Il Messaggero, 22 maggio 2019
Cronaca del primo anno di governo gialloverde
Festeggiano insultandosi. Ecco il primo compleanno del governo Conte – di cui restano due definizioni: «avvocato difensore degli italiani» e «vice dei suoi vice» – e mentre il premier vive con difficoltà la sua parabola cominciata il primo giugno 2018, le figure forti dell’esecutivo, Salvini e Di Maio, non hanno l’aria di chi vuole spegnere la candelina insieme. E tantomeno bramano per infilarsi a braccetto, anche se un tempo si dicevano «amici», nella «cabina del benessere». Sarebbe il regalo di compleanno che Conte ha voluto fare agli italiani, ovvero: un luogo istituzionale – non una spa ma il senso è quello e la denominazione è questa e non è uno scherzo: «Benessere Italia» – in cui si coordinano le politiche di tutti i ministri per dare felicità ai cittadini.
Semmai, Di Maio e Salvini parrebbero presi dalla voglia di usare la candelina per procurare una bruciatura l’uno all’altro. Ma quel che sembra ardere, nel falò delle velleità, è il Contratto di governo. Doveva rappresentare il simbolo e il mezzo della politica che sa conciliare gli opposti, ma le promesse anche mirabolanti che contiene si sono spesso tradotte in impasse. O in estenuante tira e molla: «Questo nel Contratto non c’è», è il refrain della conflittualità dei duumviri.
VOTI E PIAZZE
Si dirà: si è votato continuamente durante questo anno di governo Conte (in Friuli, in Trentino, in Molise, in Abruzzo, in Sardegna), la corsa per le Europee è cominciata praticamente da subito e la campagna elettorale permanente non è il momento migliore in cui fare le cose di governo con la tranquillità e la lungimiranza necessarie. E tuttavia, basta prendere qualche punto del testo contrattuale – esempio: la giustizia – per notare quanto le istanze annunciate non siano state convertite in leggi e riforme. «Indipendenza del Csm dalla politica, mediante la revisione del sistema di elezione». Ottimo proposito, ma non pervenuto. «Velocizzare e snellire il processo civile». E idem quello penale. Ma niente. Ecco invece la prescrizione infinita, con la promessa (dei 5Stelle alla Lega) di rivedere poi l’intero impianto processuale ma alle parole non sono seguiti i fatti. Tantomeno questo: «Si vuole introdurre – recita il Contratto – l’obbligo per il giudice, alla prima udienza, di prevedere la calendarizzazione dell’intero procedimento per garantire alle parti una maggiore certezza circa la durata del processo». Intenzione sacrosanta ma la politica delle intenzioni non sembra bastare.
Magari ci vorrà non soltanto un anno, ma due o tre, o tutta la legislatura, per completare le promesse del Contratto e allora auguri di lunga durata. Per adesso, però, almeno sulla legittima difesa – «Si prevede la riforma ed estensione della legittima difesa domiciliare, eliminando gli elementi d’incertezza» – i propositi e le realizzazioni coincidono. Così come per il decreto sicurezza. Ma in entrambi i casi – e la riprova è lo scontro furibondo in atto tra Lega e M5S sul decreto sicurezza bis – si è arrivati a concludere la cosa prima che cominciasse l’odore delle urne europee, ed è da lì – primo segnale: Siri mandato a casa da Conte e da Di Maio e sconfitta piena per Salvini – che si è incrudelita la battaglia tra i due vicepremier. Che lungo quest’anno hanno rivendicato – più Di Maio che Salvini – il proprio primato nel numero degli atti di governo. «Su 10 provvedimenti fatti, 8 sono del Movimento 5Stelle», ha annunciato Di Maio.
Ma in realtà, considerando tutte le misure approvate da Parlamento e governo tra disegni di legge e decreti (un totale di 36 provvedimenti) solo 12 portano la firma dei 5 stelle. E calcolando solo i decreti, stando al primo firmatario viene fuori che su 15 appena 5 sono espressione dei pentastellati, uno arriva dalla Lega e i restanti 9 sono frutto di un lavoro congiunto Lega-M5S. Del resto il gusto dell’iperbole contraddistingue questo anno vissuto al massimo. «Abbiamo abolito la povertà!», ha annunciato Di Maio. «500 mila clandestini ci ha lasciato la sinistra!», ha tuonato Salvini (per poi dover ammettere: «Sono al massimo 90mila»).
RESTA IL GAP
Il Contratto totem, finito nella paralisi dei veti, talvolta riesce invece ad essere fedele a se stesso. Ed ecco il caso macroscopico del Mezzogiorno. Il tema è presente con una frase che non si sa se più misteriosa o più sgrammaticata: «Tutte le scelte politiche previste sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l’obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud». Esoterismo puro, con un risultato chiarissimo: la sparizione del Mezzogiorno nelle politiche di questo primo anno giallo-verde.
I SOCCOMBENTI
Un Sud rimasto soccombente, per non dire quanto poco anzi nulla sia stato dato a Roma e fatto per Roma, in un’agenda nella quale ha primeggiato la riforma autonomista, almeno nei desiderata lumbard, ma in questo caso a dichiarazione vaga – «Va attuato il regionalismo differenziato, attribuendo maggiori funzioni alle Regioni che lo richiedono» – sono seguite l’interpretazione nordista dell’enunciato, ossia la pulsione Spacca-Italia, e le continue frenate dei 5Stelle. Risultato: autonomie impantanate (e le buone ragioni di Roma e del Sud per ora vincenti ma non si sa mai) e ennesima riprova di un dato importante. Questo: su più di 200 provvedimenti da approvare, tre quarti sono impantanati.
PAROLE
E se alle parole e alle norme non seguono i fatti, si capisce – per esempio – che le somme stanziate per le opere pubbliche, non spese, rimangono tra i residui passivi. Opere pubbliche? Il Contratto dice che sulla Tav: «Con riguardo alla linea ad alta velocità Torino-Lione, ci impegniamo a ridiscutere integralmente il progetto». Dichiarazione bipolare, leggibile in due modi: la Tav si blocca ma anche la Tav non si blocca. E quindi? «L’abbiamo bloccata!», esulta Di Maio. «La Tav si fa», assicura Salvini. La verità è che si sta facendo – sono partiti i bandi per la manifestazione d’interesse delle aziende – ma piano piano. Che è il corrispettivo del mezzo mezzo su reddito di cittadinanza e quota cento – le due bandiere di M5S e Lega che dovevano sventolare in prossimità delle Europee ma guarda caso sembrano sparite – che si sono concretizzate per una platea inferiore a quella prevista e dunque con un impatto propagandistico smorzato. Così come quello dello Sblocca cantieri. Recita il Contratto: «Va migliorato il comparto infrastrutture». La realtà è una zuffa sullo Sblocca cantieri, impantanato in commissione al Senato e rimandato, come tutto, al dopo elezioni. Quando probabilmente Conte non sarà più alla guida del governo e i duumviri continueranno a litigare.