21 maggio 2019
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Biografia di Urbano Cairo
Urbano Cairo (Urbano Roberto Agostino C.), nato ad Abazia (Masio, Alessandria) il 21 maggio 1957 (62 anni). Imprenditore. Editore. Dirigente sportivo. Fondatore e presidente di Cairo Communication (dal 1995). Presidente e amministratore delegato di Rcs Media Group (dal 2016). Presidente del Torino (dal 2005). «Sono un sognatore razionale. Con i piedi per terra» • «Mio nonno e mio zio facevano gli agricoltori. Io da bambino andavo da loro a raccogliere le barbabietole. Mi divertivo, mi davo da fare». «Mio papà è stato rappresentante di mobili, ha lavorato per tanti anni per una ditta che produceva ingressi, salotti, tinelli: era un grande venditore, io mi sono ispirato a lui». «Ad Abazia di Masio, in realtà, […] è soltanto nato, vivendo poi nella casa di famiglia dei Cairo, una palazzina di viale Fulvio Testi a Milano, e tornando da queste parti a passare le estati» (Davide Piacenza). Concluso il liceo scientifico, Cairo s’iscrisse a Economia e commercio presso l’Università Bocconi di Milano, laureandosi nel 1981. «Ero andato in America a fare uno scambio con la Bocconi. Sei mesi alla New York University. […] Vivevo in questo pensionato che si chiamava Rubin Hall, tra la Decima e la Quinta, era una cosa stupenda, ho scoperto la tv commerciale che in Italia non c’era ancora. […] Avrei dovuto poi tornare per fare il master in Business administration: ero stato anche già ammesso, avendo fatto il test Gmat. Poi, però, ho conosciuto Berlusconi, e ho pensato che quello era meglio di un master» (a Michele Masneri). «Nel 1981, da poco laureato alla Bocconi, legge un’intervista rilasciata a Capital da Silvio Berlusconi. "Se qualche giovane ha una buona idea, mi chiami", diceva tra l’altro al mensile il fresco fondatore di Canale 5. Detto, fatto» (Gianluca Di Feo e Alessandro Gilioli). «"Mi rispose la segretaria". Dove aveva trovato il numero? "Sull’elenco del telefono. Edilnord. 8880. Un centralone. ‘Mi passa il dott. Berlusconi?’. Mi passano la segretaria. ‘Signora, buongiorno: sono uno studente della Bocconi, vorrei parlare col dott. Berlusconi’. ‘Se vuol dire a me, io riferisco senz’altro’. "No, guardi, vorrei parlare con lui, richiamerò’. Metto giù e ci ripenso. Due ore dopo, richiamo. Di nuovo la segretaria. ‘Signora, sono sempre io. Ho due idee eccezionali che vorrei spiegare al dottor Berlusconi. Se lei non mi permette di parlare con lui, lei rischia davvero di fargli un danno’". Funzionò? "Mi fissò un appuntamento con Dell’Utri. E poi con Berlusconi". Quali erano le due idee? "L’interconnessione e l’informazione". Berlusconi che cosa disse? "Che quelle idee le aveva già avute lui". E poi? "Aveva bisogno di una persona che gli stesse vicino. ‘Mi piaci, sei sveglio. Vieni qua domani mattina a fare il mio assistente’". Assistente di Berlusconi come primo impiego, mica male. "Lui diceva che ero aspirante assistente, tanto per prendermi un po’ per il culo…". Chi c’era allora attorno a Berlusconi? "La mitica Marinella, Dell’Utri, Confalonieri, Ennio Doris, Bernasconi, Carlo Freccero, Foscale, Paolo Berlusconi. È stato un periodo bello, di grande sviluppo. Mi colpiva la naturalezza con cui Berlusconi realizzava cose molto difficili. Ma allo stesso tempo mi deprimeva. Lui a rifare il mondo e io a prendere telefonate. Dopo tre anni mi venne la voglia di provare se ero capace anche io". Il suo primo stipendio da Berlusconi? "Per sei mesi, niente. Poi, un milione lordo al mese"» (Claudio Sabelli Fioretti). «"Per me è stato un maestro… che poi non è che mi ha proprio insegnato… Da assistente avevo la fortuna di vederlo operare, ecco". […] Era dura fare l’assistente di Berlusconi? "No, era bello. Era divertente. Soprattutto in quegli anni: erano i primi anni Ottanta a Milano, era eccitante"» (Masneri). «Un venerdì del lontano 1982 Urbano Cairo, assistente personale di Silvio Berlusconi, va a trovare il vecchio Edilio