ItaliaOggi, 22 maggio 2019
Periscopio
Mancia incompetente a chi smarrisce le chiavi di lettura. Dino Basili. Uffa News.Smetterò di fare politica quando i politici smetteranno di far ridere. Coluche, comico francese, Pensèes et anecdotes. Le Livre de Poche, 1995.
Il portavoce di uno stronzo è stronzo. Altan, Donne nude. Longanesi, 2011.
Quando compri un uccello guarda se ci sono i denti. Se ci sono i denti non è un uccello. Paolo Nori, La grande Russia portatile. Salani Editore, 2018.
La professoressa Sainati era l’insegnante di italiano dal rossetto sui denti. Pupi Avati, Il papà di Giovanna. Mondadori, 2008.
Tutte le polemiche in Usa contro Trump sono espressione di snobismo e di un sentimento di superiorità. Bret Easton Ellis, romanziere americano (Erich Neuoff). Le Figaro.
Ero riluttante ad accettare l’invito a Cannes perché volevo che il riconoscimento andasse ai miei maestri : Visconti, Clément, che mi hanno reso ciò che sono. Ero un primo violino, ma loro erano von Karajan. Ma sono tutti spariti e allora io sono contento di essere qui per loro. Alain Delon, attore francese, Arianna Finos. la Repubblica.
Quando Agnelli arrivava a New York, Gabetti organizzava pranzi con Henry Kissinger, David Rockefeller e suo fratello Nelson, Warren Buffet, il banchiere André Meyer, David Paley, presidente della Cbs, Katherine Graham, proprietaria del Washigton Post. Faceva parte delle sue mansioni anche diversificare l’investimento: d’intesa con l’Avvocato arrivò a ricomprare il Rockfeller Center dai giapponesi; ma quando la Fiat ebbe bisogno di soldi non esitò a vendere quasi tutto. Aldo Cazzullo. Corsera.
Nel basso, la destra, o ciò che ne rimane, ci sguazza. Culto del capo, plebeismo, nazionalismo e semplicismi accendono l’immaginazione attraverso uniformi, marketing della paura, uova al tegamino postate, armi da difesa, senza tante «pippe mentali», come dicono. Perciò viva le file ai gazebi e auguri a Zingaretti, che non è propriamente un radical chic, ma il Pd resta un disastro sospeso a mezz’aria, un deserto di idee e memorie rispetto al quale Montalbano che salva gli immigrati in tv francamente non basta. Filippo Ceccarelli, la Repubblica.
Per Napoleone all’Elba erano state le visioni di un ritorno trionfale a Parigi a galvanizzare la sua volontà nel perseverare, mentre passeggiava tra i polli, scacciando mosche ed evitando pozzanghere di fango. Amor Towles, Un gentiluomo a Mosca. Neri Pozza, 2017.
Mangiava pesce con le posate d’ordinanza, baciava con garbo settecentesco la mano delle signore, all’occorrenza faceva anche l’inchino, a ogni invito a cena rispondeva con un mazzo di camelie, il suo, e anche il nostro fiore preferito. Il suo parrucchiere era lo stesso di Gianni Letta, la più forbita chioma della Seconda e anche della Prima Repubblica, purtroppo senza quella tonsura che ne avrebbe fatto un gran prelato fra le sale e gli ambulacri della Curia dove Gianni si sentiva come a casa sua anche senza le crostate di donna Maddalena, la sua vedova bianca. Roberto Gervaso, Le cose come stanno. Mondadori, 2017.
Volevo visitare e conoscere l’India. Lavorai come marinaio per un anno e mezzo su un cargo e poi per sei mesi su una petroliera. Quando scendevo, nei luoghi più remoti ed esotici, visitavo templi, musei; ero affascinato dai loro teatri. E quando tornai a Oslo, Eigil mi riprese con sé. Riuscii anche a laurearmi in storia delle religioni con una tesi sul sufismo. Eugenio Barba, regista teatrale (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Il direttore è considerato dai suoi giornalisti una specie di ente inutile. Tipo l’«Opera nazionale di assistenza all’infanzia delle regioni di confine» o la «Cassa malattia gente dell’aria» (esistono davvero). A questa convinzione contribuisce una nota battuta di Indro Montanelli: «Un direttore è sempre meglio che non vada in ferie. Se ci va, corre due rischi. Il primo è che, senza di lui, il giornale perda copie. Il secondo è ben più grave: e cioè che, senza di lui, il giornale guadagni copie». Michele Brambilla, Sempre meglio che lavorare – Il mestiere del giornalista. Piemme, 2008.
Sergio Saviane era un orso vero, un asociale, avvolto in una corazza di diffidenza. E lo era anche per i suoi concittadini, inutile star lì a girarci attorno. Non era un simpaticone, non si preoccupava di esserlo, non voleva esserlo, si lasciava sfiorare dagli sguardi, dai saluti di chi lo conosceva e lo riconosceva, ai quali accennava una fessura di risposta, come sfuggita da rughe di vita, che la vita aveva reso più aspre, più severe. Massimo Del Papa, Il rompicoglioni – L’eredità perduta di Sergio Saviane. Alberto Liberali editore, 2014.
Emilio frugava nella sua valigetta cilindrica. Ne cavò un temperino multiplo, con cinque lame di varia lunghezza, il cavatappi e il netta-unghie; lo mostrò a Silvia con tutte le affilatissime lame estratte dal manico d’osso. «Per Renzo. Gli piacerà?...E questo è per te». Dalla valigia uscì una bambola un costume di olandesina, con la cuffia bianca inamidata e gli zoccoletti di legno. Silvia ricordò subito che il suo compleanno egli gli aveva regalato una bambola vestita da olandese, quasi identica a quella. Pensò che anche Renzo possedeva un’abbondante collezione di temperini. Suo padre non aveva molta fantasia e Silvia, per questo, si sentì salire in bocca un sapore materno di tenerezza per lui. Luigi Santucci, Il velocifero. Mondadori, 1963.
Accanto a Livio Berruti, in una giornata di gioia tranquilla, c’è sua moglie Silvia, un «late love», una sinfonia d’autunno: «Ci siamo sposati vent’anni fa». La dolce coppia si muove ai ritmi di una danza eseguita alla giusta cadenza, alla giusta lentezza, dopo una vita veloce: «Però mangio come a vent’anni». Silvia lo guarda spolverare l’ossobuco. Due stampelle sono state posate con cura sul tavolo accanto: la gamba destra della bellezza, proprio la gamba che contrastava la forza centrifuga e gli americani rabbiosi («e ombrosi»), non funziona più come una volta: «Ma va bene così, riesco comunque a guidare, non devo mica correre i 200». Livio Berruti, campione olimpico di Roma nel 1960 (Enrico Sisti). la Repubblica.
Ho la speranza di un ipotetico paradiso dove si troveranno gli scomparsi, più vivi che mai, rinascendo dalla cenere. Degli spiriti amati, sì, e sorridenti, degli spiriti gioiosi. Christian Giudicelli, Les spectres joyeux. Gallimard.
Gli scappa un sorrisetto fasullo come è tipico dei calmi-collerici. Daniela Raineri, Mille esempi di cani smarriti. Ponte alle grazie, 2015.
Chi vuole sempre le stesse cose o è saggio o è ottuso. Roberto Gervaso. Il Messaggero.