Corriere della Sera, 21 maggio 2019
L’ereditiera pentita: 15 milioni al fisco, 90 ai poveri
Alla fine quelli più felici, a loro insaputa, saranno i poveri e i bisognosi che nei prossimi anni riceveranno l’aiuto degli enti di assistenza pubblica e privata ai quali un’ereditiera 92enne ha devoluto ora il proprio patrimonio, o almeno quello che le resta dopo essere stata pizzicata dalla Procura di Milano come «totale latitante fiscale». Un patrimonio in beneficenza che, anche al netto di una tosatura giudiziaria da 15 milioni di euro, si aggira comunque ancora sui 90 milioni.
Il primo gettone nel juke-box giudiziario, infatti, lo mise all’inizio dell’anno scorso il figlio unico e irritato per la (a suo avviso) non equa suddivisione dell’enorme patrimonio paterno all’estero ereditato dalla madre Anna Maria Ghezzi, 105 milioni di dollari accumulati liquidando a fine anni ’90 la catena di negozi di cravatte di seta creata dal marito Aldo Gavazzi (morto nel 1992) e per decenni licenziataria di marchi come Yves Saint Laurent o Hermes. Poi, a far fruttare quel gettone iniziale e tramutarlo in un tesoretto per lo Stato di 15 milioni, ci si è messa la squadretta di polizia giudiziaria della Guardia di Finanza che in Procura a Milano va a caccia di «latitanti fiscali»: e in soli tre mesi – a forza di esaminare i tabulati del telefonino della sua domestica, i consumi di acqua-gas-rifiuti della vera abitazione a Milano, e persino l’abbonamento a una palestra alla moda in centro città o gli scontrini delle medicine comprate in farmacia – ha documentato la fittizietà della dichiarata residenza svizzera dalla signora. E dunque, come conseguenza, la sua totale evasione fiscale in Italia rispetto al patrimonio «abilmente schermato dietro la continua predisposizione» di «trust» architettati in mezzo mondo (dalla Svizzera a Jersey a Panama) con i consigli dell’avvocato civilista Angelo Maestroni «al solo fine di rendere difficile la tracciabilità». Nella sua percezione, la combattiva 92enne riteneva di «evitare sprechi e malversazioni», e intendeva assicurarsi «che il mio patrimonio, che ho guadagnato e non trovato, fosse al riparo dai miei eredi e da pretese fiscali ingiustificate», perché «non intendevo rivivere l’incubo di quando in passato mi ero vista sequestrare» in Svizzera «i miei beni per un errore giudiziario».
Una volta però pizzicata ora dall’indagine del pm Paolo Storari, l’anziana ereditiera ha avviato con i suoi legali Rosario e Gabriele Minniti un percorso di «completa collaborazione», che – scrive ora il giudice Guido Salvini nel motivare congrua la pena patteggiata di 8 mesi (con sospensione condizionale e non menzione) – ha consentito di concludere il controllo (che si presentava complesso, articolato e difficile) in un arco temporale davvero esiguo tra il 24 settembre e il 12 dicembre 2018, con risultati a dir poco straordinari sul piano dell’entità delle imposte accertate». Il risultato è che, «a seguito della procedura conciliativa, ha estinto i debiti tributari, compresi di interessi e sanzioni», pagando 14 milioni e mezzo di euro di tasse prima non pagate all’Agenzia delle Entrate per gli anni fino al 2016; ha versato un altro milione di euro per l’annualità 2017; e ha indirizzato al figlio 3,6 milioni a chiusura del loro contenzioso. Una traiettoria collaborativa che ha giovato anche al suo professionista legale, da lei definito «come un figlio», e accusato di concorso nel reato anche in forza di manoscritti nei quali le consigliava ad esempio di «spostare subito la cassetta presso altra banca, così se capita qualcosa a Bps o Schreder lei avrà tempo di correre ai ripari»: difeso dall’avvocato Davide Steccanella, ha patteggiato 6 mesi convertiti in 45.000 euro di pena pecuniaria con la confisca di altri 123.000 euro.