Rusconi nei suoi uffici di via Vitruvio, a Milano. Non è una visita di cortesia. La Fininvest, con Canale 5, sta vendendo gli spot a prezzi stracciati e Rusconi, proprietario di Italia 1, non riesce più a sostenere la corsa al ribasso. Urbano ed Edilio discutono fino a sera e trovano un accordo. Una firma sancisce l’impegno a non scendere sotto una cifra pattuita fin dal lunedì successivo. Rusconi, tranquillizzato, va a godersi il meritato weekend. Cairo invece esce di fretta e si fa portare a Cologno, dove convoca subito tutti i venditori di Publitalia, la concessionaria Fininvest, per sguinzargliarli in una 48 ore filata di svendite di spot ai prezzi vecchi. È un fine settimana di fuoco, ma alla fine l’intera stagione di Canale 5 viene piazzata. Quando Edilio torna in ufficio, il lunedì, capisce di essere stato gabbato. A quel punto, per far sopravvivere l’azienda deve vendere Italia 1. E l’unico acquirente possibile è proprio Fininvest. L’aneddoto, raccontato da un ex manager rusconiano, rende l’idea della scaltrezza di Cairo. […] Cairo è un’idrovora a ciclo continuo di raccolta pubblicitaria, prima a Publitalia poi alla Mondadori. Alla corte di Silvio, Urbano impara a imitare uno stile fatto di cordialità straripante, doppiopetti blu anche d’estate e frizzanti complimenti a semplici conoscenti o assoluti sconosciuti, perché, chissà mai, un giorno tutti possono tornare utili. Anche nei mesi in cui Berlusconi inizia a cullare l’idea di entrare in politica, nel ’93, al suo fianco ha Cairo, che lo aiuta in molti degli incontri che preparano il terreno ai club da cui nascerà il partito» (Di Feo e Gilioli). «Ma c’è un problema: Marcello Dell’Utri. "Sono fatti per non amarsi", ci dice un vecchio dirigente Publitalia. "Due super ambiziosi"» (Masneri). «"Dell’Utri voleva che la Mondadori fosse più sinergica a Publitalia nella raccolta pubblicitaria. Io mi opponevo, perché volevo dare un’identità forte all’azienda. Per quattro anni ho difeso questa autonomia contro Marcello". Dell’Utri pensava che lei fosse troppo intraprendente. L’accusava di avere un rapporto diretto con Berlusconi… "A volte ci sono delle ombre totalmente ingiustificate". Il suo capo alla Mondadori era Franco Tatò. "Che non mi difese per niente. […] Era difficile avere un rapporto positivo con lui. E non ero il solo"» (Sabelli Fioretti). «Nel 1993, quando esplode Mani pulite e la Procura di Milano indaga i vertici Fininvest per false fatturazioni, Urbanetto, come lo chiamano ancora ad Arcore, si muove con deplorata autonomia. La Finanza gli becca una società dove ha piazzato mezza famiglia e che avrebbe intermediato un bel po’ di raccolta pubblicitaria destinata alle reti Mediaset. Cairo si sceglie un avvocato con il cervello, è giovane, non fa la vittima dei “giudici comunisti” e patteggia una condanna a 19 mesi per falso in bilancio, che dopo cinque anni gli sparisce dalla fedina penale. Il Cavaliere lo licenzia, perché Dell’Utri glielo chiede, ma subito fioriscono le leggende nere. Che in sostanza sono due: sarebbe stato messo alla porta perché Publitalia ignorava quella sua società di famiglia; oppure è stato fatto fuori perché ha osato rompere il fronte comune contro i pm» (Francesco Bonazzi). «"Io, di falsi in bilancio, non ne ho mai fatti". Però ha patteggiato. "Ritenevo fosse la cosa più giusta, pur non avendo fatto nulla. […] Patteggiando non ammetti la colpa. Ti limiti ad uscire da una situazione. […] L’ho fatto perché cominciavo la mia nuova attività. Non potevo portarmi dietro fardelli". I giudici le imputarono false fatturazioni per creare fondi neri in Publitalia. "Avevo fatturato con una mia società i miei premi di produzione". Quattro miliardi di premi? "L’arco temporale era abbastanza lungo: credo che andasse dal 1985 al 1993". Tanti soldi lo stesso. "Avevo ottenuto risultati eccezionali". Il patteggiamento innervosì Publitalia. E causò il suo allontanamento dal gruppo berlusconiano, che aveva scelto la linea