Corriere della Sera, 21 maggio 2019
Storia dei fischi leghisti ai Papi
«Oè, Vaticano», tuonò Umberto Bossi, «La Padania non ha interesse a cambiar religione, ma l’indipendenza non è in vendita. T’ee capii?». Papa Francesco non se la prenda per l’invito ai fischi partito da Matteo Salvini in piazza Duomo.
La Lega non è nuova a queste cose. Fa sorridere semmai che in contrapposizione al Papa d’oggi il segretario del Carroccio abbia elevato Giovanni Paolo II: il Papa più insultato dai leghisti di ieri.
Non c’era giorno senza che il Senatùr martellasse il «Papa extracomunitario»: «È il re di Roma OltreTevere: si mangiò una banca per finanziare Solidarnosc e ha molta gente disposta a piegare il (censura) tutte le mattine alla Mecca romana». «Il Vaticano è il nemico che le camicie verdi affogheranno nel water della storia». E arrivò a urlare che «come già accade nel bergamasco, i fedeli andranno in parrocchia con il fazzoletto verde e si alzeranno se solo sentiranno pronunciare certi sermoni. Urleranno: va’ a da’ via el (censura)». In confronto, su questo, Salvini è un’educanda.
Colpiscono comunque quelle due citazioni dei due «papi buoni», diciamo così, rispetto a quello attuale. Prima «San Giovanni Paolo II, nato proprio il 18 maggio e che parlava di vocazione dell’Europa alla fraternità dei popoli dall’Atlantico agli Urali, non della Turchia in Europa perché non sarà mai Europa». Poi Joseph Ratzinger: «L’Europa di cui parlava Benedetto XVI e di cui qualcuno negava le radici giudaico cristiane». Sintesi prese la prima da un discorso del 5 ottobre ‘82 alle Conferenze Episcopali d’Europa, la seconda da una lectio del 1° aprile 2005 a Subiaco, il giorno prima della morte del pontefice polacco del quale il cardinale tedesco sarebbe stato il successore.
Dell’uno e dell’altro, però, vengono ignorate parole non meno importanti di quelle a difesa delle radici cristiane dell’Europa. Ad esempio i messaggi annuali di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale dell’Emigrazione. Tipo quello del 1996. Alcuni passaggi? «È necessario vigilare contro l’insorgere di forme di neorazzismo o di comportamento xenofobo, che tentano di fare di questi nostri fratelli dei capri espiatori». «Adeguata protezione va assicurata a coloro che, se pur fuggiti dai loro paesi per motivi non previsti dalle convenzioni internazionali, di fatto potrebbero correre un serio pericolo per la loro vita qualora fossero costretti a ritornare in patria». «Nella Chiesa nessuno è straniero, e la Chiesa non è straniera a nessun uomo e in nessun luogo».
Quanto ai rom, oggi al centro di campagne di odio che vanno spesso oltre il bisogno di sicurezza dei cittadini, forse nessuno ha usato le parole di Carol Wojtyla il 1° dicembre 2001: «Mi è caro ribadire (…) la costante attenzione che la Chiesa rivolge alla vita delle comunità dei Nomadi. Essi hanno trovato un posto “nel cuore della Chiesa” (…) Occorre riscoprire i valori tipici dei Nomadi. Anche gli inizi d’Israele, come ricorda la Bibbia, furono caratterizzati dal nomadismo. I Nomadi sono poveri di sicurezze umane, costretti ogni giorno a fare i conti con la precarietà e l’incertezza del futuro».
Lo stesso Joseph Ratzinger, prima di salire al soglio pontificio, quando era il braccio destro di Giovanni Paolo II, dopo il naufragio di una nave albanese, accusò in un’intervista al Corriere l’egoismo dei paesi benestanti come il nostro: «Non vogliamo essere “disturbati”. Manca questa capacità di dividere con l’altro, di accettarlo, di aiutarlo». E spiegò che sì, fintanto che in Albania la tensione era altissima, la chiusura dei confini non si poteva fare: «Certo, c’è da distinguere la posizione degli elementi criminali, che poi sono proprio quelli che hanno scatenato questa situazione. Ma chiudere semplicemente le frontiere non si può». Erano molti anni fa? Certo. Ma molti anni dopo, eletto Papa, nel messaggio per la Giornata mondiale del Migrante e del rifugiato del 2013 ribadiva: «Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione». Condannati i «misfatti» dei trafficanti di uomini, esortava poi ad affrontare il problema con «una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all’inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e all’adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi».
E allora? Torniamo indietro a cercare il Papa «giusto» nel passato? Ahi ahi… Paolo VI arrivò a celebrare il suo compleanno del ‘65 a Pomezia tra migliaia di Rom: «Dovunque voi vi fermiate, siete considerati importuni ed estranei. E restate timidi e timorosi. Qui no. Qui siete bene accolti, siete attesi, salutati, festeggiati». E Giovanni XXIII, «il Gran Papa Lumbard» rimpianto dal Senatur? Macché! Nella Pacem in terrisdel ‘63 scrisse: «Ogni essere umano ha il diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse». A farla corta, per trovare un Papa da portare a supporto del sovranismo più arroccato, bisognerebbe tornare indietro, indietro, indietro. Un suggerimento, magari, potrebbe darlo padre Floriano Abrahamowicz, il prete lefebvriano che nega Auschwitz («I gas erano usati solo per disinfettare») e che una dozzina d’anni fa fu chiamato a celebrare a Vicenza, tra Bossi e Maroni, il «Parlamento Padano». Sotto «il segno della Croce».
A proposito, persino il Vangelo di Matteo (l’originale), pare eccepire sui comizi di un certo tipo: «Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per esser visti dagli uomini». Ma che poteva capire un apostolo della politica?