Il Messaggero, 22 maggio 2019
L’ambasciatore venezuelano lascia Roma
Vipere con la testa triangolare, pioggia di chiodi e la voglia di fare il nonno a tempo pieno. Queste alcune delle metaforiche ragioni per cui l’ambasciatore venezuelano in Italia, Julián Isaías Rodríguez Díaz, ha deciso di lasciare il ruolo che svolgeva da ottobre del 2017. Un addio senza rancori, ma soprattutto senza soldi.
LO SFOGORodríguez racconta che va via spoglio, come l’ala di un pipistrello», e che la moglie è stata costretta a vendere i vestiti che aveva avuto in dono dall’ex marito per fare fronte alle necessità economiche, dovute al blocco imposto dal governo degli Stati Uniti: «Sto cercando di vendere l’auto che ho comprato quando sono arrivato all’ambasciata e, come lei sa, non ho un conto in banca, perché i gringos’ mi hanno sanzionato e la banca italiana mi ha chiuso le porte. Terrò i ricordi in una scatola con palline di naftalina».
Un addio difficile e definitivo, che però non può essere interpretato come un divorzio dal governo di Nicolás Maduro. Nella lunga lettera diretta al Presidente e «amico», Rodríguez ha spiegato che la causa politica del socialismo venezuelano resta la sua causa, perché il delfino di Chávez l’ha saputo «trattenere come una calamita in un campo magnetico». Ma è arrivato il momento di dire basta. «Devo riconoscere che sono nato per il martello e dal cielo mi cadono chiodi si è confidato Rodríguez nella poetica missiva -. Non ho imparato a contrattare indulgenze e questo è terribile e sfiancante nella politica quotidiana».
Così l’ambasciatore rinuncia «alle dosi d’insonnia, stress, afflizione e alle vipere di testa triangolare che da tanto tempo mi accompagnano», ha scritto a Maduro. La lettera denuncia anche il «marketing» che è aumentato attorno al presidente venezuelano, con «molti discepoli che hanno poco di apostoli. Ed è in quel momento che ci chiediamo, è la Chiesa o è Dio che sta fallendo?».
L’ITER
Le dimissioni non sono una sorpresa. Giorni fa, Rodríguez aveva denunciato in conferenza stampa che l’ambasciata attraversava serie difficoltà economiche. Con un debito di circa 9 milioni di euro, non era in grado di saldare stipendi e l’affitto della sede diplomatica. Tutto per colpa delle banche internazionali, secondo lui, decise a strangolare il governo di Maduro: «Dobbiamo pagare tre mesi di affitto e abbiamo già ricevuto un avviso di disoccupazione dell’abitazione. Siccome siamo affittuari da 25 anni, hanno avuto pazienza».
Undici dipendenti, invece, non sono pagati da quattro mesi. Due si sono dimessi.
Rodríguez è uno dei volti più antichi del chavismo. Autore di molti libri di poesia, è laureato in Diritto all’Università Central del Venezuela, con una specializzazione in diritto del lavoro. È stato militante del partito socialdemocratico Acción Democrática, una formazione politica tradizionale demonizzata da Hugo Chávez nel 1999.
L’ambasciatore accompagnò Chávez durante la campagna elettorale di quell’anno e dopo la storica vittoria è diventato vicepresidente del Venezuela nel 2000. Nel 2001 è stato nominato Procuratore generale. Sei giorni dopo l’annuncio della morte di Chávez nel 2013, Rodríguez confessò all’agenzia tedesca Dpa: «L’ho sentito. È stata una comunicazione di Chávez con me e di me con lui. Ci siamo sentiti mentalmente. Non ho dubbi. È stata un’esperienza mistica».
Ora un’altra illuminazione: l’ambasciatore ha scritto nella lettera di dimissioni di essere pronto per arruolarsi alla Forza Spirituale di Operazioni Speciali per i Nipoti.