dura contro le accuse. "Ognuno deve scegliere per sé quello che ritiene meglio. In ogni caso, il rapporto era ormai logorato. Avevo portato la Mondadori Pubblicità da 390 miliardi a quasi 500 mentre il mercato scendeva, conquistando otto punti di quota di mercato in più. E nessuno che mi dicesse ‘bravo’". […] "Un giorno Tatò mi chiama e dice: ‘Ho parlato di te con Berlusconi. Abbiamo deciso che sei la persona perfetta per guidare le nuove Pagine Utili’. Ed io: ‘Benissimo, mi fa molto piacere che tu abbia parlato con Berlusconi di me. Ma voglio il 50 per cento di questa nuova società’". Una maniera elegante per mandarlo a quel paese. "Una maniera per dirgli che dopo quattro anni di successi non poteva trattarmi come un pacco postale". Risultato? "Dopo due mesi mi hanno sostituito. E io me ne sono andato. Non avevo nemmeno la macchina, perché la Mondadori se la riprese". Ma aveva un bel pacco di soldi… "Neanche tanti. […] Due anni di stipendio. Il mio stipendio era 400 milioni, più altri 200 di incentivi. Quindi un miliardo e duecento milioni. Lordi". Lordi. Con quelli ha fondato la Cairo Pubblicità? "Con quelli e con alcuni risparmi che avevo". Aveva anche i famosi quattro miliardi… "Sui quali avevo pagato le tasse del 35 per cento". […] "Quando mi sono messo in proprio, non avevo nemmeno gli uffici, nemmeno una segretaria. […] Non avevo un solo collaboratore, ricevevo la gente al Sant’Ambroeus [storico caffè-pasticceria milanese – ndr]. Ero solo. Stampai un biglietto da visita tutto rosso con il mio logo, un occhio, e misi un annuncio sul Corriere della Sera: ‘Cerco in tutt’Italia i cento migliori agenti per formare il nostro dream team’". Un occhio come logo? "Agli occhi do molta importanza. Dagli occhi di una persona io capisco molto". […] Aveva paura? "No, non ho avuto paura nemmeno in quei primi venti giorni in cui facevo fatica a mettere insieme la squadra perché alcuni non avevano il coraggio di seguirmi. A quelli che venivano a lavorare con me dicevo: ‘In cinque anni faremo una grande concessionaria multimediale da mille miliardi di lire’. […] Mille miliardi […] è stato il valore che la Borsa ci ha riconosciuto nella quotazione dell’anno 2000, circa 500 milioni di euro"» (Sabelli Fioretti). «Io sono partito occupandomi solo di settimanali, […] come concessionario di Rizzoli, […] che mi aveva dato fiducia perché in Mondadori Pubblicità avevo fatto molto bene ottenendo grandi risultati. Rizzoli, che era in crisi, nel 1995 scelse me per la pubblicità su Io Donna, Oggi e Tv Sette, con cinquanta persone concentrate solo su questi tre giornali, in modo da essere molto focalizzati. A loro piacque, andò benissimo, facemmo grandi cose». «Come sempre, il ragazzo ci sa fare, gli investitori arrivano, il gruppo decolla e lo smacco del licenziamento dalla Fininvest è dimenticato. Tempo dopo dirà: “Mi sono sentito un po’ come il conte di Montecristo: un uomo che ha fatto il miracolo passando dall’ingiustizia della condanna al grande rilancio, dimostrando capacità di risalire la china”. Due anni più tardi, Cairo fa il suo ingresso nel mondo del calcio e comincia a vendere la “pubblicità statica” all’interno dell’Olimpico, cioè i cartelloni a bordo campo e dietro le porte. Gli italiani iniziano così a conoscere il simbolo del suo gruppo – un occhio stilizzato –, che ogni tanto passa anche in tv. Poi si prende la pubblicità di Telepiù, lancia un paio di attività su internet e finalmente si sente pronto per tentare l’avventura da editore. Nel ’99 l’anziano Giorgio Mondadori, che da tempo si era distaccato dal gruppo di famiglia creando un’azienda di mensili in proprio, è stanco e vuole ritirarsi in Costa Azzurra. Cairo si fa sotto, e poco dopo la Giorgio Mondadori è sua. Il tenero Urbano riceve una telefonata di complimenti dal suo ex padrone, Silvio, e lui gli sussurra: “Hai visto, presidente? Ora ho la mia Mondadori anch’io”. Nel luglio del 2000 Cairo riesce a quotare il suo gruppo in piazza Affari, appena