Avvenire, 22 maggio 2019
Il denaro gratis non è una soluzione
Perché il potere di stampare moneta deve essere affidato alle Banche centrali che lo attivano attraverso prestiti alle banche ordinarie di credito che a loro volta metteranno in circolazione quella moneta prestando denaro alle imprese? Non sarebbe meglio che lo stesso fosse nelle mani dello Stato in modo tale che esso finanzi direttamente investimenti pubblici o metta banconote addirittura nelle tasche dei cittadini riuscendo in questo modo a realizzare più efficacemente l’obiettivo della piena occupazione? In poche righe è questa l’utopia della Modern Monetary Theory (MMT), sulla quale ’Avvenire’ ha aperto un dibattito. Sembra una ricetta assai semplice. Per quale motivo allora nessuno Stato sovrano che batte moneta ha deciso sino ad oggi di utilizzarla? E per quale motivo la disciplina economica ritiene sia meglio la separazione di poteri tra Stato e Banca centrale affidando alla seconda la gestione della moneta? L a logica che c’è dietro la MMT è che il fattore scarso che impedisce il raggiungimento della piena occupazione è la carenza di moneta circolante. Per la MMT un secondo problema è che la moneta viene immessa nel sistema ’a debito’ (per averla bisogna di fatto pagare un interesse, sia che a chiederla sia il privato investitore a una banca, sia che la domanda venga dallo Stato che per investire non può stampare moneta da sé ma deve finanziarsi sui mercati e mantenere l’equilibrio di bilancio). I motivi per i quali il ragionamento della MMT scricchiola sono molti. Il primo è che il vero valore della moneta è immateriale ed è rappresentato non tanto dal numero delle banconote circolanti quanto dalla fiducia che i cittadini hanno nella capacità della moneta di mantenere valore nel tempo. Se il livello dei prezzi sale per via dell’inflazione, la moneta perde valore. E se chi decide di stampare più moneta lo fa senza che ad essa corrisponda una crescita delle merci prodotte, l’inflazione sale. È vero che negli ultimi tempi l’inflazione nei Paesi ad alto reddito è stata straordinariamente bassa, al di sotto delle attese delle stesse Banche centrali. Frutto certo della più aspra concorrenza sui mercati globali, ma anche del lavoro che le Banche centrali indipendenti hanno fatto per evitare l’aumento dell’inflazione stessa.
M a è anche vero che in molti Paesi del mondo il tentativo di avvicinarsi alla MMT finanziando con la creazione di moneta enormi deficit di bilancio ha avviato la spirale dell’iperinflazione. La ve- ra ricchezza di un Paese è dunque la somma delle competenze e della capacità di produrre dei propri cittadini e delle imprese. Se questa cresce, la moneta per accompagnare questa crescita c’è. Il secondo problema fondamentale con le idee della MMT è che l’economia non cresce (e con essa l’occupazione) semplicemente perché le persone hanno più soldi in tasca. E questo per diversi motivi. Il primo è che nell’era della globalizzazione se i prodotti del nostro Paese non sono abbastanza competitivi, quella domanda si rivolge a merci estere, producendo uno squilibrio della bilancia dei pagamenti (e un deprezzamento della moneta verso le altre tramite la svalutazione del cambio). I Paesi che possono stampare tutta la moneta nazionale che vogliono falliscono eccome, perché forti svalutazioni del cambio rendono costosissime le importazioni necessarie per far funzionare l’economia e costringono a contrarre debito estero in valuta il cui valore sale vertiginosamente mano mano che il cambio si svaluta (quello che sta purtroppo riaccadendo in Argentina).
P er capire da un altro punto di vista questo secondo problema, guardiamo alla previsione degli effetti del Reddito di cittadinanza su crescita e occupazione. Con il Reddito di cittadinanza lo Stato italiano ha messo soldi nelle tasche della popolazione più povera. Quelle risorse si trasformeranno quasi tutte in maggiori consumi. Eppure l’effetto espansivo previsto sull’economia è molto modesto (0,1% del Pil). E l’effetto sull’occupazione è dubbio, perché c’è il rischio di disincentivare la ricerca di lavoro se il reddito è troppo alto. Consideriamo inoltre che le maggiori risorse monetarie non producono spesso gli effetti desiderati quando esistono dei ’tappi’. In Italia, non c’è in questo momento un problema di carenza di liquidità (soldi ne circolano molti), ma di incapacità di avviare investimenti già finanziati, ma non ancora cantierati per via del difficile rapporto tra ammini-strazione, controllori e giustizia civile. Più di cento miliardi d’investimenti pubblici finanziati ma non cantierati ne sono l’emblema. Non abbiamo bisogno di più soldi, ma di usare efficacemente quelli che abbiamo. L’efficacia di una espansione monetaria nel generare uno stimolo positivo sull’economia dipende inoltre fortemente dal ciclo economico. Nei periodi che seguono una grave crisi finanziaria, aumentare l’offerta di moneta è una ricetta su cui tutti concordano. Il motivo è che una crisi finanziaria distrugge risparmio e istituti bancari e dunque la moneta distrutta va rimpiazzata. È quello che la Federal Reserve americana e la Bce nella UE hanno fatto dopo la crisi del 2007 (la Bce per la verità con un po’ di ritardo).
U na parte importante della critica della MMT riguarda i canali di trasmissione dell’offerta monetaria. Perché passare per le banche? Il motivo è che le banche hanno una funzione moltiplicativa ed allocativa della moneta. Attraverso il moltiplicatore delle riserve moltiplicano le risorse ricevute e con la selezione dei progetti da finanziare allocano la moneta verso chi la può far fruttare maggiormente. Sostituire a questo canale quello dello Stato che stampa direttamente per finanziare investimenti pubblici o mettere i soldi direttamente nelle tasche dei cittadini espone a rischi enormi di cattivo utilizzo e dunque a probabilità di alimentare spirali inflazionistiche molto elevate. Per esigenze di spazio non è possibile approfondire ulteriormente questi spunti. Spero però di aver illustrato che cosa induce la perplessità quasi unanime di economisti e addetti ai lavori nei confronti di un’utopia che nasce con le migliori intenzioni di risolvere i problemi dei più deboli rischiando però seriamente di aggravarli.