione parlavamo fin da giovani con le colleghe: non creda che sia un tema di oggi. Magari non li chiamavamo abusi o molestie, ma la sensazione di essere prede degli uomini era forte. Trovo che il movimento sia positivo, anche se purtroppo sfiora appena la superficie dei problemi che le donne hanno oggi nel mondo". Ha avuto brutte esperienze? "Certo, come molte. Ma […] mio padre mi aveva messa in guardia. E mi sono fatta valere dando ginocchiate dove può immaginare (ride). Non ho permesso a nessuno di approfittare di me [ciò sembra però contrastare con le accuse di stupro altrove mosse al primo marito – ndr]. Ricordo quando incontrai per la prima volta Marilyn Monroe, eravamo a casa di Gene Kelly. Mi disse: Joan, stai attenta a Hollywood, è piena di lupi, avvoltoi arrapati e infidi. Ma io già in Inghilterra mi ero dovuta nascondere negli armadi per sfuggire alle grinfie di certi produttori. Non sono mai stata una vittima"» (Bizio) • «A 49 anni ha posato per la copertina di Playboy: è un vero record. Di che cosa altro è fiera? “Del fatto che a 17 anni ho iniziato la mia carriera di attrice e mi sono sempre mantenuta da sola, tranne che per un marito che mi ha aiutata finanziariamente perché avevo momentaneamente rinunciato alla carriera. E sono fiera di aver avuto una carriera molto più lunga della maggior parte delle attrici”» (Brega). «Sono convinta che la vecchiaia dipende da come ci si sente e dall’aspetto esteriore. Ho fatto quel servizio su Playboy perché sapevo che il mio fisico mi permetteva di farlo» • «È bella: grandi occhi da gatto, color mare d’inverno; visino minuto a forma di cuore, con gli zigomi alti; bocca sontuosa colorata fortemente di rosso, e, se non bastasse, lucidata senza risparmio con lip gloss a lunga tenitura (tutto il trucco è forte, pesante, di chi, in materia, non ama decisamente il risparmio); corpo minuto, snello, sulle gambe lunghe e fasciate del nero di calze opache e pesanti, con l’unica opulenza del gran seno che tutti conoscono per averlo frequentato sul video o sulle copertine dei rotocalchi. È intelligente: di quella intelligenza pratica, dritta, ed essenziale, che nasce dalla sicurezza in sé di chi si ama e si approva. È grintosissima, […] più simile a una donna d’affari che a una star del cinema: della star ignora i bamboleggiamenti e la seduttività delle incertezze, della donna d’affari ha la puntualità e la sbrigatività sempre molto concreta delle risposte» (Anna Maria Mori, nel 1988). «Ha 84 anni ma ne dimostra 48, solo le mani rivelano i segni del tempo, ma lei li nasconde in modo accurato sotto una pioggia di anelli e bracciali. Vezzosa ("Davvero conserva una foto scattata insieme nell’81? Non dica che non sono cambiata…"), grande aplomb, autoironica, Joan Collins è una delle ultime vere dive del panorama internazionale» (Silvia Bizio, nel 2018) • «Quello di tenere le sigarette nella scollatura, negli anni ’50, era un vezzo da diva o un’esigenza? “Un’esigenza: quando si gira un film, non si può sempre portare la borsetta”» (Maurizio Porro). «Voglio sempre essere elegante con abiti che mi scelgo da sola. Perché incaricare una stilista del tuo shopping? Mi pettino e mi trucco ancora da sola. Mi manca molto mia sorella Jackie. Giocavamo sempre insieme a truccarci da dive. Era sempre un grande divertimento, come quando eravamo bambine» • «È ricorsa a uno psicanalista. Ne valeva la pena, in definitiva? "La prima volta che mi rivolsi a uno psicanalista fu perché tutti gli attori che frequentavo – Paul Newman, Natalie Wood, James Dean, Marlon