in tempo prima del grande flop borsistico. Per lanciare il collocamento, Urbano fa tappezzare Milano di manifesti con l’immagine di se medesimo che spunta in giacca e cravatta da un borsone di cuoio e la scritta: “Cairo entra in Borsa”. I milanesi meno attenti alle cose dell’editoria non capiscono e commentano: "Chel lì l’è matt". Invece Urbano riesce a piazzare un quarto delle azioni a 65 euro l’una, un affarone. E, grazie ai miliardi freschi dei piccoli azionisti, Cairo può dare una svolta al gruppo: le vecchie testate della Giorgio Mondadori infatti sono solo mensili di nicchia, patinati e sobri, come Airone e Bell’Italia, che non soddisfano l’indole popolaresca di Cairo. Lui, come Berlusconi, pensa di saper parlare alle masse, ed è alle masse che vuole vendere giornali. Così, dopo aver scoperto che in Inghilterra fanno un mensile maschile ad alta tiratura che si chiama For Him Magazine, decide di imitarlo con un clone più trash che chiama For Men Magazine. Pochi anni dopo passa al settimanale con DiPiù, testata di gossip diretta a un target particolarmente basso, proposta in edicola a un euro. Un successo, così come il televisivo che vede la luce pochi mesi dopo, DiPiù Tv. Culla anche il sogno di un quotidiano popolare, un tabloid tipo il Sun inglese, ma poi ci ripensa. La passione per la carta stampata non gli fa scordare il primo amore, quello televisivo: litiga con Sky (che quando si compra Telepiù rescinde il contratto per la raccolta pubblicitaria), ma già si consola con La7 (ai tempi di Tronchetti Provera), che gli affida la vendita dei suoi spot» (Di Feo e Gilioli). «Con l’ex padrone, in realtà, non è mai guerra vera né dipendenza. […] La non belligeranza lo accompagna alla quotazione in Borsa nel 2000 e a diventare il concessionario di pubblicità di La7, suo obiettivo fin dal primo giorno. Strappa al padrone di allora, Marco Tronchetti Provera, un contratto vantaggiosissimo: all’aumentare della raccolta pubblicitaria salgono talmente le sue provvigioni che per La7 diventa anti-economico investire sugli ascolti» (Giorgio Meletti). «Gli affari vanno bene, e negli uffici di corso Magenta si stappa frizzantino a ogni budget raggiunto. Cairo si fa fotografare per il sito aziendale in posa da James Bond, con un trapano in mano al posto della pistola. […] E, quando il gruppo arriva a fatturare quasi 200 milioni di euro l’anno, Cairo pensa che sia giunto il momento buono per imitare Silvio anche nello sfizio ludico-mediatico di farsi una squadra di calcio. S’interessa al Genoa e al Bologna, ma ci sono da tirare fuori troppi soldi. Si avvicina allora all’Alessandria, squadra della sua città natale con un lontano passato in A (ci giocava anche Rivera) ma un grigio presente nelle serie minori, che dopo un po’ lo convince a lasciar perdere. Quando finalmente riesce a prendersi il Torino, subito giura di averlo fatto non per ottenere visibilità televisiva, ma per un’autentica passione granata sorta in cuore quando sua madre gli raccontava della tragedia di Superga» (Di Feo e Gilioli). «Nel 2005 compra la squadra del Torino a un’asta fallimentare, pare su sollecitazione del sindaco Chiamparino. Perché lo fa? Per fare un favore alla città, perché tifosissimo – tutti tifosi in famiglia, la mamma, la nonna –, e poi (forse l’unica verità) "perché essere amati è bellissimo", e questo amore, in Italia, te lo dà solo il calcio. Naturalmente il Torino da squadra decotta va in A» (Masneri). «Quando alla guida di Telecom Italia arriva Franco Bernabè, tocca al fedele Gianni Stella, detto “er canaro” per la delicatezza dei modi, trattare il rinnovo del contratto con Cairo. Lo scontro è talmente duro che la concessionaria rischia di perdere il cliente decisivo. Vale oltre la metà del giro d’affari: per Cairo significherebbe fallire in due ore. Per raffreddare gli animi interviene direttamente il presidente del Consiglio Berlusconi: in una riunione a Palazzo Grazioli ricuce l’accordo garantendo a La7 sei