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 2019  maggio 22 Mercoledì calendario

L’arrampicatrice cieca

Per scalare una parete verticale non è necessario vederla. È vero sulla roccia delle Alpi e sulla plastica delle pareti di arrampicata indoor. È vero in tutte le difficoltà della vita. La storia di Alessia Refolo, 28 anni, piemontese di Ivrea, racconta proprio questo. Minuta, bionda, scattante, Alessia lavora in banca, pratica molti sport, ama ballare, si veste con eleganza, è testimonial di un’azienda che produce cosmetici. Nel 2014, in Spagna, è diventata campionessa mondiale di arrampicata sportiva, superando difficoltà di 6c, il settimo grado della scala classica. Più tardi, in Valle d’Aosta e in Piemonte, ha percorso vie fino a trecento metri di sviluppo. 
Poi, oltre alle pareti e alle corde, si è dedicata allo sci nautico, e si è laureata campionessa europea anche lì. A rendere la sua storia straordinaria è un dettaglio che pesa come un macigno sulla sua esistenza. Alessia non vede. Da piccolissima, a 18 mesi, è stata colpita da un neuroblastoma, un tumore che si presenta soprattutto i bambini con conseguenze spesso letali. 
IL PERICOLOQuando è arrivata in ospedale, al Gaslini di Genova, era in pericolo di vita e la dimensione della massa tumorale non consentiva di operarla. Dopo un anno di chemioterapia Alessia è guarita. «Sono viva – racconta – ma ho pagato un prezzo molto alto perché i farmaci mi hanno danneggiato irrimediabilmente la vista». In Se vuoi puoi. Una vita al di là del buio (Hever Edizioni, 264 pagine, 15 euro) Alessia racconta la sua storia.
Il coraggio del padre e della madre, la sua decisione di vivere una vita il più possibile normale nella scuola, nel lavoro, nell’amore e nello sport. «Se vuoi puoi è un progetto che ho creato inizialmente per i bambini e i ragazzi – racconta – ed in seguito ho ampliato anche per gli adulti. Per trasmettere il messaggio che nella vita tutto è possibile se lo vuoi fortemente».
Nel libro, il racconto della finale dei Mondiali Paralimpici di arrampicata sportiva del 2014, disputati a Gijón in Spagna, è interrotto da quello degli altri momenti cruciali della vita. Il neuroblastoma e la cecità, raccontati dalla madre in lacrime. Gli alti e bassi della vita quotidiana, dalla scelta di vivere da sola, riuscendo a darsi da fare in cucina e a scegliere cosa indossare nei cassetti. E anche «il peggioramento di due anni fa, quando i miei occhi hanno perso la capacità di distinguere, anche se vagamente, forme e colori». Spostarsi, per Alessia come per tutti i non vedenti, è una delle attività più difficili. Cammina sui marciapiedi di Ivrea, viaggia in aereo o in treno. Per raggiungere aeroporti o stazioni, però, deve affidarsi a volontari. 
IL COMPUTERSono stati positivi, nella vita di Alessia, gli incontri con gli strumenti tecnologici e le app che le consentono di utilizzare il telefono cellulare e il computer. E quindi, di lavorare. Un’altra tappa importante è stata la scoperta dell’arrampicata, nella palestra K3 di Ivrea e al Pala Braccini di Torino. 
«Per me lo sport è importantissimo – racconta sorridendo – Finora, sostenuta da una grande forza di volontà, sono riuscita bene in tutti, dallo sci su neve all’equitazione. Ho un difetto, però. Dopo un paio d’anni di attività mi stufo, e voglio provare qualcos’altro».
Per questo, dopo aver trionfato nei Mondiali di arrampicata paralimpica del 2014, Alessia abbandona le pareti per dedicarsi allo sci d’acqua nel centro sportivo di Recetto, non lontano da Novara, utilizzato da sportivi paralimpici che arrivano da tutta Europa.
Nel 2018 vince gli Europei di figure e di slalom a Roquebrune-sur-Argens, in Francia. Poi, come stregata dalla montagna, torna alla scalata. «Noi non vedenti non arrampichiamo da capicordata, con il rischio di volare e farci male. Scaliamo da secondi, con la corda davanti. E pratichiamo il boulder, l’arrampicata a pochi metri da terra, dove si cade sui materassi. A suggerirci i movimenti è il nostro allenatore che ci segue dal basso, e che ci parla attraverso un microfono e una cuffia» spiega. Ma le difficoltà solo le stesse di chi arrampica a duemila metri. 
LA VELOCITÀLe gare di arrampicata paralimpiche sono di due tipi: vengono verificate la difficoltà, su un percorso che non è stato provato e la velocità, su una via che si conosce a memoria. «La tecnica fondamentale, per noi, consiste nell’esplorare la parete con dei movimenti circolari della mano e del piede, per trovare l’appiglio giusto. Nella velocità, l’arrampicata di un non vedente è simile a quella degli altri. Si prova la via molte volte, poi si ripetono i movimenti accelerando». Mentre racconta a raffica vola con il pensiero fino ai Giochi di Tokyo 2020, l’arrampicata sportiva farà il suo debutto alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi. «È un sogno che si avvera. Ci sarò, ci saremo» e saluta sorridendo. 
Stefano Ardito