Brando, Joanne Woodward – lo facevano abitualmente. Così, sin da quando ho avuto un fiscalista e un press agent (di rigore per una giovane attrice di Hollywood), mi sono rivolta anche a uno psicanalista perché anche quella era una tappa obbligata, e poi, nei giorni in cui non si girava, era qualcosa che teneva impegnati. Ma non ho mai avuto troppa inclinazione per la psicanalisi. Quando qualcosa mi va male nella vita, penso: ok, è andata male, ora vediamo di ricominciare da capo". Direbbe che il ruolo di Alexis ha avuto qualche ripercussione sul suo carattere? "Sicuramente ha avuto un enorme effetto sul lato ‘affaristico’ della mia personalità. Ho imparato a tutelarmi da sola, a non rimanere la classica donna indifesa alle prese con i problemi finanziari. Prima lasciavo ad altri la cura dei miei affari. Un sacco di gente si è arricchita alle mie spalle, così decisi che avrei fatto da me» (Gross) • «Dio, come eravamo belle: ognuna con una propria forza e con un proprio stile. Dal dopoguerra agli anni Novanta è sempre stato così. […] Sognavamo. E la gente con noi. Le nuove attrici, invece, sono tutte prese dal desiderio di sembrare serie, convinte che ogni riferimento estetico possa diventare un insulto alla loro qualità professionale. […] La bellezza è sparita». «Che differenza tra Cary Grant, Frank Sinatra e Humphrey Bogart e i Leonardo DiCaprio, i Sean Penn o i Johnny Depp, eccellenti professionisti ma incerti metrosexual del giorno d’oggi. Meglio per loro se sullo schermo non si confrontano con i parametri della mascolinità» • «Se pensa ad Alexis oggi, come la vede? "Non così cattiva. Era una MeToo ante litteram, non trova?". Nel senso che era un personaggio forte? "Anche. Non chinava la testa davanti a nessuno e si vendicava continuamente dell’ex marito che l’aveva fatta soffrire. La storia di Dynasty è interessante: Alexis si è sposata a 17 anni, ha avuto dei figli ma il marito, Blake, era occupato a cercare pozzi di petrolio e ignorava la bella e giovane moglie. Lei ha avuto una relazione, lui ha cercato di uccidere quell’uomo e poi ha cacciato lei di casa. Aveva solo vent’anni. Un po’ si capisce il suo bisogno di vendetta". Ha sempre interpretato figure di donne forti. "Credo che questo, e la mia longevità professionale, sia dovuto a mio padre. Era un agente teatrale, non voleva che facessi questo mestiere perché, sosteneva, avrei dovuto sopportare umiliazioni, bocciature, abusi. Insomma, mi aveva vaccinata da subito. Ho iniziato a recitare in Inghilterra a 17 anni in un film, Judgment Deferred, in cui interpretavo una giovane delinquente. Ecco come ho cominciato: non come Alexis, ma come ragazza di strada. […] Mi offrono quel tipo di ruoli perché ho un aspetto aggressivo, ma ho da poco girato un corto, Gerry, in cui sono una donna fragile come non mi avete mai vista. Però è vero che preferisco ruoli più forti: è la mia vera natura". […] Rifarebbe tutto? O cambierebbe qualcosa della sua vita? "Sicuramente un paio di mariti (ride). Per il resto, va bene così. Ho dei figli meravigliosi: per loro ho un po’ rinunciato alla carriera, ma non avrei fatto nulla in modo diverso". […] Vuol dirci il segreto di tanta vitalità? "Gioco molto a poker e a Scarabeo. E ho un marito più giovane, no? Scherzo: la verità è che sento una grande gioia di vivere e mi ritengo fortunata di avere tanta energia. Mi godo quello che ho. E tengo sveglia la mente: giornali, riviste, mi informo sulla politica. Ma, soprattutto, ho una certezza: la vecchiaia fa schifo. E questo aiuta, mi creda"» (Bizio).