milioni di pubblicità Mediaset: il minimo garantito torna al livello desiderato. Scavalcato l’ostacolo, Cairo riparte di slancio» (Meletti). «La sua grande astuzia è blindare i contratti in scadenza della propria concessionaria, la Cairo Pubblicità, a costo di comprarsi la società di cui è fornitore. […] Il capolavoro […] lo fa con La7, nel marzo del 2013, quando si porta a casa l’emittente tv per un milioncino di euro da Telecom Italia, con tanto di dote da 88 milioni che, secondo i dipendenti, non avrebbe mai speso nella tv. L’allora responsabile media di Telecom, Giovanni Stella, voleva venderla senza prima rinnovare il contratto a Cairo, perché sapeva che gli altri pretendenti sarebbero scappati a gambe levate. Ma poi prevale la linea di Franco Bernabè, e alla fine Cairo si porta a casa l’intero piatto» (Bonazzi). «La7 perdeva cento milioni all’anno. […] Mentre studiavo i bilanci di La7, un giorno, sono stato folgorato da un pensiero. Mi stavo lavando le mani in bagno, ho guardato l’orologio e ho pensato: “È passato un minuto. Ecco, ho perso mille euro”. […] Per prima cosa mi sono preoccupato di mantenere nell’azienda i migliori conduttori e i volti noti. Poi mi sono concentrato sul contenimento dei costi. E l’ho fatto mantenendo tutti i quattrocentoquindici dipendenti. Compresi i cento giornalisti. […] Io non ho licenziato nessuno. E ho tagliato, tagliato, tagliato. Mi sono accorto che c’erano fornitori che imbrogliavano, e anche qualche dipendente infedele» (a Salvatore Merlo). «“Quando arrivai a La 7, mi portarono sul tavolo un foglietto con una cifra, il totale da pagare mensilmente. Chiesi i dettagli, uno per uno. Ma è un elenco lunghissimo!, mi obiettarono. Risposi: appunto, sono qui per questo. E verifichiamo tutto…”. Il totale si dimezzò» (Cesare Lanza). «Cairo in sei mesi riporta i conti in pareggio senza toccare un minuto di palinsesto e un euro della dote. […] Comincia a preparare la grande rivincita, e a suo modo la preannuncia: “Ho l’impressione che alcuni editori italiani non siano interessati a vendere. Presidiano uno spazio, per ragioni d’interesse finanziario o politico, per proteggere altre loro attività”» (Meletti). Entrato in Rcs – la società editrice, tra l’altro, del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport – nel maggio 2013 con una quota del 2,8% («Entro in punta di piedi. È solo un piccolo contributo da editore puro. Sono molto legato a Rcs: 18 anni fa cominciai questo mestiere prendendo in concessione la raccolta pubblicitaria di Io Donna e Tv Sette») in seguito aumentata fino al 4,6%, nel maggio 2016 Cairo, supportato da Banca Imi (Intesa Sanpaolo), intraprese la sua scalata al gruppo, sfidando il nucleo costituito dai soci storici, sostenuti invece da Mediobanca. L’impresa ebbe successo, e il 15 luglio 2016, «ultimo giorno utile per consegnare le azioni, […] ha visto l’editore della Cairo Communication e de La7 fare incetta di titoli Rcs e raggiungere il 48,8% del capitale; alla cordata avversaria, International Media holding (Imh), capitanata da Andrea Bonomi (insieme agli azionisti storici di via Solferino: Mediobanca, Pirelli, Unipol e Della Valle), è andato il 37,7% del capitale» (Vittoria Puledda). «Il 15 luglio della finanza italiana potrebbe essere ricordato come la disfatta dell’ultimo salotto buono. Con Urbano Cairo, l’editore dei settimanali nazionalpopolari, che espugna il fortino di Mediobanca. […] Gli azionisti Rcs hanno scelto l’imprenditore che si è fatto da solo e che negli ultimi anni ha regalato dividendi e non perdite ai propri soci. […] "Urban cowboy", così l’hanno soprannominato alcuni suoi collaboratori, si è gettato nella mischia seguendo il suo istinto ma con la razionalità del buon padre di famiglia. Il suo merito è di aver scelto i compagni di viaggio più giusti per un’avventura di questo tipo. Il primo a dargli fiducia è stato Gaetano Miccichè, che ama definirsi il banchiere dell’economia reale, forse per distinguersi dai banchieri d’affari di piazzetta Cuccia. Convinto che per risolvere i guai di via Solferino ci volesse un solo padrone, meglio se anche editore, Miccichè ha portato Cairo al cospetto di Giovanni Bazoli, per anni il garante degli equilibri al Corriere su investitura dell’Avvocato Agnelli. E l’ottantenne Bazoli, dopo aver incassato i dinieghi di Rocca, Pesenti e dello stesso Bonomi per la sostituzione della Fiat, ha fiutato che Cairo potesse essere l’uomo giusto per rompere l’egemonia di Mediobanca» (Giovanni Pons). Deciso a intervenire personalmente su ogni segmento del gruppo («Sarò in prima linea. Sicuramente ciò che voglio è avere tutte le deleghe e capire quando esce un euro, perché esce, e come»), il 3 agosto successivo Cairo assunse il duplice incarico di presidente e amministratore delegato, dando ulteriore conferma delle proprie capacità. «Otto mesi. Tanto ci è voluto a Urbano Cairo per riportare in utile La7, dopo un decennio di profondo rosso. Tanto è bastato, allo stesso modo, per riportare al segno più Rcs, in perdita dal 2011, tre milioni e mezzo di utili contro i 175,5 milioni di disavanzo registrati nel 2015: “Una coincidenza”, spiega Cairo, […] sebbene le due storie siano accomunate dal medesimo approccio, quello di “entrare e prendersi cura dei problemi con grande velocità, intervenendo su costi superflui, sprechi, inefficienze”» (Francesco Cancellato). Sempre più presente sul proscenio nazionale, il 25 marzo 2019 Cairo ha concluso una sorta di «“giro d’Italia” in 13 tappe per la presentazione agli investitori del gruppo al quale fanno capo La7, Rcs e il Corriere della Sera. Un ciclo di incontri nelle principali città italiane tenuto, a partire dal mese di gennaio, dall’editore Urbano Cairo. Ai manager e agli imprenditori italiani e stranieri – in rappresentanza di oltre 2 mila aziende – Cairo ha presentato “una realtà multimediale che ha riscosso un grande interesse. La nostra offerta oggi va dalla carta stampata quotidiana e periodica, in Italia e in Spagna, al web, alla televisione”. Una realtà “dinamica e in continua crescita” descritta anche dal bilancio consolidato approvato […] dal consiglio. Cairo Communication chiude il 2018 con ricavi consolidati lordi di 1,3 miliardi (+9%), un margine operativo lordo di 182,8 milioni (+8,2%) e un risultato operativo di 127,3, con un balzo del 23,9%. Il risultato netto di pertinenza del gruppo è di 60,3 milioni, in crescita del 19,5%» (Paola Pica). «“Sono andato a La7 e ho tagliato il 50% dei costi e a Rcs il 25%. In Italia ci sono 180 miliardi di spese in beni e servizi. Se uno facesse una cosa simile alla mia, farebbe male? Tutte risorse che potrebbero essere utilizzate per taglio delle tasse, del cuneo fiscale, per opere pubbliche. Tutto questo potrebbe far ripartire il Paese”, che “deve accelerare il passo”. Intenti con evidente sapore di programma politico. Nessun pensiero a scendere nell’arena? Non si è mai immaginato nei panni dell’attuale premier Conte? “Non mi è venuto in mente neanche per un secondo”» (Andrea Biondi) • «Si è dato due anni per la personale “discesa in campo”, perché da pianificatore di campagne gli piacciono le cose fatte bene. Da mesi appare e riappare sui propri giornali a getto continuo. E si fa testare e misurare dai suoi uomini di marketing, per capire quanto può valere in termini elettorali. Rilevazione che riservatamente anche Berlusconi ha fatto fare. […] A Roma, tutti sono convinti che alla fine sarà lo stesso Berlusconi a incoronare Cairo con l’immancabile “l’ho inventato io”. […] Berlusconi ha visto la crescita del suo ex pupillo e ne va fiero. Cairo gli telefona spesso e parlano un po’ di tutto, politica compresa. Del resto, l’allievo non troverà pace finché non avrà fatto tutto quello che ha fatto il suo Maestro. E che cosa gli manca, anche se Andrea Belotti non è Marco Van Basten, La7 non è Mediaset e questa Rcs non è la Mondadori? Gli mancano la politica e il picchetto d’onore mentre sale al Quirinale» (Bonazzi). «Rispetto a Silvio, ha qualche vantaggio. È riflessivo, mai impulsivo. È consolidato, non andrebbe allo sbaraglio. […] Ama le donne, ma con giudizio, moderazione. Non ha l’acqua alla gola, come Silvio nel ’94. Non fa promesse che non riesca a mantenere. È incudine e martello: osa o subisce, secondo opportunità. Ma ha due svantaggi. Non ha la forza dialettica trascinante di Berlusconi. E in politica si profilerebbe un serio conflitto di interesse. Silvio riuscì a dribblarlo, oggi – per legge – non è insuperabile, ma il dribbling sarebbe difficile» (Lanza) • Buoni anche i risultati ottenuti con il Torino: dopo un inizio mediocre tra serie A e serie B, a partire dal campionato 2013/2014 la squadra si è rafforzata, attestandosi per lo più tra il settimo e il nono posto in classifica (solo nel 2015/2016 al dodicesimo) • Il 1° giugno 2017 Cairo è stato nominato Cavaliere del lavoro. «Pare che il presidente della Repubblica Mattarella si sia complimentato, concedendo l’onorificenza, in quanto tifoso del Toro» (Masneri) • Tre matrimoni, quattro figli: nessuno dalla giornalista e scrittrice Anna Cataldi, ex moglie dell’imprenditore Giorgio Falck (1938-2004) e compagna dell’editore Carlo Caracciolo (1925-2008) e già madre di Jacaranda Caracciolo Falck (attualmente compagna di Gaetano Miccichè, presidente di Banca Imi e della Lega Serie A e vicepresidente della Figc), una figlia (Cristina) dalla modella svedese Tove Hornelius e tre figli (Federico, Giuseppe e Sebastiano) dall’attuale consorte, Mali Pelandini • «Il primo voto, l’ho dato alla Dc, nel ’75, quando c’era Zaccagnini. Poi ho cambiato». «Votai Berlusconi nel 1994, ma nella mia vita ho anche votato a sinistra. Più di una volta ho votato i radicali» • Collezionista d’arte. «Organizzo anche un premio ogni anno» • Calciatore in gioventù. «Scuola Pro Sesto e un titolo lombardo under 21 nella Milano Gomme. Ero un “veneziano”, un’ala destra dribblomane. Mi ispiravo a Claudio Sala, il Poeta del Toro dello scudetto ’76, e mi piaceva Rivera del Milan» • Molto scaramantico, allo stadio occupa sempre lo stesso posto e indossa sempre la stessa cravatta. Considera il 19 il suo numero fortunato. «Io ho fatto tutto il 19. È stato un giorno 19 che ho lanciato l’offerta d’acquisto per la Giorgio Mondadori, è stato un giorno 19 che ho inaugurato il settimanale DiPiù, ed è stato il 19 che ho acquistato la vecchia concessionaria pubblicitaria di Telepiù» • «Dicono che hai il braccìno corto. “Lo so, e forse è anche vero. Ma c’è una verità più profonda. Non sopporto gli sprechi. Tagliare gli sprechi è importante. Mai licenziato qualcuno: non ho mai buttato per strada una famiglia”. Beh, qualche licenziamento sì. “Alcuni dirigenti. Pochi, però. Se un dirigente non segue gli indirizzi editoriali, è inevitabile esonerarlo”» (Lanza). «Sono un efficientatore» • Stacanovista, ha dichiarato di lavorare cento ore alla settimana, dormendone solo tre o quattro per notte • «Riesco a organizzare i pensieri e le azioni solo camminando. […] All’autista chiedo di seguirmi, e mentre cammino la mia mente è al lavoro. […] Se non cammino non penso, se non penso non costruisco. Più dei soldi mi sazia l’ambizione del progetto: vedere cosa ho fatto e cosa riesco ancora a fare» (ad Antonello Caporale) • «L’attivismo da maverick americano e la faccia gaglioffa da film di Jean Gabin» (Francesco Specchia). «Carattere mandrogno, cioè tosto e testardo» (Piero Chiambretti). «Ambizioso, simpatico, alla mano» (Caporale). «Schietto, raramente reticente, dunque interessante» (Lanza). «Pure a Urbano piace piacere, è verticalmente svantaggiato e non indifferente al fascino femminile (ricorda qualcuno?)» (Masneri). «L’adulazione servile mi dà fastidio. Ma, se è fatta con un po’ di ironia, mi fa piacere» • «Non abbiamo mai discusso della linea politica del tg. Lui non ragiona in questi termini. Basta guardare i programmi di La7, che sono affidati a giornalisti dalle idee le più diverse. Qui da noi – credetemi – fanno tutti il cavolo che gli pare. Cairo ha fatto sua la massima di Deng Xiaoping: non importa se il gatto sia bianco o nero, conta che mangi il topo. L’editore si preoccupa della qualità delle trasmissioni, dei ricavi pubblicitari, mentre nutre quasi disinteresse per gli aspetti politici» (Enrico Mentana) • «Non mi voglio misurare con Berlusconi: lui è di un’altra età e ha lavorato in altre condizioni (e, se proprio, un tycoon ancora più grande c’è, e si chiama Murdoch). Capisco però le assonanze possibili. Ma sono fortuite». «Molti lo chiamano, non certo per fargli un complimento, “Berluschino”, ma quel giovane manager, diventato grande da tempo, cammina con le sue gambe, e anzi rivendica spesso: “A Berlusconi faccio concorrenza”. […] Di diminutivo, nella considerazione che Cairo ha di se stesso, c’è davvero poco. Per capirlo basta ricordare il regalo che fece proprio a Silvio e Veronica per le loro nozze: un ritratto, il suo, opera della pittrice Lila De Nobili» (Francesco Manacorda). «Il mio vero modello è Angelo Rizzoli, il cumenda. […] Dai libri che ho letto su Rizzoli ho preso delle idee poi per la mia attività». Il suo primo modello, in realtà, sembra essere stato nientemeno che Napoleone Bonaparte («un piccolo còrso che non era nessuno ed è diventato imperatore»), del quale ancora adolescente lesse una biografia, rimanendo «incantato dallo stratega militare. […] Oggi, invece, mi attrae la sua visione filosofica e amministrativa: quel suo modo di dire “ci si impegna, poi si vede”, che ti aiuta a pensare che tutto sia possibile, che ogni soldato possa avere nello zaino il bastone di condottiero. […] Quelle parole vogliono dire che, se c’è una cosa che voglio fare, mi ci butto dentro, e poi strada facendo troverò le soluzioni per raggiungere quell’obiettivo che sembrava irraggiungibile. Hanno ispirato anche me» (a Salvatore Giannella) • «Si è fatto da solo e ha imparato moltissimo da Silvio Berlusconi, tuttavia non può essere definito un outsider, sostenuto com’è da quella che si è caratterizzata come la “banca di sistema”» (Stefano Cingolani). «In un certo senso Cairo è più antico di Berlusconi, antropologicamente pare un italiano più arcaico. È borghese, mentre Berlusconi è punk» (Masneri) • «Cairo è un imprenditore che non crede alla turbofinanza: l’unica economia di carta per lui è quella del foglio stampato che odora d’inchiostro» (Cingolani). «Non è vero che con i giornali non si possano fare soldi. Io li faccio. Ma quando fai un giornale devi parlare al pubblico, devi rendere appetibile il prodotto. E quindi devi pensare con la testa di chi compra, non con la testa dei padroni. Altrimenti la gente se ne accorge» • «“Sono la prova vivente che non è vero quello che dice Berlusconi sul fatto che non ha mai licenziato nessuno. Conservo ancora la lettera con la quale fui buttato fuori dal gruppo”. […] “Nei giorni in cui ero in trattativa per acquistare La7, Berlusconi mi telefonava. Era curioso. Voleva sapere. Anche se in realtà tifava per un’altra cordata, non per me. Ecco, in una di quelle telefonate, a un certo punto mi chiese: ‘Ma perché nelle interviste continui a dire che ti ho licenziato?’. E io: ‘Perché è vero’”. E qui Cairo ride di gusto. “Vede, Berlusconi ha un rapporto molto sbarazzino con la verità. È, per così dire, un rapporto di tipo padronale: lui la rispetta, la verità, ma a debita distanza: la tiene a suo posto, non le permette di prendersi troppe libertà. Sostituisce la verità con i suoi desideri, la edulcora, la modifica. E finisce con il credere alle sue stesse invenzioni. Voglio dire che lui davvero crede di non avermi licenziato. Ma oggi, a molti anni di distanza, guardo in positivo a quella lettera di licenziamento. Passai da amministratore delegato di Mondadori Pubblicità, un’azienda che fatturava 500 miliardi di lire, a non avere un lavoro. Ma cominciai anche la mia attività imprenditoriale. E mi è andata bene. Molto bene”» (Merlo).